“No, l’Artico non svela il suo segreto al prezzo di un biglietto della nave. Devi sopravvivere alla lunga notte, alle tempeste e all’annientamento dell’orgoglio umano. Devi aver osservato la mancanza di vita in tutte le cose per coglierne l’elemento vivente. Nel ritorno della luce, nella magia dei ghiacci, nel ritmo vitale degli animali osservati nella natura selvaggia, nelle leggi naturali di tutto ciò che è, rivelate qui nella loro compiutezza, si cela il segreto dell’Artico e la bellezza travolgente delle sue terre”.
Christiane Ritter,
Una donna nella notte polare (1938)
IN UN ROVENTE GIORNO DI LUGLIO DEL 1934, con addosso una tuta da sci e scarponi chiodati, Christiane Ritter si congedò dalla famiglia e dai domestici, raggiunse il porto di Amburgo e si imbarcò su una nave diretta in capo al mondo. Aveva un appuntamento con suo marito. Da tre anni Hermann Ritter viveva facendo il cacciatore di pellicce alle Svalbard, un gruppo di isole norvegesi che, sotto ogni punto di vista, erano molto più vicine al Polo Nord che alla confortevole casa della coppia a Vienna. Il viaggio di Christiane durò diverse settimane, al termine delle quali la prospettiva era di trovare una baita accogliente e trascorrere le giornate a leggere, scrivere e dipingere, al riparo accanto al fuoco. Oggi il viaggio è un po’ meno impegnativo, anche se la prima immagine delle Svalbard probabilmente non è cambiata dai tempi di Christiane. La vista dall’aereo, tre ore dopo la partenza da Oslo, è una distesa bianca infinita, con cime triangolari bianche che si ergono su ampie valli bianche fino all’orizzonte. Non c’è traccia di vita umana, né un lembo di terra dove essa potrebbe ragionevolmente trovare sostentamento.
Eppure gli uomini arrivavano
