La giocatrice di Apricale
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Anteprima del libro
La giocatrice di Apricale - Alessandro Giacobbe e Claudio Nobbio
Ringraziamenti
I nostri ringraziamenti vanno a tanti amici.
Ci sono stati vicinissimi Marco Cassini, Silvano Pisano, Roberto Pizzio, Giuliana, nonché Jeronimus L. Calder. Grazie a Franco Molinari di San Biagio autore ed altra memoria storica. Per la gentile concessione di foto, ancora ringraziamo Alfredo Moreschi, Pia Viale, Alberto Cane di Isolabona, Mino Casabianca della Famjia Sanremasca. Le fotografie a pp. 77-78 sono state gentilmente fornite da Luca Revelli.
Grazie a Delio Viale per le ricette e a Rosanna Mavian, Tuscia, per le ricerche su internet.
Alessandro Giacobbe è grato a tutti coloro che vivono la pallapugno assieme a lui, giocandola e parlandone.
Questo romanzo è frutto di fantasia. Ogni riferimento a persone e luoghi è puramente casuale.
Prefazione
Dopo la Contessa di Apricale e John Martin Clode ci propone la Giocatrice di Apricale. Una storia d’amore e di balun, scritto a quattro mani con il suo amico imperiese Alessandro Giacobbe.
Agnese, la protagonista, nostra compagna delle scuole elementari, unica donna a giocare al pallone elastico con noi, per una delusione d’amore, abbandona il paese, raggiungendo Venezia.
Nella città d’acqua era in atto uno spettacolo dell’Opera di Pechino al Teatro La Fenice.
Agnese che era brava nel cucire, entra a far parte del personale della compagnia.
Qui incontra il nuovo amore cinese
e con lui, riesce a raggiungere prima Pechino, poi un paese interno della Cina.
Clode, che abita a Venezia, durante una spedizione in Cina con alcuni amici motociclisti, Raid Venezia Pechino sulle orme di Marco Polo
, per una di quelle coincidenze che capitano ai viaggiatori, si accorge di alcuni ragazzini che giocano al balun nella piazza del villaggio.
La sua meraviglia ha presto risposta: Agnese, che gestisce una locanda in quel luogo, ha insegnato ai figli e ai nipoti questo antico gioco apricalese.
Questo intreccio tra realtà e fantasia ci ha incuriositi e rimandati coi ricordi ai nostri giochi di quel tempo ed ai nostri compagni, alcuni dei quali sono diventati famosi giocatori di balun.
L’Amministrazione Comunale ha deciso quindi di promuovere questa particolare iniziativa letteraria. Apricale è considerato anche il paese dell’amore ed è particolarmente sensibile a questo tema; poiché La giocatrice di Apricale è pure una storia d’amore, rientra a pieno titolo nel programma degli annuali festeggiamenti per San Valentino, che da anni ad Apricale sono un appuntamento fisso.
Roberto Pizzio
Sindaco di Apricale
Img1.jpgIntroduzione
Per la configurazione dei paesi della Liguria occidentale, l’unico gioco che vi si poteva adattare è sempre stato il pallone elastico oggi noto come pallapugno
, così come la palla a calci è adatta alle piazze cittadine, vigili urbani permettendo.
Tutti noi che siamo cresciuti in questi paesi arroccati sulle colline del Ponente ligure, per sfuggire agli assalti dei pirati, ricordate Mamma i Turchi, abbiamo giocato con palle di pezza prima, di gomma poi. Ci fasciavamo il pugno con il fazzoletto, e via a tirare pugni.
è passato del tempo, ma il gioco è rimasto più vivo che mai. Tornei, sfide epocali tra giocatori dei vari paesi, hanno luogo nello stretto dei carugi, in qualche slargo o piazzetta.
Ogni tanto qualcuno immagina che bisognerebbe spostare il gioco in qualche sferisterio nelle cittadine della costa. Ed in effetti esiste un campionato federale di pallapugno, con tutte le sue categorie e le giovanili. è una realtà codificata e regolare. Per la gente dei paesi, nulla di più sbagliato. Il gioco del balun è come il gioco dell’anima. In queste competizioni si rinnova e rivive la tradizione. Toglierlo sarebbe come abolire i dialetti. Ogni paese ha il suo, spesso ci sono parole diverse per indicare le stesse cose. C’è stato un tempo in cui le relazioni tra paese a paese erano quasi inesistenti. Solo in occasione dei tornei, delle sagre, delle feste dei santi, ci si avventurava oltre il nostro orizzonte. E nelle competizioni si aveva l’occasione di conoscere qualche abitante del paese vicino, poi dopo la sfida, ognuno tornava nel suo territorio.
In fondo è un po’ come vivere nei castelli, nei feudi, allora come ora. La tradizione va salvata, come questo gioco. Ed è per tale motivo che in questo libro abbiamo raccontato le nostre storie, pubblicato le fotografie dei nostri giocatori, inserito l’anima del balun.
A.G / C.N.
Img2.jpgImg3.jpgCAPITOLO 1
Come ero arrivato in quel paese della Cina non è semplice da raccontare.
Alcuni motociclisti veneti, di Padova e Venezia, tentavano un’avventura di viaggio sulle orme di Marco Polo.
Al loro seguito, ma a certa distanza e a loro insaputa, un gruppetto di supporter li seguiva, con un giorno di ritardo, per cogliere gli echi del loro passaggio e nel caso avessero avuto difficoltà.
I tre motociclisti non volevano alcun aiuto. Volevano percorrere la loro avventurosa strada senza comodità, tranne i loro cellulari e le scorte che portavano sulle moto.
Le jeep del seguito volevano svolgere una assistenza silenziosa come angeli o arcangeli.
Non è raro che nella città del Santo nasca qualche gruppo di assistenti sociali per amore del prossimo.
Questi angels mi proposero di unirmi a loro per prendere note di viaggio e confrontarle alla fine con quelle scritte dagli amici motociclisti.
Ne abbiamo ricavato un libro In moto con Marco Polo, di claudio Nobbio, editore www.granviale.it.
E così partirono i quattro motociclisti sulle loro rombanti BMW in un’assolata mattina di luglio, dalla città di Venezia, salutati da autorità cittadine, parenti e amici radunati presso l’Hotel Sofitel-Papadopoli. In sordina, senza la presenza di fotografi o troupe televisive, il giorno dopo partiva anche il drappello di inseguitori
di cui facevo parte.
Stava iniziando una strana avventura che mi avrebbe coinvolto in modo molto più profondo e interessante di quanto non mi aspettassi. Quel viaggio sulle orme di Marco Polo, sulla via della seta e delle spezie, che era servita ad unire Oriente e Occidente, mi avrebbe curiosamente riportato alle mie origini, alla mia terra natìa in maniera del tutto originale e inattesa. Come vedremo.
Img4.jpgLe soste durante il lungo itinerario avvenivano in alberghi quando possibile, altrimenti in tende apposite. Erano tende supertecnologiche. Tipiche di noi Occidentali quando intraprendiamo un viaggio in qualche modo estremo
. Eppure andando verso le steppe in cui regnò Gengis Khan o più tardi Tamerlano, si incontrano quelle yurte calde in inverno e fresche d’estate. Magari un po’ fumose all’interno, però smontabili in poco tempo tra la struttura mobile in tralci, l’imbottitura di paglia, le pelli di copertura. E poi così modulabili, basta togliere un elemento piuttosto che un altro e sei al fresco o al caldo e, comunque, i tappeti accompagnerebbero i nostri passi all’interno. Ci vengono in mente persino i tepees dei pellerossa delle praterie americane. E si pensa allora a quella cultura sciamanica del tutto comune patrimonio di ancestrali migrazioni. Forse è cosa comune a tutti i popoli disputarsi territorio con una palla di mezzo, vuoi a cavallo come in Afghanistan e di qui il nobile gioco del Polo, oppure con strane racchette come per i nativi Canadesi ed ecco lo sconosciuto Lacrosse… sconosciuto almeno per noi, pare che in qualche parte del mondo ci si impazzisca…
Ritorniamo al viaggio.
Anche ingenti quantità di viveri facevano parte del nostro bagaglio. Notoriamente gli Italiani amano sperimentare i cibi dei luoghi visitati, ma pasta, olio di oliva e altre specialità regionali sono una compagnia costante.
Ci rendeva la vita facile alle frontiere