Nella terra dei giganti
come negli ultimi decenni i benefici della crescita economica del Paese siano andati in maniera sproporzionata a vantaggio dei più ricchi. È stato registrato un fenomeno simile anche tra le aziende. Sempre più spesso le entrate complessive confluiscono su un numero relativamente ridotto di grandi imprese. Lo scorso anno, le 500 maggiori aziende americane presenti nella classifica Fortune 500, hanno stabilito un record di ricavi pari a 13.700 mld di dollari, un ammontare pari a più di due terzi dell’economia degli, nel 2010. “Queste startup vengono acquisite prima ancora che possano emergere come veri e propri competitor”. Dovremmo preoccuparci di tutto questo? Gli economisti avvertono che i costi di un’economia sproporzionata, dove la maggior parte delle risorse finanziarie si concentra nelle casse di pochi, sono elevati: produzione più bassa, prezzi più elevati, scelta ridotta e innovazione soffocata. Inoltre, l’economia spesso si traduce in potere politico che può consentire ai leader di trincerarsi ancora di più. Il fatto che le grandi aziende stiano continuando a crescere ha destato l’attenzione di molti, ispirando un acceso movimento antimonopolistico. Gran parte dell’attenzione è focalizzata sulle big tech; quest’anno chiunque, da Elizabeth Warren al cofondatore di Facebook Chris Hughes, hanno chiesto che il social network venga ridimensionato. Ma il dossier potrebbe non essere chiuso neanche su CVS: nel mese di aprile, mesi dopo che il governo ha approvato la sua fusione con Aetna, un giudice federale ha voluto ascoltare le parti che si erano opposte all’operazione. “Questa è una questione di grande importanza per molta gente” ha detto.
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