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Inflazione: La guida per conoscerla e affrontarla
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E-book237 pagine2 ore

Inflazione: La guida per conoscerla e affrontarla

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Già nel 2020, l’economista Hans-Werner Sinn sosteneva: «Non sappiamo quando arriverà l’inflazione. Ma quando arriva, arriva inaspettatamente e rapidamente». È esattamente ciò che è poi accaduto. La velocità con cui si è sviluppata l’inflazione ha sorpreso quasi tutti. Dopo un decennio di straordinaria stabilità, stiamo sperimentando i tassi di aumento dei prezzi più alti dagli anni Settanta. Chi è colpito dall’inflazione? La risposta semplice è che tutti ne risentono: i consumatori, le imprese e, naturalmente, lo Stato. Le cause dell’inflazione attuale sono molteplici, con radici senza dubbio nell’espansione dell’offerta di moneta, iniziata con la crisi finanziaria del 2008-2010. Ancora più difficile da prevedere rispetto all’inflazione generale è l’andamento dei prezzi di singoli settori o prodotti. Tuttavia, per il management di un’azienda, questi sviluppi specifici sono più importanti delle tendenze generali. L’unico modo per contrastare questa imprevedibilità è disporre di un sistema informativo il più possibile tempestivo. L’elenco delle sfide da superare riguarda tutte le funzioni aziendali. Sarà necessario quindi sia cambiare la cultura aziendale sia intraprendere azioni concrete.

L’inflazione sfida tutte le funzioni aziendali,
la direzione generale, le vendite, gli acquisti, la finanza, la produzione.
Non si tratta solo di aumentare i prezzi.
LinguaItaliano
Data di uscita7 ott 2022
ISBN9791254840610
Inflazione: La guida per conoscerla e affrontarla

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    Anteprima del libro

    Inflazione - Simon Hermann

    Capitolo 1

    IL RITORNO DELLO SPETTRO DELL’INFLAZIONE

    Capitolo 1

    Il ritorno dello spettro dell’inflazione

    Lo spettro dell’inflazione è tornato. Le imprese e i consumatori sono spaventati. Dopo un decennio di straordinaria stabilità dei prezzi, stiamo sperimentando i tassi di aumento dei prezzi più alti dagli anni Settanta. Molti elementi suggeriscono inoltre che non si tratti di un fenomeno passeggero e che l’inflazione ci accompagnerà per gli anni a venire. Questo scenario pone le aziende e i manager di fronte a sfide che sembravano dimenticate e non conoscono più. Dopo tutto, l’ultima ondata di inflazione di entità paragonabile risale a più di 40 anni fa.

    In genere le banche centrali giudicano ottimale un livello di inflazione intorno al 2% e si adoperano per mantenere la crescita dei prezzi al consumo in prossimità di questo valore. La logica è che un incremento dell’offerta di moneta, e quindi dei prezzi, stimola la crescita economica. In effetti, nella maggior parte dei Paesi si osserva un aumento dei prezzi nel lungo periodo. La figura 1.1 mostra l’andamento dei prezzi al consumo in Germania e Italia dal 1991 al 2021: in questi tre decenni l’indice dei prezzi al consumo è passato da 100 a 186, nel caso italiano e da 100 a 166,6 in quello tedesco. Ciò corrisponde a un tasso di inflazione medio annuo del 2,5% in Italia e dell’1,72% in Germania. Sono valori non distanti dal tasso del 2% considerato ottimale dalla Banca Centrale Europea, un livello che viene generalmente interpretato come stabilità dei prezzi. Nel quinquennio 2015-2020, l’inflazione in Italia e in Germania è stata ancora più bassa. In media, i prezzi sono aumentati solo dello 0,6% all’anno in Italia e dell’1,14% in Germania.

    Ma anche in presenza di bassi tassi di inflazione, il tempo intacca il valore del denaro. La curva inferiore della figura 1.1 mostra la perdita di valore cumulativa dell’euro (o, fino alla sua introduzione, del marco tedesco). In questi 30 anni si è verificata una perdita di valore del 40 per cento. Per un prodotto medio che costava 60 euro nel 1991, oggi bisogna pagare 100 euro. Un tasso di inflazione annuo dell’1,72% non sembra elevato. Dal 1991, tuttavia, ha portato a una svalutazione massiccia di oltre un terzo.

    Figura 1.1 – Indice dei prezzi al consumo in Germania dal 1991 al 2021

    Figura 1.1 – Indice dei prezzi al consumo in Germania dal 1991 al 2021

    L’andamento mostrato nella figura 1.1 per la Germania è stato osservato in modo analogo nella maggior parte dei Paesi altamente sviluppati. In alcuni Paesi l’inflazione è stata significativamente più alta. Negli Stati Uniti, l’indice dei prezzi al consumo è aumentato del 99% dal 1991 al 2021. Il dollaro ha perso quindi quasi la metà del suo valore in tre decenni. Il deprezzamento del dollaro è molto più marcato se si risale al 1971, quando fu abbandonato il gold standard. La figura 1.2 mostra il corrispondente andamento dell’indice dei prezzi al consumo degli Stati Uniti.

    Figura 1.2 – Indice dei prezzi al consumo USA 1971-2021

    Figura 1.2 – Indice dei prezzi al consumo USA 1971-2021

    I prezzi dei beni espressi in dollari sono aumentati di 6,7 volte in questi 50 anni. Questo incremento corrisponde a un tasso d’inflazione medio annuo del 3,87%, che, a differenza della Germania o dell’Italia, è di gran lunga superiore al tasso obiettivo del 2 per cento. Come mostra la curva nella parte bassa, la perdita di valore cumulativa del dollaro è stata dell’85,1 per cento. In altre parole, per un prodotto che costava 14,90 dollari nel 1971, oggi bisogna spendere 100 dollari.

    Un’eccezione alla tendenza alla svalutazione di lungo periodo è rappresentata dal Giappone, dove dal 1971 i prezzi sono aumentati solo del 160% e hanno registrato una tendenza al ribasso a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. Anche nel febbraio 2022, quando il tasso d’inflazione statunitense è salito all’8,5%, l’incremento dei prezzi al consumo giapponese non è andato oltre lo 0,2% e si prevede che, nel corso del 2022, salirà fino al 2 per cento. Tuttavia, la deflazione (diminuzione dei prezzi al consumo), o l’inflazione molto bassa, sono state accompagnate dalla stagnazione dell’economia giapponese, una condizione tutt’altro che invidiabile. La combinazione di inflazione moderata e crescita economica ragionevole è naturalmente preferibile all’alternativa di deflazione e stagnazione. Tuttavia, la situazione può diventare pericolosa se i tassi di inflazione sfuggono di mano. Quando a questo quadro si aggiunge la stagnazione, come è accaduto negli anni Settanta, si configura la combinazione in assoluto meno desiderabile. In tal caso si parla allora di stagflazione, ovvero stagnazione e inflazione.

    Valore del denaro vs valore dei beni

    A questo punto è necessaria una breve digressione per comprendere meglio la natura dell’inflazione. Nell’accezione comune, inflazione significa che i prezzi dei beni aumentano. In realtà, però, accade esattamente il contrario. Non sono i beni a diventare più costosi, ma il denaro a perdere valore. Il denaro perde quindi una delle tre delle sue funzioni più importanti, quella di immagazzinare valore (le altre due sono quelle di unità di conto e mezzo per gli scambi)¹. Questa prospettiva diventa evidente quando il valore dei beni viene misurato in oro piuttosto che in denaro fiat. Il denaro fiat, in riferimento all’atto biblico della creazione, è il termine usato per descrivere il denaro creato dalle banche centrali. Nella Bibbia, Dio creò il mondo dal nulla dicendo «Fiat Lux» (sia fatta la luce). Allo stesso modo, nel sistema monetario moderno, il denaro viene creato dal nulla e può quindi essere moltiplicato a piacere. L’inflazione deriva in ultima analisi da una quantità eccessiva di denaro rispetto alla quantità dei beni che possono essere acquistati. Nell’oro, che non è moltiplicabile arbitrariamente, le relazioni di valore sono completamente diverse. «Oggi si possono comprare 300 pagnotte per un’oncia d’oro, cosa che si otteneva ai tempi di Cristo», afferma Uwe Bergold del commerciante di metalli preziosi Pro Aurum². A Roma, duemila anni fa, una tunica fatta su misura costava circa un’oncia d’oro; con la stessa quantità di metallo prezioso è possibile acquistare un vestito su misura³. Il prezzo dell’abito, misurato in oro, non è quindi cambiato significativamente in duemila anni; lo stesso si può dire per il pane. Naturalmente, l’affermazione che il valore di un bene è rimasto invariato nel corso dei secoli si applica solo ai prodotti la cui utilità non è cambiata significativamente nel tempo, non a prodotti come le locomotive a vapore o i regoli calcolatori, che sono diventati obsoleti e non hanno più alcuna utilità. Ciò che cambia nell’inflazione è il valore del denaro fiat che diminuisce. Queste considerazioni danno luogo a implicazioni concrete per la gestione finanziaria e del contante, su cui torneremo nei capitoli successivi.

    Inflazione corrente

    L’inflazione è tornata prepotentemente nel corso del 2021 ed è andata aumentando nel corso del 2022. Già nel marzo 2022, il tasso di inflazione annuale negli Stati Uniti ha raggiunto l’8,5%; la Germania è stata solo leggermente inferiore in aprile, con un tasso del 7,4% mentre in Italia l’inflazione ha raggiunto l’8% lo scorso giugno. Nello stesso mese, nell’intera area euro è stato toccato il valore di 8,6%, il più alto da quanto esiste l’unione monetaria. Sembra probabile che l’inflazione continuerà a mantenersi su valori elevati.

    Non si può escludere con certezza nemmeno una ricaduta nella stagflazione degli anni Settanta. All’epoca, le crisi petrolifere del 1973 e del 1978 furono le cause scatenanti. Per quanto riguarda l’inflazione attuale invece, le cause sono molteplici:

    –(politiche monetarie espansive seguite alla) crisi finanziaria del 2008-10;

    –Covid-19 e la conseguente ulteriore espansione della massa monetaria;

    –controversie commerciali, in particolare tra Stati Uniti e Cina;

    –problemi nelle catene di approvvigionamento globali;

    –dinamiche demografiche che portano a limitazioni della produzione e dell’offerta;

    –guerra in Ucraina.

    Tutti questi fattori influenzano i prezzi dell’energia, delle materie prime, degli alimenti e, in una sorta di reazione a catena, di molti altri prodotti e servizi.

    Inflazione sostenuta

    Una domanda importante da porsi è se l’inflazione sia temporanea o se è destinata a durare a lungo. Quando nel 2021 si sono registrati i primi aumenti dei prezzi significativi, i banchieri centrali in particolare, ma anche molti macroeconomisti, hanno giudicato il fenomeno transitorio causato da Covid-19 e quindi da strozzature nelle forniture e da interruzioni nelle filiere di approvvigionamento globale. Con la scomparsa di questi fattori, è probabile che la pressione sui prezzi si attenui. Dalla primavera del 2022 si sono però moltiplicate le voci di chi ritiene che l’inflazione possa durare più a lungo.

    Ad esempio, Agustin Carstens, direttore generale della Banca dei Regolamenti Internazionali (una sorta di banca centrale delle banche centrali), ha affermato che «stiamo entrando in una nuova era dell’inflazione. Le forze alla base di questa nuova realtà potrebbero continuare per qualche tempo»⁴. Christian Nolting, Chief investment officer di Deutsche Bank, scrive: «Il rinoceronte nella stanza è stato liberato e potrebbe rivelarsi difficile da domare»⁵. Karl von Rohr, membro del consiglio di amministrazione della stessa società, ritiene possibile che il tasso di inflazione raggiunga il 10 per cento⁶. Gli economisti più lungimiranti prevedono da tempo questa evoluzione e hanno pubblicato diversi libri sul ritorno dell’inflazione, consigliati per una trattazione più approfondita del problema in chiave macroeconomica⁷. Nella primavera del 2022, l’economista Hans-Werner Sinn ha ribadito la sua previsione: «L’inflazione è qui - ed è qui per restare»⁸. Il motivo è che i prezzi alla produzione in Germania sono aumentati del 25,9% e questi incrementi si trasmettono ai prezzi al consumo dopo un certo tempo. Anche in Italia i prezzi alla produzione mostrano incrementi sostenuti. Il dato relativo ad aprile riporta un + 35% su base annua.

    Sempre su base annua, i prezzi alla produzione dei cereali sono saliti del 33%, quelli delle patate dell’88% e quelli del latte del 30 per cento⁹. Parallelamente, stanno emergendo le prime richieste di adeguamenti salariali da parte dei sindacati. IG Metall ha chiesto un incremento delle retribuzioni dell’8,2% per i metalmeccanici tedeschi. Richieste simili sono destinate a ripetersi in tutti i Paesi dove i prezzi si stanno surriscaldando¹⁰. Ancora più importante è il fatto che l’offerta di moneta estremamente inflazionata non può essere ridotta nel breve termine, soprattutto perché le banche centrali vedono nuovi pericoli in un aumento troppo repentino dei tassi di interesse e quindi agiscono con estrema prudenza.

    Il barometro dell’inflazione indica quindi tempesta. Tanti segnali di allarme dovrebbero suonare per i responsabili dei prezzi. In questa situazione si possono commettere errori catastrofici, ma ci sono anche opportunità di uscirne relativamente indenni agendo rapidamente e facendo la cosa giusta. In questo libro cerchiamo di scavare più a fondo in queste valutazioni e di offrire considerazioni che vadano oltre le affermazioni spesso eclatanti e superficiali su prezzi e inflazione. A titolo di esempio, vorremmo citare il trasferimento in automatico degli aumenti di costo ai clienti. Arrivare alle decisioni giuste richiede sia una comprensione approfondita delle relazioni tra costi, prezzi e inflazione, sia saggezza nella tempistica e nella progettazione dell’attuazione delle strategie.

    Inflazione nei settori

    L’inflazione interessa potenzialmente tutti i settori industriali. Ciò si riflette nell’indice generale dei prezzi al consumo. Ma questo indice non deve essere l’unica guida per le decisioni delle aziende. Piuttosto, dovrebbero essere tenute in considerazione le caratteristiche e i dati di ogni specifico settore e mercato. Lo illustriamo con alcuni esempi. Gli aumenti dei prezzi incidono con maggior forza nei settori dell’energia e degli alimentari. Per questi beni si osservano tassi di inflazione insolitamente elevati. Il 21 gennaio 2022, un litro di gasolio da riscaldamento costava 87 centesimi per un acquisto di tremila litri mentre il 9 marzo 2022 il prezzo è salito sopra i due euro. Una società di servizi ha alzato il prezzo per un kilowattora di 5,46 centesimi dal 1° giugno 2022, il che corrisponde a un rincaro tra il 74 e l’80% a seconda della tariffa¹¹. Sul mercato europeo il gas viene scambiato tra i 130 e i 140 euro al megawatt/ora, un prezzo sestuplicato in due anni. Fattore che mette in difficoltà soprattutto i Paesi che dipendono di più da questo combustibile, tra cui sia Germania che Italia.

    La figura 1.3 mostra gli aumenti di prezzo di alcuni prodotti del settore registrati nel marzo 2022 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, in percentuale¹².

    Figura 1.3 – Aumento dei prezzi di alcuni prodotti alimentari rispetto allo stesso mese dell’anno precedente

    Figura 1.3 – Aumento dei prezzi di alcuni prodotti alimentari rispetto allo stesso mese dell’anno precedente

    Gli aumenti di questi prodotti alimentari sono ben superiori all’indice generale. In media i prezzi dei beni alimentari sono saliti del 6,2%, molto meno dei prodotti qui selezionati. Solo nel maggio 2022 in Italia il prezzo della farina è salito del 18,7% rispetto all’anno prima, quello della pasta del 20,5% mentre burro e pomodori hanno segnato rincari del 23,3% e del 20,6 per cento.

    Anche un discount come Aldi, il cui posizionamento competitivo è orientato ai prezzi bassi, non è riuscito a sottrarsi alla necessità di attuare significativi rincari, come mostra la figura 1.4¹³.

    Figura 1.4 – Prezzi di marche private selezionate di Aldi nel 2021 e 2022

    Figura 1.4 – Prezzi di marche private selezionate di Aldi nel 2021 e 2022

    L’osservazione empirica da cui si deducano variazioni di prezzi fortemente differenziate da prodotto a prodotto si nota anche in altri mercati. Ad esempio, Tesla ha alzato il costo di listino della Model 3 da 42.990 euro a 49.990 euro nell’aprile 2022¹⁴. Variazione che corrisponde a un aumento del 16,3 per cento. Per gli acquirenti tedeschi, inoltre, il bonus ambientale è stato ridotto di 1.500 euro.

    L’acquirente di una Tesla dovrà dunque pagare 42.490 euro al netto del bonus ambientale, invece dei precedenti 33.990 euro, ovvero ben il 25% in più. All’estremità inferiore della scala dei prezzi, l’auto elettrica Dacia Spring viene offerta a 20.940 euro. Al netto del bonus ambientale, l’acquirente dovrà pagare solo 11mila euro. Questo costo bassissimo ha provocato un’ondata di ordini tale che Dacia ha dovuto interromperne temporaneamente l’accettazione in primavera¹⁵. Anche questo potrebbe essere un effetto dell’inflazione. Sebbene il modello Dacia non sia in diretta concorrenza con la Tesla Model 3, l’aumento dei prezzi dei prodotti più costosi può facilmente indurre i consumatori a passare ad alternative molto più economiche.

    Da questi confronti tra i prezzi si possono trarre diverse conclusioni.

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