Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il nido della cicogna
Il nido della cicogna
Il nido della cicogna
E-book293 pagine

Il nido della cicogna

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Francesca è ognuna di noi, sempre schiacciata tra felicità e senso del dovere. Impossibile non immedesimarsi con lei. 
Foschia75 - blogger
Ci sono amori che nascono come fiori spontanei là dove molti non vorrebbero. Ci sono giudizi che si infilano come schegge che non si riescono più ad estrarre e responsabilità che pesano come abiti zuppi sotto una pioggia che sembra non smettere mai.
Ecco gli ingredienti di questa meravigliosa storia.
I protagonisti sono quanto di più giudicabile e giudicato in questo nostro tempo. Francesca Toldani Buchanan, trentuno anni, presidente della società di famiglia. Sposata due volte. Divorziata due volte. Tre figli. Le sue giornate si consumano tra consigli di amministrazione e voli per affari in tutto il mondo. Una da cui non aspettarsi granché dal punto di vista personale, perché “quelle” hanno il loro mondo negli affari, non certo negli affetti.
Daniele Moroni, uomo di punta della Roma Calcio, il goleador.
Bello, giovane, ricco, ma pur sempre un calciatore e si sa che “quelli” hanno il loro futuro nelle gambe, non certo nel cervello.
E poi c’è l’amore. Quello vero. Un’improbabile accoppiata, un uomo e una donna che più diversi non si può.
Ma pur sempre, un uomo e una donna.
 
 
 
LinguaItaliano
Data di uscita20 giu 2017
ISBN9788894806342
Il nido della cicogna

Categorie correlate

Recensioni su Il nido della cicogna

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il nido della cicogna - Julia Moreno

    JULIA MORENO

    IL NIDO DELLA CICOGNA

    EDIZIONI IL VENTO ANTICO

    Serie

    la vie en rose

    PAGINA DI BENVENUTO

    Inizia a leggere

    Informazioni su questo libro

    Informazioni sull’autore

    Copyright

    Indice

    ABOOUT THIS BOOK

    Ci sono amori che nascono come fiori spontanei là dove molti non vorrebbero. Ci sono giudizi che si infilano come schegge che non si riescono più ad estrarre e responsabilità che pesano come abiti zuppi sotto una pioggia che sembra non smettere mai.

    Ecco gli ingredienti di questa meravigliosa storia.

    I protagonisti sono quanto di più giudicabile e giudicato in questo nostro tempo. Francesca Toldani Buchanan, trentuno anni, presidente della società di famiglia. Sposata due volte. Divorziata due volte. Tre figli. Le sue giornate si consumano tra consigli di amministrazione e voli per affari in tutto il mondo. Una da cui non aspettarsi granché dal punto di vista personale, perché quelle hanno il loro mondo negli affari, non certo negli affetti.

    Daniele Moroni, uomo di punta della Roma Calcio, il goleador.

    Bello, giovane, ricco, ma pur sempre un calciatore e si sa che quelli hanno il loro futuro nelle gambe, non certo nel cervello.

    E poi c’è l’amore. Quello vero. Un’improbabile accoppiata, un uomo e una donna che più diversi non si può.

    Ma pur sempre, un uomo e una donna.

    Un libro appassionante, con un pizzico di piccante

    I fatti e i personaggi rappresentati nella seguente opera e i nomi e i dialoghi ivi contenuti sono unicamente frutto dell’immaginazione e della libera espressione artistica dell’autore. Ogni similitudine, riferimento o identificazione con fatti, persone, nomi o luoghi reali è puramente casuale e non intenzionale.

    Alle mie amiche e

    a mio marito

    PARTE 1: ATTRAZIONE

    1.

    New York

    Il consiglio di amministrazione della Tolbuch Enterprises volgeva al termine. Intorno al tavolo già serpeggiavano i segni dell’imminente rompete le righe. La riunione era stata lunghissima, e anche una delle più importanti nella storia dell’azienda. Dopo due anni di lavoro, da una costola della casa madre era finalmente nata la Tolbuch Europe.

    Mancavano solo le nomine e le votazioni, ma si trattava di una formalità.

    Quello di creare un altro colosso dell’informatica, dall’altra parte dell’oceano, era un sogno che Corrado Toldani coltivava da tempo. Nessuno aveva dubbi che ne sarebbe stato il presidente, affidando l’amministrazione al figlio maggiore, Fulvio.

    «Vi vedo stanchi. Ma non potete distrarvi, il bello viene adesso» disse Corrado.

    Tra lui e Bill Buchanan, cognato e socio, corse uno sguardo complice, che tutti colsero.

    Ci fu un impercettibile, collettivo rialzarsi delle schiene sulle sedie.

    Corrado Toldani sogghignò leggermente, poi riprese la parola.

    «Quarant’anni fa, quando sbarcai per la prima volta in questa città, ero solo un giovane ingegnere italiano, innamorato di una ragazza americana. Il caso ha voluto che lei avesse un fratello convinto, come me, che il futuro era nell’informatica. Certe sere, prima di andare a casa, io e Bill ci guardiamo intorno, facciamo un giro per gli uffici e ci chiediamo… ma come ci siamo arrivati, noi due, fin qui? La nostra è stata un’avventura magnifica, che per me si chiude stasera. Ho sessantasei anni compiuti, e con la Tolbuch Europe ho realizzato tutti i miei sogni. Mi dichiaro ufficialmente in pensione. Bill ha due anni meno di me, per cui gli tocca restare e guidare la successione. Propongo che mi subentri alla presidenza della Tolbuch Enterprises. Mettiamo ai voti.»

    Nel silenzio attonito, ai membri del consiglio occorse qualche minuto per riprendersi, realizzare di dover votare, alzare la mano. Erano tutti presi in contropiede, eccetto Bill, il neo-presidente, che scherzò sul futuro del neo pensionato, ringraziò per la fiducia e poi passò alle nomine della Tolbuch Europe. Quel che sembrava un passaggio scontato, era improvvisamente diventato un’incognita. Nessuno più pensava a rompere le righe, troppo impegnati a chiedersi quale sarebbe stato il proprio destino.

    Tra proposte e votazioni, il tutto durò forse quaranta minuti, ma a Francesca Toldani Buchanan parve un istante. Dopo, mentre amministratori e consiglieri defluivano dalla sala in ordine sparso, lei rimase seduta al suo posto, incredula per ciò che era appena accaduto.

    A trentun anni, il futuro le era piovuto addosso. Incominciava domani, anzi adesso.

    Lei, la terza dei cinque figli di Corrado, era stata catapultata alla presidenza della Tolbuch Europe. La sua vita svoltava in maniera imprevedibile.

    Non dire fesserie, cocca, hai sempre saputo dove stavi andando e non ti sei mai opposta, le disse l'altra sé stessa, una voce interiore sincera e spietata che la ammoniva quando si stava prendendo in giro.

    Vero, non si trattava di una sorpresa assoluta. Suo padre l'aveva cresciuta e addestrata perché un giorno fosse lei a impugnare lo scettro del comando. Era il suo obiettivo fin dal giorno in cui aveva scoperto che possedeva una mente eccezionale. Una bambina con alto potenziale cognitivo, erano state le parole esatte della psicologa. Era il primo ricordo di Francesca. Allora non conosceva il significato della frase, ma capiva che papà ne era fiero, e quindi si trattava di una cosa bella.

    La sua vita le passò davanti come un film, spezzoni in rapida successione. Prima elementare a quattro anni, high-school a dodici. La più giovane della classe, sempre. Studiare senza tregua, un traguardo dietro l'altro da tagliare vincitrice. Cinque lingue, tre lauree, i master... Tutto, anche il suo privato, vissuto in fretta, programmato in funzione di un futuro che infine era arrivato.

    Sentì alle spalle la presenza di suo padre, prima ancora che lui parlasse.

    «Sei sotto shock, ragazza?»

    Sì, lo era, perché non si trattava solo di assumere una carica ma anche di lasciare New York e trasferirsi a Roma con tre figli, tre ragazzini che, inevitabilmente, si sarebbero sentiti sradicati. E soli, perché il lavoro avrebbe fagocitato gran parte del suo tempo. La consapevolezza le ghermì lo stomaco in una morsa dolorosa. Ma davanti al padre non poteva mostrarsi debole o incerta. Lo avrebbe deluso, ed era un’opzione non contemplata. Quando si voltò, sorrideva.

    «Complimenti. Tu e lo zio l’avete preparata proprio bene. O forse sono io che non me l’aspettavo così presto.»

    «Questa è la tua vita, Francesca, il tuo destino. Oggi o tra dieci anni che differenza fa?»

    «Tra dieci anni i miei figli saranno al college. Sarebbe stato più facile. Invece devo dirgli che salterà tutto il loro mondo, scuola, casa, amicizie. A questo stavo pensando.»

    «A Roma cresceranno benissimo» replicò lapidario Corrado Toldani. «Ti aspettiamo nell'altra sala, per festeggiare.»

    Fine della discussione. Come sempre, come per ogni cosa che la riguardasse, Corrado tirava via dritto. Sceglieva per lei, le organizzava la vita, e lei lasciava fare. Il sospetto che non fosse giusto si affacciò e venne scacciato nel giro di un nanosecondo.

    Francesca si alzò, indugiando davanti alle vetrate. Riflessa nel vetro rivide sé stessa ragazzina, mentre attendeva il padre in quella stessa stanza. Ricordò il montgomery blu con l'interno a fiori, il basco calato sui riccioli biondi e quella strana immagine in cui si perdeva. Lei dentro Manhattan o Manhattan dentro di lei.

    Era cambiata, da allora. Aveva sempre i capelli biondi e gli occhi chiari, era sempre alta e snella, ma non assomigliava più a una Barbie. Un risultato che aveva perseguito con tenacia, adottando uno stile minimale, abiti sobri, capelli raccolti in una treccia stretta, occhiali da vista eleganti.

    Ma ancora non bastava e in fondo era la sua unica paura, non essere presa sul serio, a causa dell'età e di quel fisico da cerbiatta, così poco adatto a un ruolo di dirigente. Già vedeva i giorni a venire, costretta a un difficile gioco di equilibrio tra cordialità e freddezza, basso profilo e inflessibilità. In un paese, l'Italia, in cui una donna al comando faceva ancora notizia.

    «Ehi, sorellina.»

    La voce di Andrew la fece sussultare. Si voltò a guardare il fratello minore, anche lui catapultato a Roma, con una moglie e due bambini piccolissimi, la vita sconvolta in mezz’ora.

    «Ci organizzeremo, Francesca, ce la faremo. Insieme abbiamo resistito a tutto.»

    In perfetta sintonia, alzarono la mano a darsi il cinque, proprio mentre il fratello più grande faceva capolino sulla porta. Fulvio aveva la felicità stampata in faccia. Dopo due anni passati da solo in Italia, stava per sposarsi con una ragazza italiana, diventare padre, e riavere di nuovo vicini i suoi fratelli. Era il momento migliore della sua vita.

    «Roma vi piacerà, ne sono sicuro. Ho già detto a Lola di cercarvi casa.»

    Sì, sarebbe andato tutto a meraviglia. E quanto a prenderla sul serio... anche a Roma avrebbero capito in fretta con chi avevano a che fare, proprio come era successo a New York. Qui la chiamavano Icy, i romani cosa si sarebbero inventati?

    Il pensiero la divertì.

    «Forza ragazzi, andiamo a brindare. Altrimenti chi lo sente papà?»

    C’erano quattro musi lunghi, quella sera, nella casa di famiglia a Park Avenue.

    Come previsto, i tre moschettieri – così Francesca definiva i suoi figli – non l’avevano digerita. Nemmeno la più piccola Pilar, otto anni, che vedendo gli altri due ingrugniti aveva stabilito che il trasloco non andava a genio neppure a lei. E come darle torto, pensava la madre. Qualche ragione ce l’aveva pure il quarto muso lungo, quello di sua sorella Charlene, che di fatto perdeva i suoi fratelli.

    «Il tuo posto è qui» le stava dicendo il padre, alludendo non tanto al suo prossimo matrimonio con il fidanzato storico, newyorchese doc, quando al lavoro nell’ufficio pubbliche relazioni della Tolbuch Enterprises.

    Corrado decideva e disponeva per tutti, da sempre. Charlene non replicò, ma Francesca ne incontrò lo sguardo e comprese che era solo questione di tempo. La sorellina possedeva una volontà di ferro: dopo averci pensato su, avrebbe deciso da sola. E se la decisione era di trasferirsi a Roma, lo avrebbe fatto. È più forte e coraggiosa di me, si disse.

    Spostò lo sguardo sui genitori, seduti uno a fianco all’altro. Una coppia improbabile, eppure erano sposati da quasi quarant’anni in un mondo dove un paio di divorzi erano la normalità. Corrado, per amore di Helen, si era trasferito da Firenze a New York, dove insieme al cognato aveva dato vita a un colosso informatico. Entusiasmo, coraggio e determinazione erano le sue parole d’ordine. Aveva condotto azienda e famiglia come un comandante in capo, perché nonostante gli impegni di lavoro, mai aveva tralasciato il ruolo di padre, il suo preferito. Aveva lasciato che la moglie crescesse Sabrina e Charlene, rispettivamente prima e ultima della nidiata, ma dei due maschi e di Francesca si era occupato lui.

    E così, mentre le loro sorelle avevano avuto un’esistenza normale, da ragazze ricche di New York, la giovinezza di Francesca e dei suoi fratelli fu quasi un addestramento nei marines. Sport e studio le loro occupazioni, al motto di non perdere tempo.

    Helen, al contrario, pareva una creatura eterea, così dolce, candida e svampita. Continuava ad indossare abiti colorati da papaveri e rose, pigiami palazzo che nel resto del mondo erano scomparsi con gli anni Settanta, cappelli di paglia e scarpe di tutti i colori della tavolozza. Suonava il pianoforte, dipingeva vasetti, si occupava di arte e beneficienza. Era stata una madre affettuosa, ma risolvere problemi non era il suo forte.

    Negli ultimi anni, però, si era come svegliata da un letargo dorato. Ora, in caso di discussioni in famiglia, tendeva a schierarsi con i figli che, secondo lei, avevano ormai il diritto di scegliere da soli il proprio destino.

    Lo fece anche quella sera, infatti. Charlene aveva taciuto, ma Helen no.

    «Mi sembra che per oggi hai già giocato abbastanza con i tuoi soldatini, Corrado. Tu resti qui, tu vai là… per quanto riguarda me, sappi che mi dividerò tra qui e la casa di Firenze. Non intendo vedere i miei ragazzi solo a Natale e Ferragosto.»

    Lo disse con la sua solita dolcezza, sorridendo, ma era serissima. Francesca, i cui pensieri in quel momento erano l'appartamento da smontare, il trasloco oltreoceano e soprattutto il dolore dei suoi figli, ne fu consolata.

    Ce la farò, ce la faremo. Passerà anche questa.

    2.

    Roma

    Francesca si versò un bicchiere di vino e uscì sul terrazzo, appoggiandosi alla balaustra. Erano le nove di una serata calda di fine maggio, di sotto Piazza Navona brulicava di gente, i caffè erano pieni, ma lassù arrivava solo il suono di due violini.

    Finalmente a casa, si disse, un pensiero che si insinuò lasciandola piacevolmente sorpresa. Non l’avrebbe immaginato, solo pochi mesi prima, che a Roma nella nuova casa sarebbe stata così bene.

    Una carezza pelosa alle gambe le disse che Lizzy si era allontanata dalla cucina, dove i ragazzi stavano preparando i pop corn. «Sei scappata, eh?» scherzò Francesca, ricevendone in cambio uno sguardo consapevole che le strappò una risata allegra.

    Pensare che non voleva animali, all’inizio. Aveva ceduto alle insistenze dei figli per dare loro qualcosa che li consolasse per la perdita di abitudini e amici. Era arrivata Lizzy, un bell’incrocio tra un pastore russo e chissà cosa, poi i gatti Oliver e Loony, lui nero e lei grigia, che in quel momento sicuramente dormivano su qualche letto. Francesca ormai consentiva tutto, troppo felice di avere quelle bestiole.

    Sì, stava proprio bene, serena, in pace.

    A parte un paio di pensieri urticanti.

    Il primo, il peggiore, riguardava suo padre.

    Quel pomeriggio Lola, la sua assistente personale nonché moglie di Fulvio, si era lasciata sfuggire una chicca. Corrado Toldani andava dicendo a tutti che Francesca si sarebbe risposata entro l’anno, mancava solo la data.

    Era sobbalzata come morsa da una vipera. «Ma non è vero! Di poche cose sono sicura come di questa: non mi sposerò una terza volta. Due divorzi bastano e avanzano.»

    Arrabbiata com’era, aveva reagito con un tono secco e tagliente, e Lola arrossì imbarazzata. «Scusami. Non volevo ficcanasare, lui ne parla apertamente, pensavo glielo avessi detto tu.»

    «Invece no. Ma non stupirti, con lui è normale.»

    Come sempre Corrado Toldani pretendeva di decidere per lei, ma questa volta non avrebbe ceduto. Sì, aveva una relazione con il direttore della filiale di Amsterdam. Durava da un anno, più o meno, ma relazione non era il termine esatto: con Adam avevano in comune solo il lavoro. Quando erano insieme parlavano di budget, di strategie di mercato, di contratti. Poi capitava che andassero a cena, o a un concerto e poi a letto insieme. Avevano trascorso quattro giorni insieme in Grecia, senza infamia e senza lode.

    Non sapeva come ci si fosse trovata in quella storia inutile, o meglio sì: a Corrado, Adam piaceva moltissimo e aveva fatto di tutto per sponsorizzarlo.

    Quel che non sapeva era perché continuasse a vederlo. Abitudine, pigrizia, mancanza di tempo, si era sempre detta. Il tempo, sì. Non trovava mai un momento per pensare davvero a sé stessa, per decidere cosa fare della sua vita. Era sempre in qualche altro posto, persa dietro le esigenze di qualcun altro. La famiglia, la società, ma soprattutto i suoi figli. Amber, Samuel e Pilar erano tre adolescenti in sboccio, con i mille problemi dell'età. E Francesca, agli effetti pratici, l'unico genitore che avessero. Il suo tempo libero, il pochissimo che aveva, era tutto per loro.

    Ogni tanto, però, l'assaliva il dubbio che non si riducesse tutto a questo. Forse tirava avanti con Adam per un altro motivo, più intimo e doloroso. Non riusciva a rassegnarsi, ad accettare fino in fondo il suo scarso feeling con il sesso. Inutile cercare parafrasi gentili, quel che accadeva sotto le lenzuola era poco più che ginnastica. Corpi che si toccavano, sessi che si sfregavano. Tutto meccanico, senza trasporto. Quei rapidi spasmi che alla fine riusciva anche a provare non erano certo i fuochi d'artificio di cui parlavano le altre donne. Ecco, a lei sarebbe andata bene una via di mezzo. Non cercava il protagonista di un filmone d'amore, solo un compagno con cui avere un'accettabile intesa sessuale.

    Che fosse colpa sua, era da tempo più di un sospetto.

    Si era confidata con una sola persona, la sua amica Cindy. «Prova da sola, impara a conoscere il tuo corpo e le tue fantasie» l'aveva incoraggiata. Anche lì, però, fallimento totale. Spersa nel suo letto, cercando di immaginare corpi muscolosi, labbra calde e membri incandescenti, si sentiva ridicola. Alla fine l'orgasmo arrivava, ma portandosi appresso la sensazione di essere una donna incompleta, dimezzata. La diagnosi se l'era fatta da sola. Assoluta incapacità di sciogliersi nel desiderio, di lasciarsi andare, forse a causa dell'educazione ricevuta dal padre. Non bigotta, nemmeno cattolica. Un eccesso di razionalità, l’avrebbe definita.

    Ogni uomo della sua vita le aveva mosso lo stesso rimprovero: troppo fredda, troppo controllata, innamorata solo della sua intelligenza. In fondo avevano ragione, ma lei, che sul lavoro trovava soluzioni impensate, in questo campo non sapeva proprio da dove iniziare. Così, senza complicità, senza un vero legame intimo, tutti i partner le venivano a noia e li lasciava.

    «Ho pensato per anni che tuo padre ti avesse cresciuta come fossi un maschio. Mi sono sbagliata. Ti ha educata da genio» si era lasciata sfuggire una volta sua madre.

    Il citofono la riportò alla realtà.

    «Sono arrivati gli zii con le pizze, mamma» gridò Samuel dall'ingresso.

    Non si trattava di una tranquilla serata in famiglia, purtroppo.

    Ed eccolo, il secondo pensiero urticante, quello che sfuggiva fin dal mattino, quando aveva visto gli strilli dei giornali. Erano lì, a pochi passi da lei, sparsi sulla sdraio.

    Tutti parlavano di loro, i fratelli Toldani Buchanan, da ieri ufficialmente proprietari della Roma Calcio. Parlavano di lei, Una Venere Bionda presidente della Roma.

    Se l'aspettava, e questo era il motivo per cui aveva contrastato il progetto fin dall'inizio, ma il suo dissenso non era bastato. Non di fronte all'entusiasmo di tutti gli uomini di famiglia. Non di fronte ai numeri, che davano loro ragione. Non di fronte all'impegno di Fulvio, che da due anni lavorava per costruire la squadra capace di conquistare tutti gli allori. Soprattutto, non di fronte al fatto che quella squadra avrebbe vinto portando sulle maglie il logo Tolbuch. Una pubblicità strepitosa, proprio nel momento in cui l’azienda stava consolidando la propria posizione nel mercato dell'alta tecnologia. Entro Natale avrebbero lanciato sul mercato uno smartphone capace di rivoluzionare il settore.

    Fulvio posò le pizze sul tavolo e la raggiunse. «Fregatene» le disse, indicando i giornali. «Non sarà necessario che tu ti esponga troppo. Io sarò l'amministratore delegato e Andrew il mio vice. Penseremo noi a tutto. La tua carica sarà solo nominale. Basterà una visita alla squadra a inizio stagione, la presenza allo stadio ogni tanto.»

    «Non c'è problema. Mi chiamino come vogliono. Sai che ho la pelle dura» rispose.

    3.

    Il giorno in cui entrò ufficialmente in carica come presidente dell'A.S. Roma, Francesca Toldani Buchanan si preparò con cura, attenta a discostarsi il più possibile dall'immagine odiata della Venere Bionda.

    Scelse un tailleur pantalone di lino color sabbia, con una T-shirt in seta dello stesso colore. Legò i capelli in una treccia stretta, che partiva dalla sommità della testa. Si truccò, come sempre, in maniera impercettibile.

    La sede della squadra, in periferia sud, le piacque subito. Vide due campi da calcio in erba, uno da tennis, un piccolo spiazzo per il basket. Aree di verde dappertutto, alberi e siepi a proteggere la privacy. Tutto molto ben tenuto, curato. Le palazzine erano due, vicine ma non comunicanti. Una era la sede della società. L'altra, l'albergo dove la squadra viveva nei giorni di ritiro.

    Squadra e dirigenza tecnica la attendevano nella hall.

    Francesca entrò a testa alta, sguardo diritto, risoluto, mitigato da un accenno di sorriso.

    «Signori, buongiorno a tutti» disse, la stessa frase con cui ogni mattina salutava i suoi collaboratori.

    Si era documentata ed era stato molto facile, vista l'abbondanza del materiale. Aveva studiato nomi, facce e ruoli,

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1