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Il mare svuotato: Quale futuro per l'Economia Blu?
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E-book391 pagine4 ore

Il mare svuotato: Quale futuro per l'Economia Blu?

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Info su questo ebook

Che cosa potete imparare da questo libro
  • Come gli esseri umani hanno gradualmente scoperto le risorse del mare, a partire dai nostri più remoti antenati
  • Cos’è la maledizione del pescatore e perché i pescatori sono stati sempre poveri nella storia, e lo sono tuttora.
  • Perché tendiamo a distruggere le cose che ci fanno vivere e come il sovrasfruttamento ha distrutto molti degli stock di pesce che una volta erano abbondanti. E li stiamo ancora distruggendo.
  • Come l’inquinamento sta danneggiando il mare: dalle isole di plastica nel mezzo degli oceani all’aumento del livello del mare.
  • Perché l’acquacoltura non è necessariamente la soluzione magica alla fame nel mondo e che cosa ci possiamo aspettare nel futuro dalla pesca.
  • Possiamo veramente estrarre minerali e energia dal mare? Potrebbe venir fuori che non è così facile come alcuni hanno detto.
  • Quali sono i limiti alle risorse del mare? Cosa ci possiamo realisticamente aspettare di ottenere dal mare nel futuro?
In più, imparerete come i Neanderthal hanno attraversato il mare sulle loro piroghe, come era possibile che cinque uomini su una barchetta a remi potessero uccidere un animale grande e possente come una balena, che tipo di olio hanno messo nelle loro lampade le vergini del Vangelo, come un professore di matematica – Vito Volterra – ha scoperto le equazioni della pesca, come una nuova generazione di navi a vela potrebbe rimpiazzare le navi puzzolenti e inquinanti di oggi, dove siano finiti i pescatori che una volta vivevano lungo la costa e come mai è diventato così facile essere punti da una medusa mentre si fa il bagno in mare. E molto di più. Potrete anche giocare al Gioco di Moby Dick, un semplice gioco da tavolo che illustra il fenomeno del sovrasfruttamento.
INDICE
Prefazione di Daniel Pauly
Il mare svuotato
Introduzione
I. Gli uomini e il mare
La Scimmia acquatica: alla scoperta del mare
BOX – I navigatori dell’età della pietra
Quello che non ammazza, ingrassa. Come si conserva il pesce?
BOX – Il pesce come soggetto artistico
La maledizione del pescatore
Capitan Findus alla riscossa! La nascita della pesca industriale
BOX – Pesca e decolleté: cosa hanno in comune?
Acquapocalisse: la fine del pesce
Le isole di plastica: il mare avvelenato
La Grande Onda: Il livello del mare e il riscaldamento globale
BOX – Il vecchio e il mare: che cosa è rimasto oltre mezzo secolo dopo?
II. La guerra contro il mare
Moby Dick: La Strage delle Balene
BOX – Le Vergini e il loro olio
BOX – La caccia alla balena raccontata al pubblico
Caviale: L’estinzione dello storione
Terranova: La distruzione del merluzzo atlantico
III. Quanti pesci ci sono in mare
Il professore e i pescatori
Le equazioni della pesca
Dal collasso delle Torri Gemelle a quello della pesca
BOX – Il pesce spada innamorato
IV. Il futuro: l’Economia Blu
L’abisso: I tesori del mare
Potere Blu: Energia e minerali dal mare?
Globalizzazione: Quale futuro per il trasporto marino?
Acquacoltura: Le soluzioni che peggiorano il problema.
Una pesca sostenibile. La pillola rossa o la pillola blu?
BOX – E l’Italia?
V. Conclusione: L’orrore che venne a Sarnath
BOX – La Medusa di Benvenuto Cellini: gli antichi mostri marini
Appendice
Consigli. Che pesce mangiare?
Consigli. Per saperne di più
Materiale didattico. Il pescatore e il contadino
Materiale didattico. Moby Dick: Il gioco della pesca
Ringraziamenti ai lettori
LinguaItaliano
Data di uscita25 ago 2020
ISBN9788835981909
Il mare svuotato: Quale futuro per l'Economia Blu?

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    Anteprima del libro

    Il mare svuotato - Ugo Bardi Ilaria Perissi

    Ilaria dedica questo libro (il suo primo libro) alla figlia

    Viola che aveva quattro anni mentre lo scrivevamo, con

    l’augurio che il mare rimanga per tutta la sua vita pulito,

    bello, e pieno di pesci, balene, delfini e tutto il resto.

    Ugo dedica questo libro al capodoglio Giovanni, con

    l’augurio che possa nuotare libero e felice ancora per molti

    anni nel suo mare, il Santuario internazionale dei cetacei

    nel Mar Tirreno.

    Ugo Bardi     Ilaria Perissi

    Il mare svuotato

    Quale futuro per l’Economia Blu

    Editori Riuniti

    I edizione cartacea maggio 2020

    I edizione digitale agosto 2020

    © 2020 Editori Riuniti – Roma

    di Gruppo Editoriale Italiano srl – Roma

    www.editoririuniti.it

    ISBN 978-88-359-8190-9

    Ringraziamenti

    Vorremmo ringraziare le persone che ci hanno aiutato o ispirato in questo lavoro: Sabina Airoldi, Stefano Armenia, Toufic El Asmar, Marina Clauser, Valeria D’Ambrosio, Stefano Dominici, Sara Falsini, Valeria Fenudi, Charlie Hall, Alessandro Lavacchi, Gianluca Martelloni, Loren McClenachan, John MacDonald, Alexandra Morton, Tatiana Yugay, Salvatore Tredici, come pure il Tethys Research Institute. In particolare, ringraziamo Daniel Pauly, molto più esperto di noi per tutto quanto riguarda il mare che ci ha aiutato a correggere gli errori delle versioni iniziali del manocritto di questo libro.

    Prefazione

    di Daniel Pauly

    Ci sono – in lingua inglese – moltissimi libri che documentano come la pesca intensiva e incontrollata porti al sovrasfruttamento delle risorse ittiche, fenomeno che impoverisce sempre più i nostri mari di questa preziosa risorsa, portando di conseguenza al declino dell’intero settore della pesca a livello mondiale.

    Questi libri – e confesso di averne scritti alcuni e di aver dato il mio contribuito anche in quelli di molti altri autori – sono di solito noiosi in quanto si rivolgono agli esperti del mondo della pesca, il che significa che per poterli leggere bisogna essere interessati all’argomento.

    Il mare svuotato è stato scritto da due scienziati affermati, che tuttavia non sono specialisti della pesca. Così, questo libro presenta il problema della pesca incontrollata sotto una prospettiva diversa, una prospettiva estranea a quella degli esperti. Mi preme aggiungere, tuttavia, che questa prospettiva estranea rende il libro migliore di altri perché ne potrà beneficio qualsiasi lettore, interessato o meno alla pesca.

    In effetti, Il mare svuotato fa ciò che nessuno dei cosiddetti tomi fa: si rivolge a chi è solitamente impossibile da raggiungere con tematiche specialistiche. Il libro mostra che esiste una dimensione intellettuale nell’azione della pesca. In altre parole, considerando che la pesca è storicamente una delle nostre due principali interazioni con l’oceano (l’altra è il trasporto marittimo), vale la pena riflettere profondamente sul ruolo che la pesca ha nella nostra storia, economia e quotidianità.

    Gli autori dimostrano che, fin dall’antichità, l’impatto che ha la pesca sugli oceani è uno dei più ricorrentemente trattati fra gli scrittori. Introducono inoltre concetti pertinenti al linguaggio tecnico della pesca (rendimento del pescato massimo sostenibile, quantità totale ammissibile di cattura del pesce e altri importanti parametri che regolano la pesca) ma contestualizzandoli in modo piacevole, sia dal punto di vista storico che intellettuale, attraverso esempi, riferimenti e citazioni abbondanti, che vanno da Peter Paul Rubens (il pittore) a John Steinbeck (quello di Cannery Row), dal grande Vito Volterra al Capitano Findus, e dai Neanderthal a El Niño, saltando felicemente in questo processo dalle discipline umanistiche alle scienze e viceversa.

    Il tema della pesca si presta particolarmente a questa narrativa dinamica, dal momento che, per definizione, le discipline umanistiche studiano l’interazione tra le entità biologiche (come il pesce) e gli strumenti realizzati dall’uomo (ad esempio per la caccia). Per via di questo suo carattere dinamico, un libro come questo non può essere noioso e infatti non lo è. Senza perdere il lettore, gli autori riescono infatti a ripercorrere molta della storia della pesca e, contemporaneamente, ad introdurre i concetti principali della scienza della pesca.

    Gli autori trattano anche il tema dell’impatto che il riscaldamento globale sta avendo su alcune specie ittiche e il disastro dovuto all’enorme quantità di plastica che sta soffocando i mari – entrambi conferme tardive dell’esistenza di limiti alla crescita, ovvero di limiti a quella crescita economica incondizionata che non sarebbe durata per sempre, come già opportunamente evidenziato dall’omonimo studio degli scienziati del Club di Roma già negli anni Settanta.

    Un’ultima osservazione: anche se ho visto e apprezzato tutte le serie TV del detective Montalbano nel mix originale di italiano e siciliano, non parlo italiano e questa prefazione è stata gentilmente tradotta dall’inglese dagli autori. Pertanto, leggo il libro triangolando minuziosamente la sua prosa tra francese e spagnolo e residui della scuola latina. E perché questo sforzo? Perché questo libro mi ha affascinato e fatto imparare cose nuove, anche se ho lavorato per 40 anni sulla pesca e sui suoi problemi in tutto il mondo.

    Daniel Pauly

    Vancouver, settembre 2019

    Il mare svuotato

    Quale futuro per l’Economia Blu?

    Introduzione

    Vi è mai successo di essere punti da una medusa mentre nuotavate in mare? Se vi è capitato, sapete quanto sia doloroso. Certo, per essere pignoli, bisognerebbe specificare che le meduse hanno il nome scientifico di Cnidaria e non hanno veramente un pungiglione, sono i loro tentacoli che emettono sostanze urticanti. Ma non importa: comunque si chiamino, che abbiano un pungiglione o no, toccare una di queste bestioline eteree e per certi aspetti eleganti basta e avanza per rovinarvi le vacanze per via di una bella e dolorosa bruciatura.

    La presenza di meduse in mare è uno di quei cambiamenti graduali che col tempo diventano la nuova normalità, un po’ come le ondate di calore sempre più intense e frequenti in estate. Per i ragazzi che fanno il bagno davanti alla spiaggia, oggi, le meduse sono una cosa normale al punto che è facile vederli organizzare delle vere e proprie squadre anti-medusa che sorvegliano le acque per far sì che i loro amici possano fare il bagno in pace. Ma chi di noi è un po’ più attempato si può ricordare come, tempo fa, il problema meduse non si poneva. Sicuramente ce n’erano nel mare, ma erano rare a sufficienza che nessuno se ne preoccupava.

    Forse avete avuto anche la possibilità di nuotare a una certa distanza dalla costa. In questo caso, avete anche notato un’altra cosa: dove sono andati a finire i pesci? Certo non sono completamente spariti, qualche pesciolino si vede ancora. Ma se pensate che, un tempo, i villaggi sulla costa del Mediterraneo erano abitati non da turisti ma da pescatori con i loro gozzi, viene da pensare cosa potessero pescare con quelle barchette, sicuramente non in grado di andare molto lontano. Forse pescavano meduse? E dove sono andati a finire? Forse sono diventati tutti camerieri, ristoratori, o affittacamere? Di sicuro non si vedono più molti pescherecci in giro. Cos’è successo alla pesca?

    Ovviamente, le osservazioni occasionali che uno di noi può fare mentre fa il bagno non hanno valore di prova. Tuttavia, molti studi indicano che è vero che le meduse sono più diffuse oggi di quanto non lo fossero qualche decennio fa, perlomeno in certe aree specifiche. Fra le altre cose vediamo arrivare nel Mediterraneo delle meduse esotiche e particolarmente velenose, mai viste prima. Le più pericolose sono la Medusa nomade e la Caravella portoghese, per ora avvistate solo in Calabria e Sicilia, che sono potenzialmente mortali per gli esseri umani. E non solo questo: gli studi indicano chiaramente che in molti casi la pesca eccessiva sta distruggendo i banchi di pesce. Se è vero che si pesca ancora nel Mediterraneo, si pesca molto meno di una volta ed è anche vero che ci sono sempre meno pescatori. E questo è un fatto che si sta verificando in tutti mari del mondo: ci sono meno pescatori che pescano sempre meno pesce perché ce n’è sempre di meno. E il processo continua sempre più rapidamente con le industrie della pesca, oggi bene attrezzate e tecnologicamente progredite, che competono per pescare più che possono… finché possono.

    Un altro effetto del cambiamento in corso è l’aumento del consumo di crostacei e molluschi le cui popolazioni sono favorite dalla sparizione dei loro predatori, i pesci. Le aragoste, per esempio, erano una volta un cibo raro e costoso ma oggi cominciano ad apparire nei supermercati e anche al ristorante, dove non sono più fuori della portata dell’avventore medio. In certe regioni del mondo, Cina e Giappone in particolare, persino le meduse stanno diventando un cibo abbastanza comune. Non che siano molto nutrienti, sono bestioline fatte principalmente di acqua. Chi le ha assaggiate dice che sanno di poco, ma immerse in qualche salsina orientale sono accettabili. Da noi, le meduse non sono ancora considerate come cibo, ma è possibile che prima o poi vedremo apparire gli spaghetti alle meduse nei menù dei ristoranti. E perché non una pizza alle meduse?

    Queste osservazioni spiegano molte cose: anche la proliferazione delle meduse. I pesci mangiano le meduse e se ci sono meno pesci le meduse prosperano. Adesso, se vi punge una medusa, sapete perché. (nella foto, vedete Ugo che osserva le meduse dell’acquario di Berlino: per fortuna sono dietro una lastra di vetro).

    Fig. 1. Le meduse dell’acquario di Berlino con Ugo Bardi in silhouette, (foto Ugo Bardi).

    Tutto questo è parte di un gigantesco cambiamento che si sta verificando non solo nel Mar Mediterraneo, ma ovunque nei mari del mondo. È parte di quel fenomeno che oggi è di moda chiamare Economia blu, (o anche Blue Growth, crescita blu), l’insieme delle attività che sfruttano le risorse marine: la principale è sempre stata, e rimane ancora oggi, la pesca. Ma il mare viene sfruttato anche per le sue risorse minerali: le trivelle che vedete al largo a tirar fuori petrolio e gas ne sono un buon esempio. E anche gli impianti di desalinizzazione, oggi sempre più diffusi, sono un modo di estrarre qualcosa dal mare, in questo caso acqua potabile. E poi c’è il trasporto, il turismo, gli interessi militari, la ricerca scientifica, e tante altre cose che si stanno sviluppando sempre di più. Il mare cambia, non è più quello romantico dei pescatori di una volta, è un’arena per lo sviluppo industriale, è un dominio da arraffare quando e come si può. È una risorsa economica.

    Certo, non si parla più delle città sottomarine che erano di moda nei romanzi di fantascienza degli anni ’50. Ma si parla di tante altre cose che prima non erano nemmeno immaginabili riferendosi ai tesori che si ritiene ancora il mare racchiuda e che ci porteranno nuova prosperità, anche sostenibile. Il concetto è diventato popolare al punto che viene utilizzato anche per definire tecnologie non correlate al mare, purché sostenibili, come nel libro The Blue Economy di Gunter Pauli (2009). Ma la popolarità dell’economia blu nasce più che altro da un fattore specifico: è arrivata sull’onda (proprio il caso di dirlo) dello sviluppo spettacolare dell’acquacoltura. Una volta era un’attività che si faceva più che altro in Cina a livello familiare per produrre gamberetti. Ma oggi l’acquacoltura produce quasi altrettanto della pesca tradizionale in termini di massa e macina un giro d’affari di centinaia di miliardi in tutto il mondo. È uno dei pochi settori industriali rimasti che riescono ancora ad aumentare il loro fatturato in modo robusto, in certi casi, con valori a due cifre ogni anno. Il successo dell’acquacoltura si è trascinato dietro una completa riorganizzazione della pesca tradizionale che si è trasformata da un settore che produceva pesce per il consumo umano a un sistema che produce in gran parte mangimi per gli allevamenti.

    È una rivoluzione che sta portando i pescherecci ad andare a pescare cose che una volta nessuno avrebbe voluto immaginare come cibo per esseri umani. Era impensabile fino a pochi anni fa che saremmo andati a cercare i minuscoli gamberetti che si chiamano krill che una volta erano solo cibo per balene. Oggi se ne parla come cibo per gli esseri umani e in Giappone li potete mangiare fritti: se vi capita, li potete ordinare chiedendo okyami. Era impensabile fino a pochi anni fa ragionare seriamente di cucinare il plancton marino e di farci dei panini. Oggi c’è chi si sta inventando ricette a base di plancton visto come cibo del futuro (indovinate di cosa sa? Toh, sa di pesce!).

    Alle volte, questi sviluppi vengono presentati come un grande successo dell’intelligenza e dell’intraprendenza umana: la nostra marcia verso la conquista del mare sta proseguendo senza intoppi verso successi sempre più strepitosi: una volta usavamo navi a vela per sterminare le balene, ma oggi possiamo usare i nuovi super pescherecci – vere astronavi del mare – per andare a raccogliere la ricchezza del mare: le enormi masse di plancton che potrebbero dar da mangiare in abbondanza per miliardi e miliardi di esseri umani. E poi produrremo anche energia e minerali dal mare. Per non parlare poi dell’espansione del turismo e delle rotte commerciali. È l’economia blu, ragazzo mio!

    Ma possiamo veramente fare una cosa del genere? E se sì, con quali conseguenze? E, ancora, è qualcosa che vogliamo veramente fare?

    Questo libro, Il mare svuotato cerca di spiegarvi le ragioni di questa incredibile corsa allo sfruttamento delle risorse marine nel contesto dell’Economia blu. Il titolo riprende quello di un libro precedente di uno di noi (Ugo Bardi): La Terra svuotata (2011) che descriveva come l’industria mineraria stava svuotando la crosta terrestre dei minerali che si erano accumulati in milioni di anni di attività geologica e biologica. Era basato sui modelli sviluppati già negli anni 1970 per il famoso studio dei Limiti dello sviluppo che per primo aveva definito i limiti all’espansione umana su un pianeta finito. È stato studiando questi meccanismi che ci siamo accorti che gli stessi modelli che funzionavano per l’economia in generale funzionano altrettanto bene per la pesca. Il risultato è stato una serie di scoperte affascinanti.

    La cosa più preoccupante che abbiamo trovato è che stiamo veramente svuotando il mare. Proprio così: vi ricordate la vecchia storia cinese che diceva «dai a un uomo un pesce e mangerà per un giorno, insegnagli a pescare e mangerà per tutta la vita»? Era una saggia storia che si riferiva alla pesca nei tempi antichi, quando era un’attività artigianale che non danneggiava le risorse marine. Oggi, la dovremmo modificare come «dai a un uomo un pesce e mangerà per un giorno, insegnagli a pescare e svuoterà il mare». È proprio quello che sta succedendo. E se continua così, andrà sempre peggio, con in più i rischi dovuti all’inquinamento che diventa sempre peggiore via via che l’attività industriale si espande, e con essa la produzione di rifiuti. Fino a pochi anni fa, nessuno si sarebbe immaginato che gli esseri umani sarebbero stati capaci di creare vere e proprie isole di plastica nel mezzo degli oceani. Oggi, invece, sono un problema importante che nessuno sa veramente come risolvere.

    Questa è la storia che vi raccontiamo in questo libro. È una storia che ci dice molto non solo del mare, ma anche di come noi umani ci rapportiamo con le risorse che ci fanno vivere – non solo il pesce – riuscendo spesso a distruggerle per la nostra continua ricerca di profitto. È una storia che gli autori di questo libro vi raccontano, come meglio possono, dalla loro esperienza di ricercatori e di divulgatori. Questo è un libro dove non solo si espongono dati e fatti, ma si suggeriscono anche modi di rendere questi dati e questi fatti comprensibili a tutti, specialmente ai giovani che potrebbero trovarsi a vivere in un mondo dove i pesci potrebbero essere solo un ricordo e uno snack di meduse diventare cosa normale.

    I. Gli uomini e il mare

    Fig. 2. Paesaggio mediterraneo. È probabile che il primo contatto continuo dei nostri remoti antenati con il mare sia avvenuto in un paesaggio come questo. Sicuramente frequentavano le spiagge, molto probabilmente sapevano nuotare e c’è evidenza che viaggiavano per mare già parecchie decine (forse centinaia) di migliaia di anni fa.

    La Scimmia acquatica:

    alla scoperta del mare

    Because there’s nothing more beautifulthan the way the ocean refuses to stop kissing the shoreline, no matter how many times it’s sent away.¹ Sarah Kay

    Avete mai sentito parlare di una scimmia acquatica? No, nei libri di zoologia non si trova traccia di niente del genere. Ma l’idea è rara persino in termini di creature fantastiche, tipo fumetti e cartoni animati: scimmie e acqua sembrano essere entità che non vanno d’accordo l’una con l’altra. Non che le scimmie non sappiano nuotare; se necessario lo fanno, ma sembra che non lo facciano spesso e neppure volentieri. Questo con qualche eccezione. Una è quella dei macachi giapponesi: in inverno amano molto stare a mollo nelle sorgenti calde, mentre in estate apprezzano le piscine costruite dai loro cugini primati, i sapiens, meglio noti come esseri umani.

    Una caratteristica dei sapiens è che come nuotatori sono fra i peggiori anche in confronto agli altri primati. Il loro corpo è poco adatto a quel tipo di nuoto che viene naturale alla maggioranza degli animali terrestri. I quadrupedi nuotano letteralmente camminando dentro l’acqua e la loro struttura corporea gli rende facile tenere la testa fuori per respirare. È proprio una questione di architettura della scatola cranica: negli umani il foro occipitale è centrale, la testa sta appoggiata verticalmente sulla colonna vertebrale. Negli altri mammiferi, invece, quasi sempre il foro occipitale si trova più indietro e la testa viene tenuta verticale da appositi muscoli. Così, un cane non ha bisogno di imparare a nuotare, lo fa senza problemi già la prima volta che si butta in acqua e non ha difficoltà a tenere la testa fuori. Persino i gatti sono buoni nuotatori nonostante la fama che hanno di non amare l’acqua. Per gli esseri umani invece, questo non è possibile: devono imparare un movimento per loro innaturale che gli permette di stare a galla tenendo la testa fuori dall’acqua almeno per il tempo che gli serve per respirare. Il problema doveva essere lo stesso per le varie specie di Homo che ci hanno preceduti e accompagnati nella nostra lunga storia evolutiva, creature dette una volta ominidi, ma oggi descritte di solito con il termine di ominini oppure hominini. Non sappiamo come se la cavassero con il nuoto ma, siccome avevano acquisito la stessa posizione eretta di noi uomini moderni, dovevano avere lo stesso problema con la necessità di tenere la testa fuori dall’acqua. Però, così come i sapiens moderni possono imparare a nuotare, lo potevano sicuramente fare anche i loro remoti antenati. Per esempio, i resti fossili mostrano che alcuni Neanderthal soffrivano di una patologia dell’orecchio, detta esostosi, una crescita anormale dell’osso all’interno del canale auricolare². Questa patologia colpisce oggi in particolare chi pratica sport acquatici e sembrerebbe indicare che i Neanderthal passassero molto tempo in mare o comunque dentro l’acqua. Tuttavia, alcuni dati isotopici mostrano che i Neanderthal non mangiavano pesce, o perlomeno che alcuni Neanderthal non lo favevano³. Forse la malattia delle orecchie derivava dall’abitare ambienti freddi e umidi. Oppure si impegnavano più che altro nella raccolta di cozze e arselle? O forse, chissà, gli piaceva fare il surf come fanno gli hawaiani di oggi!

    A questo punto, dovremmo anche citare una teoria che vuole che i nostri remoti antenati non erano solo costruttori di barche o zattere, ma erano proprio animali acquatici. Sì, qualcosa come le foche. L’idea è stata proposta per la prima volta dal biologo Alister Hardy negli anni ’60⁴ sulla base di alcune caratteristiche degli esseri umani che gli altri primati non hanno: principalmente il fatto di essere senza peli e avere grasso sottocutaneo. Queste sono caratteristiche tipiche dei mammiferi marini, balene, delfini, e altri. Quindi perché non pensare che gli umani non abbiano seguito una strada evolutiva simile? Secondo questa idea, durante una fase della loro esistenza i nostri remoti antenati avevano trovato conveniente nutrirsi di molluschi e crostacei e quindi passavano la maggior parte del loro tempo a mollo in acque poco profonde vicino alla costa. In questo caso, avrebbero acquisito almeno alcune delle caratteristiche dei mammiferi marini, appunto, il grasso sottocutaneo e la mancanza di peli. C’è chi ha detto che questa è la vera origine delle sirene delle leggende. Sicuramente, l’idea mantiene un certo fascino ancora oggi con le varie sirenette dei cartoni animati e dei fumetti. Nel 2012 Discovery Channel ebbe la cattiva idea di trasmettere un documentario intitolato Mermaids: The Body Found (Sirene: il corpo ritrovato). Era fantascienza, ma molta gente credette che fosse un vero documentario: per qualche ragione sembra che molti di noi trovino affascinante l’idea di un uomo o una donna con la coda di pesce.

    Fig. 3. La sirena di Copenaghen. Statua in bronzo eretta nel 1913 su ispirazione della storia La Piccola Sirena di Hans Christian Andersen. Una bellissima storia, ma i nostri antenati non hanno mai avuto la coda di pesce.

    Nel mondo reale, la cosa più vicina alle sirene in stile Hollywood sono le Ama giapponesi, donne pescatrici specializzate nell’immersione profonda per raccogliere sia perle che molluschi. È una tradizione molto antica nel Sud del Giappone ma oggi pare che ne siano rimaste soltanto qualche decina, più che altro attrazioni per turisti. La foto nella fig. 4 è di Fosco Maraini, grande studioso delle tradizioni e della cultura giapponese. È stata scattata nel 1954, quando ancora le Ama si guadagnavano da vivere pescando. Come la sirenetta di Copenaghen, le Ama non portavano il reggiseno. Però non avevano la coda di pesce.

    Fig. 4. Una delle pescatrici di perle giapponesi durante un’immersione. Foto di Fosco Maraini.

    La teoria della scimmia acquatica fa capolino ogni tanto nella discussione scientifica sulle origini dell’uomo e, di solito, se ne ritorna via imbrattata con metaforici pomodori maturi. La maggior parte degli antropologi la ritiene francamente una fesseria e questo per varie ottime ragioni. Non esistono prove che gli esseri umani siano mai stati animali acquatici e la mancanza di pelo e il grasso sottocutaneo sono caratteristiche che si possono spiegare meglio in altri modi. In ogni caso, se essere nudi dava dei vantaggi quando i nostri antenati erano creature semiacquatiche, oggi non lo siamo più, quindi perché non abbiamo riacquistato il pelo di una volta?

    Lasciando perdere questa teoria un po’ campata in aria (o forse immersa in acqua), il consenso generale tra gli antropologi è che i nostri antenati ominidi vivevano nelle savane, un ambiente al quale si erano adattati dopo aver abbandonato le foreste originarie. Erano onnivori creativi che si adattavano alle risorse disponibili: si nutrivano di quello che trovavano, bacche, frutta, radici e cose del genere, ma andavano anche a caccia per procurarsi carne. Anche le scimmie moderne vanno a caccia, ma per loro è più che altro un’attività occasionale, mentre per gli ominidi, e per la specie sapiens in particolare, è sempre stata importante.

    È probabile che i nostri antenati abbiano scoperto presto che anche il mare poteva essere una risorsa di cibo, e in particolare di proteine, non meno importante della savana. C’è evidenza archeologica che si muovevano lungo le spiagge sfruttando le basse maree per raccogliere tutto quello che il mare aveva lasciato quando si ritirava: alghe, molluschi, crostacei, e qualche pesce rimasto intrappolato nelle pozze. Va detto che questo tipo di nutrimento non ha un gran contenuto calorico, quello dei molluschi si aggira sulle 70-85 kcal per 100g di parte commestibile⁵. Valori simili valgono per i crostacei. È poco in confronto a quello di una buona bistecca di un animale terrestre che contiene oltre 200 kcal per 100 grammi. Ma, in un’epoca in cui i supermercati non esistevano, per procurarsi una bistecca bisognava rincorrerla quando viaggiava ancora su quattro zampe, cosa che indubbiamente aveva un costo energetico non indifferente. Invece, ci vuole pochissimo sforzo per raccogliere un mollusco o un crostaceo dalla spiaggia o da una roccia. Non che i molluschi potessero sostituire in toto le bistecche: un essere umano ha bisogno di almeno 2500 kcal al giorno e con una dieta di soli molluschi dovrebbe mangiarne tre o quattro chili al giorno, probabilmente possibile ma quantomeno verrebbe presto a noia! In più, con tutto il sale che contengono, uno che mangiasse solo molluschi morirebbe giovane di ipertensione. Ma, come si diceva, i nostri antenati erano degli onnivori creativi e avevano sicuramente una dieta molto variata, niente di strano che includesse anche cozze e arselle.

    I pesci sono sicuramente un cibo ben superiore ai molluschi e ai crostacei, anche se non così densi di calorie come una bistecca. Il problema è che i pesci nuotano più rapidamente dei crostacei e trovarne uno lasciato sulla spiaggia dalla bassa marea doveva essere una cosa solo occasionale. Però, questi rari pesci spiaggiati davano sicuramente ai nostri antenati una chiara idea che era cibo di qualità, ma come procurarselo? Per gli umani, come per tutti gli animali terrestri privi di pinne, è impensabile rincorrere i pesci in acqua a nuoto come fanno i pinguini e le foche. Acchiappare un pesce stando fuori dall’acqua non sembra essere troppo difficile per gli uccelli, che riescono a localizzare le loro prede per poi catturarle con un rapido tuffo. Ci riescono anche alcuni pipistrelli. Per gli animali che non volano, la cosa è più difficile e occorrono tecniche particolari che solo pochi animali terrestri hanno sviluppato. Gli orsi polari si appostano vicino ai buchi nel ghiaccio dove

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