Bastano pochi numeri per comprendere le dimensioni del problema che il mondo della componentistica auto italiana (un universo costituito da oltre 2.200 aziende, con 161 mila addetti e quasi 45 miliardi di euro di fatturato complessivo) si troverà a dover affrontare nei prossimi anni. Uno studio condotto dall'Anfia nel 2021 ha rivelato come il 73% dei fornitori operi nel comparto dei motori a benzina, il 78% in quello dei diesel, quasi il 30% in quello dei propulsori a metano e Gpl; soltanto il 47,5%, invece, è attivo nel campo dei powertrain elettrificati.
È dunque chiaro che, se o quando la produzione di propulsori a combustione interna sarà completamente bandita nel Vecchio Continente, come proposto dalla Commissione Europea e, di recente, ribadito (sia pure con approvazione di stretta misura) dalla Commissione ambiente di Bruxelles, per queste aziende si prospettano due soluzioni: riconvertire la propria produzione, adeguandola alle nuove necessità dei costruttori automobilistici, oppure cessare l'attività. Con conseguenze drammatiche sul piano occupazionale e per il quadro economico generale di un Paese in cui il tessuto imprenditoriale del settore automotive costituisce una realtà di enorme importanza.
Quanto la preoccupazione al proposito sia viva negli ambienti imprenditoriali lo spiega senza remore Marco Stella,