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Per un'economia responsabile
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E-book136 pagine1 ora

Per un'economia responsabile

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Info su questo ebook

Partendo dall'esaminare brevemente la principale causa dei mali dell'economia attuale, ossia la scarsa redistribuzione della ricchezza, il libro individua come possibile soluzione per uscire dalla crisi quella di spingere le imprese ad assumere un comportamento socialmente più responsabile. Ma non può essere più demandato alla classe dei lavoratori, disgregatasi a seguito dei processi di globalizzazione, il compito di pretendere dalle imprese un comportamento più etico. È su un'altra classe di soggetti che occorre puntare: i consumatori. Se essi prenderanno pienamente coscienza della loro forza, grazie anche all'adozione di alcuni strumenti che li agevolino nell'esercitare un consumo consapevole, potranno influenzare l'operato delle imprese nel senso di una maggiore eticità portando così all'affermazione di un'economia responsabile. Un cambio di rotta nel comportamento delle imprese, oltre che auspicabile per l'esigenza di redistribuire maggiormente alla comunità la ricchezza creata, si rende necessario per l'insostenibilità ambientale ed energetica dell'attuale modello neoliberista, fondato su un indicatore obsoleto come il PIL
LinguaItaliano
Data di uscita24 nov 2017
ISBN9788892696587
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    Anteprima del libro

    Per un'economia responsabile - Davide Vasello

    (2012)

    CAPITOLO 1

    LA TRAPPOLA DELLA CRESCITA E IL PROBLEMA IRRISOLTO DELLA REDISTRIBUZIONE

    1.1 La trappola della crescita.

    Ancora oggi c’è chi sostiene che redistribuire la ricchezza rappresenti un problema secondario, che la cosa più importante sia che l'economia cresca, che aumenti la quantità di merci e servizi prodotti.

    Nelle campagne elettorali, l’obiettivo principale dichiarato dai partiti, tanto di destra quanto di sinistra, è quello della crescita del PIL, della ricchezza nazionale. Sono in molti, infatti, a sostenere che la crescita dell’economia offra la possibilità di garantire benessere a tutti senza che sia necessario imporre grandi sacrifici a coloro che hanno maggiori ricchezze.

    Per tanti anni, dunque, si è deciso di non affrontare il problema di una più equa redistribuzione della ricchezza cullandosi sull’idea, divenuta oggi irrimediabilmente un’illusione, che si potesse far crescere in maniera illimitata la torta della ricchezza (il famoso PIL) e che a nessuno sarebbe mancata la sua fetta.

    È accaduto, così, che molti Governi abbiano rinunciato ad effettuare più stringenti politiche redistributive, drenando solo in piccola parte risorse dalle classi ricche per soddisfare le esigenze delle classi sociali più svantaggiate.

    I governanti, seguendo la ricetta liberista, hanno lasciato che gran parte della ricchezza restasse nelle mani di chi l’aveva conseguita, nella convinzione che questa fosse costantemente reinvestita in nuove attività produttive che avrebbero dato nuove occasioni di lavoro a chi ne era rimasto senza, mettendo in atto una redistribuzione indiretta della ricchezza esistente (parlerò più in dettaglio di ciò nel prossimo paragrafo).

    Il convincimento che si potesse perpetuare all’infinito questo meccanismo di reinvestimento dei profitti ottenuti in nuove attività produttive, secondo la logica della crescita continua, ha portato ad un’economia che si è gonfiata a dismisura, un’economia elefantiaca, assetata di ogni tipo di risorse, che richiede per prosperare di elevati livelli di consumo.

    Ciò che ne è derivato è il consumismo in cui siamo immersi, che è divenuto una forma di redistribuzione della ricchezza, anche quando si traduce nell’acquisto di prodotti inutili o dannosi.

    Così, quando i consumi sono sostenuti, una maggiore quantità di denaro viene spesa e, quindi, viene redistribuita all’interno della società. Invece, nel momento in cui il livello dei consumi si contrae, una parte delle imprese è costretta a fermare la produzione e a licenziare i lavoratori, col risultato che aumenta la disoccupazione e diminuisce la ricchezza nazionale.

    È per questo motivo che un sistema che basi il benessere degli individui non su una più equa redistribuzione della ricchezza, ma sulla crescita del PIL può essere considerato come una trappola. Un sistema del genere, infatti, fa dipendere strettamente il livello di occupazione dal livello dei consumi, cosicché consumare grandi quantità di merci diventa per noi qualcosa di doveroso, un vero e proprio dovere sociale.

    Chiaramente, non si può pensare di redistribuire la ricchezza principalmente attraverso il consumismo: è una logica perversa dalla quale occorre uscire. Un sistema economico, infatti, dovrebbe essere in grado di assicurare una più efficiente redistribuzione, che consenta a tutti di avere una vita dignitosa, senza che ciò dipenda strettamente dal livello dei consumi o dal tasso di crescita dell’economia.

    Dobbiamo, dunque, puntare ad un sistema economico che mantenga adeguati livelli di occupazione senza che vi sia la necessità di dover produrre e consumare ingenti quantità di merci e

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