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RONDO DASOSA

Rondodasosa, all’anagrafe Mattia Barbieri, viene dal Municipio 7 di Milano, quello di San Siro, ha 20 anni e con il suo primo EP “Giovane Rondo” nel 2020 si è classificato subito nella top 50 di Spotify. In poco tempo ha conquistato il suo posto nel mondo del rap, con singoli da milioni di stream come “Dubai” e “Solo/Alone” e collaborazioni con rapper internazionali come Central Cee e Tion Wayne. Per chi si domandasse cosa c’ènisce tutto il collettivo dei rapper di San Siro, i ragazzi del Municipio 7 appunto, che ha ottenuto la certificazione di Platino. Concede pochissime interviste, non è una persona che ama parlare, se passa del tempo con gli amici è perché vuole starci davvero; indossa spesso il balaclava, l’accessorio che copre il volto e lascia scoperta solo la fessura degli occhi; il copricapo mainstream degli ultimi anni derivato dall’abbigliamento di guerra… «Sono uno dei primi ad averlo indossato. In strada non mi piace che mi riconoscano e insieme a ski mask e track pants è ciò che io e gli altri portiamo». Gli altri per Rondo sono i colleghi rapper. «Quelli sempre arrabbiati. I giovani oggi sono arrabbiati perché è difficile trovare il proprio posto là fuori. È tornata la fame e orientarsi nelle periferie è complicato, figurati nel mondo. Altre volte perché non apprezzano ciò che hanno». Sembra la frase di un nonno che fa la predica al nipote, invece sono proprio le parole di Rondodasosa, che col tempo ha imparato il valore della gratitudine. «Pensa che il primo brano che ho scritto era dedicato a un amico in prigione. Lo hanno arrestato e ho buttato giù le parole, poi è arrivato il video su YouTube e le visualizzazioni che salivano». Parliamo di “Free Samy”, il freestyle uscito a gennaio 2020, che in poco tempo ha raggiunto 500mila views su YouTube e 500mila stream su Spotify. Samy diventerà Sacki 20148, riprendendo nel nome il CAP della zona popolare di San Siro, e Rondo inizierà a fare conoscere la sua musica, un mix di drill inglese e rap con influenze di Milano. “Quel ragazzo di San Siro” come lo definisce Lazza in un’intervista, fa la scuola tra gli spalti dello Stadio più importante, che si confronta a colpi di freeestyle con la scuola di Rozzano (l’altra scena del rap milanese). Le faide fanno parte della cultura rap e hip-hop. L’ultima? La discussione per le rime con Paky, «io non ascolto nessuno al di fuori di me stesso». Rondodasosa te lo immagini con la faccia imbronciata, i pugni chiusi quando si arrabbia e lo sguardo a volte rivolto verso il basso per timidezza. Con il successo che viaggia veloce, arriva anche quella che potremmo definire “FOMO/fame”(FOMO acronimo di fear of missing out e fame nel doppio significato italiano e inglese), l’altra faccia della medaglia delle nuove generazioni di artisti che in poco tempo raggiungono tutto e vogliono sempre di più. I rapper in Italia sono spesso associati ai soldi, al lusso, alle battute sessiste, ai successi materiali che tanto celebrano nei loro testi, ma Rondo alla domanda su quale sia il suo rapporto con il denaro non vuole rispondere. «Appena ho cominciato a guadagnare facendo musica ho solo comprato tantissime scarpe». Se i rapper all’estero sono considerati dei veri e propri artisti, in Italia è ancora difficile che vengano presi sul serio. «Ma qualcosa sta cambiando. La scena italiana e più in generale quella europea, sta diventando rilevante. Se paragonati all’hip-hop e rap americani non siamo più l’ultima ruota del carro». Rondodasosa è riservato, della sua vita privata non parla e su Instagram condivide pochissimo. In tanti si chiedono se ci sia qualcuno al suo fianco. Certo è che se la rabbia è propulsore creativo, per fare il rap non può mancare anche un po’ di amore.

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