Aspenia n. 93
Di Aa.vv.
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Info su questo ebook
L'Italia si è impegnata, insieme all'Europa, a ridurre le emissioni di anidride carbonica del 55% nel 2030, rispetto ai livelli del 1990. L'obiettivo è di arrivare alla completa decarbonizzazione entro il 2050. Sono scenari ambiziosi che richiedono, per essere attuati, una serie di scelte coerenti in campo tecnologico, economico e geopolitico. Secondo un rapporto dell'Agenzia internazionale dell'Energia, lo sviluppo di energie rinnovabili - in uno scenario a medio termine - sarà largamente affidato a tecnologie ancora non conosciute. Nei prossimi due decenni si arriverà a un cambio del mix energetico, estendendo l'uso di fonti che siano completamente (o quasi) decarbonizzate, a bassissima o zero emissione - come l'eolico e il fotovoltaico - per alimentare batterie e reti. Serviranno anche il gas, come energia di transizione, e una rete intelligente che sappia gestire questo mix: la cosiddetta "smart grid". La transizione energetica non può infine prescindere dall'impatto dei cambiamenti sul sistema industriale: i settori della manifattura, del cemento e dell'acciaio, dopotutto, forniscono lavoro a milioni di persone e sono ad alta intensità energetica. Servirà insomma molto pragmatismo nella gestione della transizione verde.
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Anteprima del libro
Aspenia n. 93 - Aa.vv.
Marta Dassù
Conversazione con Roberto Cingolani
DASSÙ. Ministro Cingolani, l’Italia si è impegnata insieme all’Europa a ridurre le emissioni di anidride carbonica del 55% nel 2030, rispetto ai livelli del 1990. L’obiettivo è di arrivare alla completa decarbonizzazione entro il 2050. Sono scenari ambiziosi che richiedono, per essere attuati, una serie di scelte coerenti in campo tecnologico, economico e geopolitico. Partiamo dalla tecnologia, che è fra l’altro la sua principale area di expertise. Colpisce un rapporto dell’Agenzia internazionale dell’Energia secondo cui lo sviluppo di energie rinnovabili, in uno scenario a medio termine, sarà largamente affidato a tecnologie che ancora non conosciamo. Non c’è un eccesso di tecno-ottimismo in questa tesi?
CINGOLANI. Intanto introduciamo i cambiamenti possibili con le tecnologie che abbiamo, poi coglieremo le nuove opportunità che certamente si presenteranno. Lo sviluppo tecnologico, infatti, procede per salti disruptive
, difficili da anticipare ma rivoluzionari negli effetti. L’importante, per i sistemi economici e i processi decisionali, è di muoversi in modo pragmatico, con tutta la flessibilità necessaria.
Applicando questa impostazione alla transizione energetica, ciò significa che intanto dobbiamo elettrificare tutto ciò che possiamo elettrificare – dalla mobilità, agli altoforni, alle manifatture. Esistono infatti tecnologie già disponibili di cui dobbiamo cogliere i cosiddetti low hanging fruit
: cioè, le soluzioni già mature e semplici da attuare.
Nei prossimi due decenni cambieremo il mix energetico, secondo una traiettoria già in atto. L’obiettivo a cui tendere è evidentemente l’uso sempre più estensivo di fonti che siano completamente o quasi completamente decarbonizzate, a bassissima o zero emissione: si tratta dell’eolico e del fotovoltaico, per alimentare batterie e reti. Sappiamo anche, però, che dovremo combinare le energie rinnovabili con fonti stabili: avremo quindi bisogno del gas come energia di transizione. Secondo le stime su cui lavoriamo, un terzo circa della produzione elettrica continuerà a essere garantita dal gas o comunque da una fonte energetica che stabilizzi l’intero sistema. E avremo anche bisogno di una rete intelligente che sappia gestire questo mix: è la cosiddetta smart grid
, che al momento non abbiamo ancora.
Questa è la prospettiva dei prossimi 10-15 anni, per così dire a invarianza tecnologica
; poi si apriranno nuove strade con altre tecnologie come l’idrogeno, sui cui si concentrano giustamente grandi aspettative ma il cui costo non è ancora competitivo. Lo diventerà.
Esiste una distinzione importante da fare, per capire realmente gli obiettivi che ci siamo posti con la transizione energetica: non stiamo parlando di azzerare le emissioni di anidride carbonica in senso assoluto, cosa che sarebbe irrealistica; stiamo parlando di azzerare le emissioni nette, ossia di raggiungere un saldo zero fra ciò che emettiamo e ciò che eliminiamo.
Conviene in effetti essere molto chiari: non potremo arrivare allo 0% di emissioni, almeno non siamo in grado di farlo per ora. Ma è decisivo compensare le emissioni che saranno inevitabilmente prodotte con un livello equivalente di eliminazione. Qui conterà soprattutto un principio: la neutralità
delle molte soluzioni possibili. Faccio solo un esempio, anche piantare degli alberi è una forma di carbon capture
.
Dobbiamo adottare un approccio equilibrato: è ovvio che esistono vincoli paesaggistici, in modo particolare in un paese come l’Italia; è evidente che esiste un principio di razionalità economica; e non c’è dubbio che vanno valutate le conseguenze sociali delle scelte che stiamo compiendo. La transizione energetica avrà successo se terrà conto di tutto ciò. Interi settori della manifattura, del cemento o dell’acciaio forniscono lavoro a milioni di persone: non possiamo certo pensare di chiuderli perché sono ad alta intensità energetica. Servirà insomma molto pragmatismo nella gestione della transizione verde. Gli obiettivi devono essere fissati in modo esplicito e diventare parte di una responsabilità nazionale; il modo per conseguirli dovrà essere flessibile, come del resto riconosce anche la Commissione europea, con ricerche fondate su un’analisi tecnica molto precisa.
Tornando al mix energetico e al principio della neutralità tecnologica
, la Francia suggerisce che piccoli reattori nucleari possano essere considerati come una delle fonti verdi ai fini degli investimenti europei. Qual è il suo parere? È un’ipotesi che cambia lo scenario competitivo dell’industria energetica?
Anzitutto, è bene definire cosa sia esattamente un microreattore nucleare: si tratta in effetti di qualcosa di assimilabile a un motore di nave o a un container, ma che produce energia per centinaia di megawatt. Quando parliamo di microreattori, infatti, questa definizione è certamente applicabile all’impianto fisico, molto ridotto e quindi più facilmente utilizzabile, in teoria, di quanto siano una parte delle tecnologie completamente verdi; ma non stiamo certo parlando di una piccola
centrale di produzione dal punto di vista della potenza.
Come noto, la Francia viene da una politica nucleare fondata sulle grandi centrali, con costi elevati e rischi potenzialmente elevati, cui si aggiunge il problema dell’eliminazione delle scorie radioattive. Ma al di là della Francia, sono una decina i paesi membri dell’UE – soprattutto centrorientali – interessati a muoversi in questa direzione. È un dibattito aperto, ma che certo influenzerebbe in modo rilevante lo scenario del Green Deal europeo.
Passiamo dagli aspetti tecnologici a quelli economici e sociali. In questo numero di Aspenia, pubblichiamo un articolo di Adair Turner, secondo cui la lotta al cambiamento climatico continua a scontrarsi con un ostacolo di fondo: il problema della produzione di cibo, di carne in particolare, che resta uno dei principali fattori inquinanti. Qui si richiedono non solo soluzioni tecnologiche ma un cambiamento degli stili di vita: riusciremo a compierlo?
L’intera filiera della produzione di cibo, e non soltanto della carne, è in effetti fondata su una specie di paradosso globale. Nelle economie più ricche viene sprecato circa un terzo del cibo prodotto. E al tempo stesso diabete e obesità uccidono molto di più degli incidenti automobilistici. Gli allevamenti sottraggono terra coltivabile all’agricoltura, l’utilizzo dell’acqua -risorsa primaria e scarsa sul piano globale – è altamente inefficiente. E d’altra parte fame e siccità colpiscono ancora larga parte della popolazione mondiale. Sono distorsioni evidenti ma che non riusciamo a correggere: distorsioni che hanno un impatto sociale e non solo ambientale.
È un quadro altamente deprimente, se lo vediamo dal punto di vista dell’efficienza nell’uso delle risorse. Ma voglio aggiungere che l’Italia è, in un contesto del genere, un modello virtuoso. Non solo perché ha una posizione di eccellenza mondiale sia nella zootecnia che in agricoltura, ma anche perché propone un modello alimentazione, di consumo del cibo, particolarmente bilanciato. Naturalmente tutto è migliorabile – motivo per cui sto lavorando con varie associazioni di categoria per riuscire a compiere un ulteriore salto di qualità nel nostro paese. Non si tratta semplicemente di stili di vita; si tratta di combinare in modo intelligente i comportamenti, le regole e le tecnologie.
Lei ha dichiarato di recente che la sostenibilità è sempre un compromesso; non possiamo difendere l’ambiente, ha aggiunto, con la decrescita. In che modo è possibile combinare crescita economica e lotta al climate change? In altri termini: la transizione energetica ha comunque dei costi importanti. E se lo sviluppo dell’economia deve diventare sostenibile dal punto di vista ambientale, anche la transizione energetica deve essere sostenibile dal punto di vista economico.
Esiste in effetti un problema che l’Homo sapiens ha da sempre: come conciliare pressioni diverse. Oggi il quesito potrebbe essere posto così, con una battuta: è possibile essere verdi senza finire al verde? Come ricordava, la transizione energetica ha un costo economico molto elevato, è bene esserne consapevoli. È per questo che ritengo necessaria una mediazione, mentre non ritengo affatto realistico che il costo della transizione sia la decrescita dell’economia.
Questa sorta di vincolo diventa tanto più importante se ragioniamo in termini globali. Il concetto di sostenibilità è naturalmente difficile da applicare in modo omogeneo a un pianeta popolato da 8 miliardi di persone, dove sussistono disuguaglianze enormi. Abbiamo creato un modello economico fortemente sbilanciato: circa tre miliardi di persone non hanno ancora accesso all’elettricità mentre nel mondo più avanzato parliamo di diritto alla connessione digitale e diamo il resto per scontato.
Questa situazione globale richiederebbe grandi sforzi sia di redistribuzione che di infrastrutturazione. E qui si presentano difficoltà evidenti perché parte degli investimenti infrastrutturali, e degli obiettivi di crescita economica, contrastano con gli impegni per la sostenibilità e la decarbonizzazione. Parte dei paesi in via di sviluppo invocano il loro diritto a crescere e non hanno una politica ambientale. Andranno aiutati con trasferimenti finanziari, come abbiamo promesso di fare in sede G20. Quando poniamo il problema su scala globale, siamo nei fatti di fronte a due visioni diverse di cosa significa sostenibilità.
Va aggiunto inoltre che è molto più difficile realizzare la transizione ecologica in paesi che vengono da anni di crescita bassa. È insomma necessario valutare in modo non ideologico tutti i parametri che riguardano l’esistenza del pianeta, non solo quelli che si possono definire termodinamici ma anche quelli economici e sociali, relativi alle esigenze della crescita, del reddito e del lavoro.
Guardiamo adesso in modo più specifico al caso dell’Italia: saranno sufficienti, per realizzare la transizione energetica, gli investimenti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza? Si tratta come noto di investimenti molto rilevanti, che assommano a più del 30% dei fondi di Recovery europei previsti per l’Italia. Riusciremo a utilizzarli in modo efficiente? E quali sono i programmi essenziali? L’idea è di installare, entro il 2030, 70 gigawatt di potenza per la produzione energetica da fonti rinnovabili. Ci stiamo dando obiettivi credibili?
Va detto, intanto, per porre il PNRR nella giusta prospettiva, che non tutti i progetti italiani per la transizione energetica potranno essere sostenuti da fondi europei; saranno in gioco anche fondi nazionali e conterà naturalmente lo sforzo del sistema paese nel suo complesso. L’Italia ha identificato i propri obiettivi strategici, come quelli relativi al potenziamento della filiera agro-alimentare, allo sviluppo della smart grid
, al miglioramento delle infrastrutture per le ricariche delle batterie in vista della necessaria transizione verso la mobilità elettrica.
Sappiamo ormai cosa vogliamo: nuove infrastrutture, protezione del territorio, mobilità elettrica. Ma è chiaro, parlando ad esempio di mobilità, che la transizione non avverrà certamente in un anno o due, anche perché un cittadino italiano non potrà certo pagare 30.000 euro per un’automobile che in genere ne costa 15.000. È una corsa che comincia adesso e che durerà trent’anni. Il PNRR copre lo sforzo iniziale, i primi 5-6 anni.
L’obiettivo generale è di installare 70 GW di energia da fonti rinnovabili entro il 2030. Ciò significa che il 70% circa della generazione elettrica dovrà essere ottenuto da fonti rinnovabili, molto più di quanto non accade attualmente. È un obiettivo ambizioso, visto che fino a oggi abbiamo installato 0,8 GW; ma ragionevole e che può essere raggiunto a condizione di sbloccare un sistema che soffre ancora di una serie di vincoli paralizzanti. Soprattutto, è un obiettivo necessario per conseguire la riduzione del 55% di emissioni nel 2030 rispetto al 1990. La sfida vera è di mettere in moto un meccanismo che spinga le aziende italiane a partecipare alle gare: teniamo conto che le ultime aste per le rinnovabili hanno visto una partecipazione molto ridotta, rispetto a quanto è accaduto invece in Spagna o in Gran Bretagna. Dobbiamo insomma sviluppare gli incentivi giusti e ridurre gli ostacoli burocratici per mettere in condizioni di operare il settore privato. Il PNRR, con le riforme e gli investimenti che prevede, deve creare un ambiente favorevole al dinamismo delle imprese.
Lei ha parlato a questo proposito, discutendo appunto degli ostacoli sistemici
che esistono nel nostro paese, di una legge sulla accelerazione. Che cosa significa esattamente? E sarà necessario ricorrere a scelte simili a quelle adottate con il famoso modello Genova
di cui tanto si discute?
Il motivo per cui negli ultimi anni le grandi aziende hanno esitato a prendersi rischi d’impresa sta chiaramente nella catena dei permessi della burocrazia, che è troppo lunga e che non dà certezze amministrative. Per questo penso a una legge di accelerazione, più che di semplificazione. Si tratta di rimuovere ostacoli burocratici, non di un puro problema tecnico.
Il metodo che è stato adottato a Genova, dopo il crollo del Ponte Morandi, era un modello emergenziale, dovuto a una catastrofe immane che bloccava, spezzandola in due, una città nevralgica per l’Italia. Siamo usciti da quella situazione patologica in modo efficace, ma non dovremmo ragionare sul futuro solo e sempre in un’ottica emergenziale: abbiamo bisogno di leggi e norme che consentano di lavorare bene sulle opere pubbliche, in tempi certi e rapidi. Sappiamo poi che esiste eventualmente quel modello, se proprio si rendesse necessario.
Passiamo adesso alle grandi questioni geopolitiche legate alla transizione energetica. Ne abbiamo già accennato; per raggiungere gli obiettivi ambientali dichiarati a Parigi, è indispensabile l’attiva collaborazione anche delle economie meno sviluppate che per ora, storicamente, hanno inquinato poco. L’Europa copre al momento solo il 9% delle emissioni globali. In vista della COP26 del prossimo autunno, che sarà presieduta insieme da Gran Bretagna e Italia, si pongono poi due problemi centrali: che accordo trovare con la Cina, che è di gran lunga il paese che produce più emissioni e che ha assunto l’impegno nazionale alla neutralità climatica entro il 2060; che intesa raggiungere con gli Stati Uniti, con i quali dovremo discutere del meccanismo proposto dall’Europa, ossia una carbon adjustment tax
. È un meccanismo che intende prevenire uno dei rischi della transizione energetica: una riduzione di competitività delle imprese energetiche occidentali. Ma che comporta anche il rischio di tensioni protezionistiche. Come gestiremo questi due dilemmi?
Sul piano internazionale, l’Italia si trova ad assumere responsabilità rilevanti sui temi della transizione energetica. Responsabilità appunto; ma che aprono anche al nostro paese una finestra di opportunità. Esercitiamo la presidenza di turno del G20 e co-presiediamo la COP26: l’Italia potrà svolgere una funzione importante, di traino, anche perché Germania e Francia arrivano a questi due appuntamenti condizionate da alcune incertezze di politica interna. Il ruolo centrale dell’Italia, in un anno che appare decisivo per i negoziati sulla transizione energetica, è stato riconosciuto dal vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, e dall’inviato speciale del presidente Biden per il clima, John Kerry.
La posizione italiana deve favorire un consenso multilaterale, sulla base di una visione globale che sia costruttiva. È una posizione che deve muovere dalla credibilità dei nostri programmi nazionali per la transizione ecologica, inseriti nella cornice europea del Green Deal; e che dovrà anzitutto puntare a un accordo fra Unione Europea e Stati Uniti, cosa possibile con l’amministrazione Biden.
Il meccanismo di border adjustment
si basa su ragioni solide, che abbiamo cominciato a discutere con Washington: chi produce secondo criteri sostenibili – con i costi relativi – non deve poi venire danneggiato in termini competitivi, né come azienda né come consumatore finale. D’altro canto, esiste un problema di possibile discriminazione a danno dei paesi più piccoli o poveri, ai quali non possiamo chiedere troppi sacrifici, neppure in nome della transizione ecologica. Sono i paesi più vulnerabili a dovere essere aiutati e tutelati, non certo la Cina.
Roberto Cingolani è ministro della Transizione ecologica.
CLIMATE WATCH
EUROPA A ZERO EMISSIONI
Dal punto di vista energetico e delle emissioni, il 2020 è stato un cigno nero
. Come continuare ad abbassare il consumo di energia senza frenare le economie del mondo? L’Agenzia internazionale dell’Energia valuta la situazione globale e traccia un percorso che porti al net zero
, obiettivo sottoscritto da tanti paesi – compresi quelli dell’Unione Europea.
Il 2020 è stato un anno senza precedenti dal punto di vista sociale, economico ed energetico. La pandemia da Covid-19 ha portato cambiamenti nelle attività quotidiane che hanno avuto impatti anche sulle emissioni e sulla transizione all’energia pulita. In tutto il mondo, la domanda di energia e le emissioni di CO2 dovute alla produzione di energia hanno avuto un calo senza precedenti¹.
Però, quando l’economia globale ha cominciato a riprendersi, le emissioni sono tornate a salire. A dicembre erano già tornate ai valori precedenti la pandemia, a livello mondiale e in tutti i paesi che ne producono di più: Cina, Stati Uniti, India e Unione Europea.
Trainate da cambi strutturali nelle economie dell’Unione Europea e da due decenni di politiche ambientali all’avanguardia, le emissioni dell’Unione, nei quindici anni che hanno preceduto la pandemia da Covid-19, sono calate dell’1,6% annuo. A causa della pandemia, si è avuta un’accelerazione del calo, che durante il 2020 ha raggiunto il 9%.
La riduzione delle emissioni nell’UE è stata principalmente indotta dalla decarbonizzazione del settore elettrico, nel quale si è assistito a una rapida crescita di eolico e solare e a un calo della produzione da carbone. Nel 2020, la percentuale di utilizzo di tecnologie a basse emissioni nella produzione di elettricità ha toccato il 40%, un record assoluto. I progressi sono stati più lenti nei settori dei trasporti, dell’industria e dell’edilizia residenziale.
Figura 1 • Evoluzione delle emissioni
Figura 1 • Evoluzione delle emissioniNota: le emissioni di CO2 sono globali e dei quattro maggiori emettitori, 2020 vs 2019.
Fonte: IEA.
Se nel corso del 2020 le emissioni sono calate, fra il 2018 e il 2020, stando a Google Trends, la popolarità dell’espressione net zero
è quasi raddoppiata. Questo potrebbe riflettere recenti cambiamenti nel discorso pubblico, le aspettative riposte nella COP26 e l’impulso che di recente hanno dato gli annunci fatti dagli Stati Uniti e dalla Cina. Questo andamento si riflette nelle politiche dei singoli paesi, 44 dei quali si sono impegnati a raggiungere quota zero (assieme all’Unione Europea rappresentano circa il 70% delle emissioni di CO2 mondiali)².
L’Unione Europea ha agito da catalizzatore degli sforzi di decarbonizzazione globali. Prima con la proposta di inserire nella legislazione europea l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 e poi introducendo il Green New Deal europeo, che entro il 2030 punta a ridurre almeno del 55% (rispetto ai livelli del 1990) le emissioni di gas serra. Le politiche dell’Unione sono sostenute dalle strategie nazionali approntate finora da circa 20 dei suoi Stati membri³.
Secondo il Sustainable Development Scenario⁴ illustrato nel World Energy Outlook 2020 dell’Agenzia internazionale dell’Energia (IEA), che prevede l’azzeramento delle emissioni dell’Unione Europea entro il 2050, la strada maestra per raggiungere l’obiettivo è l’elettrificazione. Si prevede che la quota dell’elettricità nel complesso dei consumi di energia cresca dal 21% del 2019 fino circa al 50% nel 2050. Saranno le rinnovabili a sostenere la crescita del settore elettrico, andando a costituire il grosso degli apporti di nuova energia durante la fase di abbandono della produzione da combustibili fossili senza abbattimento della CO2.
Figura 2 • Produzione di elettricità per fonte nell’Unione Europea
Figura 2 • Produzione di elettricità per fonte nell’Unione EuropeaNota: lo scenario è compatibile con l’azzeramento delle emissioni e assicura una stabilizzazione della temperatura al di sotto dei 2° C.
Fonte: IEA, World Energy Outlook 2020.
Un settore elettrico a basse emissioni spianerebbe la strada alla riduzione delle emissioni nei settori del trasporto su strada e residenziale, ampiamente elettrificabili mediante il passaggio all’elettrico di praticamente tutti gli autoveicoli per il trasporto di persone entro il 2050. Oltre alle auto elettriche, giocano un ruolo chiave l’ammodernamento degli edifici e l’efficienza energetica, perché permetterebbero di ridurre di più della metà il consumo energetico delle abitazioni.
L’idrogeno invece ha un ruolo fondamentale nella decarbonizzazione dell’industria pesante, del trasporto commerciale e dell’aviazione, ma anche nel riscaldamento domestico, se miscelato nelle reti del gas.
Figura 3 • Evoluzione tecnologica in Europa
Figura 3 • Evoluzione tecnologica in EuropaNota: lo scenario è compatibile con l’azzeramento delle emissioni.
Fonte: IEA, World Energy Outlook 2020.
LE OPPORTUNITÀ DI UNA RIPRESA SOSTENIBILE. Decarbonizzare il settore energetico non è un’impresa facile. Comporta cambiamenti strutturali nelle modalità di utilizzo dell’energia e, per settori come il trasporto pesante e l’aviazione, richiederà investimenti su larga scala in tecnologie che sono ancora nelle prime fasi di sviluppo o commercializzazione.
Tuttavia, azzerare le