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L’altro Can

o abbiamo conosciuto con i suoi anti-dress code, il codino e i muscoli. Poi scompare per un anno e, quando riappare, lo ritroviamo con il doppio dei muscoli, i capelli lunghi da Robinson Crusoe, il look ancora più hippie. Si allena nella foresta e si lava con la pompa dell’acqua. Indossa il triplo delle collanine e porta un fazzoletto colorato legato alle stringhe degli anfibi. È un altro Can quello che arriva dal mare in primavera, dopo un anno di assenza da Istanbul. Un terzo Can, potremmo dire, che – – è: abbandonato da sua madre quando era piccolo, è cresciuto imparando a non fidarsi mai di nessuno, a considerare la verità un valore assoluto, più importante di tutto, anche delle persone. La debolezza di Can è proprio l’inflessibilità, la fissazione per la perfezione morale: non ammette macchie nelle persone che gli stanno vicino; non accetta tutto ciò che può contaminarsi, perdere la propria purezza. Per questo il “secondo Can”, quello più insicuro, rissoso e livoroso, emerge in un momento di vulnerabilità, come quello della sua prima storia d’amore. Ma la colpa non è dei sentimenti: anzi, la storia con Sanem può considerarsi una leva, un’occasione per mettersi a confronto con la propria anima. Un innescatore della parte più nera (e più vera) di Can, che covava nel fondo del proprio cuore. Dopo la proposta di matrimonio a Sanem, tutto comincia a vacillare. L’organizzazione logistica delle nozze mette l’uomo alle strette. Can, abituato a non seguire mai regole e protocolli, è annoiato dalle tradizioni di famiglia, non ritiene utile seguire le consuetudini solo perché ha scelto di trascorrere il resto della vita con una persona. Poi non si fida di Yiğit (e fa bene), ma soprattutto non ritiene Sanem in grado di difendersi da sola dai pericoli, sottovaluta il suo lavoro e la offende, proponendole una raccomandazione. Infine, in uno scatto d’ira, dà una spinta al rivale che batte la testa sul cemento. Lo sguardo di Sanem e le sue parole («Sei violento! E se un giorno lo fossi con me?») Can sa che deve smettere subito di nutrire il proprio lato oscuro: con la barca cerca la via per trovare quello più luminoso, un po’ come gli hanno insegnato le sue pietre lunari. Non è stato l’amore a rendere Can un uomo cattivo, ma le sue debolezze. L’impulsività, la forza che non riesce a dosare, i gesti improvvisi rappresentano ciò che incrina la superficie cristallina di Can. Dopo l’incidente nel rifugio ha bisogno di trascorrere del tempo da solo, a contatto solo con il cielo e le onde, per smussare gli angoli, arrivare a essere ciò che vorrebbe: un uomo sicuro di sé, forte, che non ha bisogno di agire impulsivamente perché sono il cervello e il cuore a costituire la sua sicurezza. . A contatto con il mare ha modo di ascoltare se stesso e ritrovare quella calma che la frenesia della metropoli, con tutti gli intrighi e le macchinazioni, gli aveva risucchiato. Quel Darth Vader che lo minacciava non esiste più. Can ha scoperto di avere le risorse per affrontare la vita – e i suoi problemi – in modo diverso. Per questo, dopo un anno, torna a Istanbul nuovo, diverso, pronto a seppellire “l’altro Can” e con lui anche il primo che abbiamo conosciuto pre-lato oscuro, l’uomo che girava il mondo ed era allergico alle radici. «Ho sbagliato io» gli dice Sanem nella giornata in cui si trovano in barca, poco distanti dalla riva. «Ho cercato di cambiarti, ma tu sei un uomo che tiene alla libertà più di tutto». Verità, libertà. Concetti importanti, che sorreggono lo splendore di Can, il Can che abbiamo conosciuto e amato. Ma mai al di sopra dell’amore. A questo punto viene spontaneo chiedersi chi sia il più autentico: quello ironico e selvaggio che abbiamo conosciuto all’inizio, quello sospettoso e aggressivo di metà storia o quello più maturo che riscopriamo alla fine? In realtà è tutte queste persone insieme. Il lato oscuro non esclude mai il lato luminoso. Gli esseri umani commettono errori, si innamorano, si pentono, sanno dimostrarsi inopportuni, a volte collerici, e allo stesso tempo generosi, nobili, altruisti, sensibili. Proprio queste crepe, che lo fanno tanto soffrire, ci fanno amare Can ancora di più. Senza aver scoperto il suo lato più fragile, non sarebbe splendido e affascinante come solo l'umanità può essere.

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