Se l’uomo discende dai pesci, come afferma la scienza di cui non abbiamo ragione di dubitare, sarebbe interessante capire come lui, cioè noi, in poche centinaia di migliaia di anni sia riuscito a sviluppare un cervello che lo ha portato sulla luna, mentre i pesci, in varie centinaia di milioni di anni, di progressi ne abbiano fatti pochini. Il tema è indubbiamente interessante ma, in carenza di spazio e di competenze specifiche, già limitarci a indagare sul cervello dei pesci può comunque offrire diversi spunti di riflessione, anche perché il cervello è l’hardware che fornisce a loro come a noi il software per sopravvivere o, mettendola più semplicemente, è l’organo che attraverso i cinque sensi governa il comportamento degli esseri viventi. Nel caso dei pesci poi, come vedremo, i sensi sono addirittura sei, il che non ha loro impedito di subire da parte dell’uomo una pesante decimazione, esasperazione di quella inesorabile legge di natura per la quale “pesce grosso mangia pesce piccolo”.
Benché i pesci non siano accreditati di un gran cervello, per sopravvivere in un ambiente in cui vita e morte si fondono e si confondono con estrema facilità devono disporre di sensi ben sviluppati, o per lo meno adatti alle caratteristiche dell’ambiente. La conoscenza del contesto in cui un animale vive - pesci in primis - deriva dagli impulsi nervosi che affluiscono al cervello dai vari organi sensoriali disposti lungo il corpo, organi che reagiscono a stimolazioni di vario tipo e che consentono loro di reagire di conseguenza. Come ad esempio nella percezione di temperatura e salinità, parametri vitali per dar luogo e sviluppo ai processi riproduttivi e al fenomeno delle migrazioni. Se però i pesci non hanno un gran cervello, o più in particolare mancano di quegli sviluppi della corteccia cerebrale che generano il “pensiero”, esclusiva squisitamente umana, hanno però