Sono passati tre decenni da quando venne scoperto l’incredibile potenziale che il processo della fusione a freddo della materia racchiude.
Siamo abituati a sentir parlare delle tradizionali centrali nucleari, le quali producono energia utilizzando il metodo della fissione nucleare, sfruttando una delle possibili reazioni nucleari. La sua scoperta risale alla metà degli anni Trenta. Questa tecnica sfrutta la naturale instabilità dei nuclei atomici dei materiali radioattivi (e pericolosi), come l’uranio, il plutonio, il torio. I nuclei di questi elementi sono caratterizzati da un numero atomico alto, per cui vengono definiti “pesanti”.
Se “spezzati” con metodi artificiali, danno origine a nuclei più leggeri e con un numero atomico minore. La riduzione della massa totale comporta la liberazione di un’abbondante quantità di energia termica, che viene impiegata per il riscaldamento dell’acqua di enormi turbine a vapore, collegate ad alternatori. È in questo modo che viene prodotta l’energia elettrica dalle moderne centrali nucleari. Il risultato è anche un costo esorbitante e un grande pericolo per la salute degli esseri viventi e dell’ambiente, data la produzione di scorie radioattive impossibili da smaltire.
L’altra reazione nucleare possibile è la fusione, processo inverso della fissione. Nella reazione i nuclei di atomi leggeri, stabili (non radioattivi) e con numero atomico basso, come l’idrogeno, il deuterio o il trizio, possono entrare in collisione e fondersi, dando).
