La rivoluzione dell'automobile: Idee per un nuovo modello industriale
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Anteprima del libro
La rivoluzione dell'automobile - Francesco Morante
Francesco Morante
LA RIVOLUZIONE
DELL’AUTOMOBILE
Idee per un nuovo modello industriale
www.altrimediaedizioni.com
facebook.com/altrimediaedizioni
@Altrimediaediz
Titolo dell’opera:
La rivoluzione dell'automobile
© 2015 by Francesco Morante
ISBN: 978-88-6960-032-6
© Altrimedia Edizioni è un marchio di
Diòtima srl - servizi e progetti per l’editoria
www.altrimediaedizioni.com
Prima edizione digitale: 2016
Quest'opera è protetta dalla Legge sul diritto d'autore.
È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata.
A tutte le persone di talento
che non hanno avuto
la possibilità di metterlo a frutto
PREFAZIONE
Algoritmobile
La rivoluzione dell’automobile - idee per un nuovo modello industriale, segna definitivamente il tramonto dell’auto da catena di montaggio ma più in generale dell’auto come produzione ‘unilaterale’, prodotto standard, monolite consumistico che dispensa emozioni più che funzioni, prestazioni più che servizio, rappresentazioni più che interazioni.
Francesco Morante sposta il punto di vista da un processo, dunque, ma solo apparentemente. In realtà sposta l’asse della relazione dalla parte di chi l’automobile la usa e chiede – nell’era digitale – una relazione.
Siamo in piena internet of everything, universo della relazione fra persone e macchine e quale macchina è più determinante nella vita di tutti noi se non proprio quella che serve a spostarci rapidamente, comodamente, in sicurezza ed economicità?
L’auto, e i trasporti in generale di persone e merci, stanno entrando in una fase di trasformazione importante. Da internet, dalla rete, dai dati, dalla realtà aumentata siamo arrivati all’intelligent transport system, chiave di volta del concetto e nodo cruciale della smart city. Che ci impone di ripensare l’automobile dal punto di vista dei materiali, del consumo energetico, dell’impatto ambientale, della gestione e della congestione, dei parcheggi e dell’accessibilità, della capacità di sostituirsi alla relazione ‘umana’ con il territorio. Ma preso, e soprattutto, nella gestione delle informazioni che la legge dell’algoritmo intercetta e decodifica con straordinaria precisione. Sarà un luogo, mobile e intelligente: ecco l’auto e gli automobilisti del futuro prossimo, se così ancora così li potremo chiamare.
L’auto è entrata nel frullatore digitale che tutto trasforma. Basti pensare a come ha travolto quello che una volta si chiamava telefono, poi telefonino, e ora smartphone ma che in realtà non ha più la funzione primaria: la scatoletta che ci portiamo dietro costantemente (secondo una ricerca non ce ne allontaniamo mai a più di due metri distanza!) oggi ci concede l’uso della stessa tecnologia dell’astronave che ha portato l’uomo sulla luna e una capacità di gestione della conoscenza illimitata. E portatile!
Ecco, l’auto non sarà più una quattroruote che si ferma ai semafori e che bisogna sistemare da qualche parte per evitare la multa, ma un luogo di mobilità connesso. La connettività (tra auto, tra auto e utente, auto e infrastruttura, auto e Internet) produrrà cambiamenti radicali nel sistema mobilità. La macchina diventa un luogo di istruzione, lavoro, divertimento. Uno spazio personale che si muove con l’individuo. Con tutto quello che ne consegue.
Per la persona ma soprattutto per il territorio quando si guarda all’insieme.
E dunque efficienza nel flusso del traffico.
La scienza dei dati ci consente di sapere con esattezza matematica quante auto, a quale velocità, provenienti da e dirette dove, in quali giorni della settimana con quante persone a bordo. Ci sono solo alcune questioni digitali da risolvere (banda, coerenza dei linguaggi) e altre, più complesse, legate alla gestione dei dati (privacy, proprietà). Ma di fatto si può contingentare il flusso veicolare. Altro che semafori o parcheggi intelligenti. Lo spostamento delle persone – e quindi delle cose – si potrebbe già progettare al millimetro e al secondo.
Riduzione drastica del numero degli incidenti
L’impossibilità del contatto fisico (le auto come due calamite dello stesso polo) provocherà una rivoluzione anche sulla consistenza della carrozzeria che potrà rinunciare alle sovrastrutture materiali a protezione della persona per rilassarsi su soluzioni leggere e morbide.
Per non parlare della guida automatica con la possibilità di creare plotoni
di veicoli, che si muovono come un treno sull’autostrada: seguono il mezzo lepre e vanno nella stessa direzione differenziando le ‘fermate’.
Non c’è più guida, altro che volante! L’auto si guiderà da sola. Non è una novità. Google (e non solo) a spizzichi e bocconi ce la lascia intravedere ma ormai è evidente che è nell’ordine delle cose.
L’algoritmo mobile.
Enzo Argante
Presidente Nuvolaverde
Presidente Accademia+
PRIMA PARTE
1
DAVIDE E GOLIA
Un colpo ogni cinque secondi. Decine di tonnellate di acciaio sollevate da macchine straordinariamente grandi e potenti cadono simultaneamente sui controstampi. A ogni colpo, il foglio di lamiera sottile di acciaio avanza di un passo e comincia a prendere forma, sempre più vicina a quella definitiva. Lo tranciano, lo imbutiscono, lo forano, lo assestano e lo rifilano. Il ritmo si arresta solo per qualche minuto, quando termina la produzione del lotto di migliaia di pezzi stivati in grandi contenitori di acciaio. A questo punto, con una rapidità miracolosa, quelle decine di tonnellate di stampi abbandonano la macchina per lasciare il posto a un’altra serie, per produrre un altro pezzo.
Una grande officina con carrelli che portano contenitori di pezzi di lamiera e di sottogruppi pre-assemblati. Un processo continuo, da moduli più piccoli fino a quelli più grandi, lungo macchinari immensi che afferrano, bloccano, spalmano e saldano centinaia di pezzi. Segmenti connessi tra di loro da sistemi di trasporto automatico, perfettamente sincronizzati. Il telaio, le fiancate, il tetto, tutto raggruppato assieme per formare la scocca, l’armatura metallica dell’automobile. Alla quale si aggiungeranno le porte, il cofano, il portellone.
A partire da quel momento comincerà un lungo viaggio attraverso un tunnel lungo chilometri. Lavaggio, immersione in enormi vasche per la deposizione di resina protettiva, forni lunghi centinaia di metri per cuocere a 180° la cataforesi, altri per cuocere la mano di fondo, altri lo smalto. Un tunnel immenso e super sigillato dove nemmeno un granello di polvere è ammesso.
Mentre la scocche coloratissime e illuminate da fari potenti scorrono sulla linea di montaggio, decine di persone da un’altra parte si muovono lungo scaffalature che contengono i particolari più svariati. Devono scegliere il cavo giusto tra migliaia, il tappeto del modello e della versione giusta, la mostrina, la staffa, persino le viti giuste, scorrendo la lista degli ordini definiti con codici. Preparano carrelli con i kit, per abbinarli alla scocca con la sequenza programmata. Sulla linea, operai in tuta prendono i pezzi dai carrelli e li fissano alla scocca secondo un ciclo di lavoro prestabilito, diversificato in relazione al modello e alla versione che transita. Si sente il rumore degli skid e un ronzio di avvitatori elettrici sofisticati che mandano le informazioni sui parametri e sull’esito a un sistema centralizzato che le archivia automaticamente. Macchinari sofisticati che riempiono di olio l’impianto frenante e i liquidi refrigeranti secondo programmi personalizzati in relazione al motore, alla versione e ai mercati a cui le vetture sono destinate. Robot intelligenti che prendono le misure della scocca, afferrano i cristalli e li incollano con una precisione del decimo di millimetro. Decine di stazioni nelle quali la scocca comincia a prendere sempre più le sembianze dell’automobile. In modo sincronizzato, si preparano i moduli come la plancia, il frontale o le porte, che saranno montati in una sola operazione. In altre aree ancora, si preparano i motori, i cambi, le sospensioni, i tubi, e tanto altro ancora, secondo una gerarchia che porta dal più piccolo particolare a sottogruppi intermedi. Il tutto sarà caricato su appositi pallet e assemblato in un colpo solo sulla scocca da macchinari immensi che bloccano a avvitano in pochi istanti.
E infine il collaudo. Dell’impianto elettrico, dei freni, del motore, di tutte le funzionalità che devono essere garantite. L’automobile è finalmente pronta, lucida, funzionante, e parcheggiata in attesa di essere spedita con camion, con treni, navi, nei luoghi più vicini ma anche lontanissimi, in altri continenti.
Cosa hanno di snello le automobili prodotte oggi dalle più importanti case automobilistiche?
Qualcuno potrà pensare, quando si pronuncia l’aggettivo snello, che ci si riferisca al peso, a questa caratteristica fisica. E se ci vuole soffermare per un momento sul peso, non si può certo dire che le auto di oggi siano tanto snelle. I criteri di omologazione relativi alla sicurezza, soprattutto agli urti, hanno fatto crescere mediamente il peso delle automobili negli ultimi vent’anni. Solo da qualche anno a questa parte, dopo l’adesione al protocollo di Kyoto da parte dei principali paesi sviluppati, per gli obiettivi di riduzione dei consumi e delle emissioni di CO2 , l’industria automobilistica ha lanciato campagne per la riduzione del peso. Di certo il termine snello non può essere associato ai grandi SUV e Pick-Up americani, che tuttora viaggiano con motori di grandissima cilindrata, fino a 6.000 centimetri cubici.
Ma oltre al peso fisico, misurabile in chilogrammi, i concetti di pesantezza o di snellezza riguardano i processi di progettazione del prodotto, di sviluppo, le tecnologie e i processi produttivi. Su questi ultimi, sui processi produttivi, si è concentrata prevalentemente l’attenzione delle grandi aziende oramai da parecchi anni, sulla scia della rivoluzione
della Toyota.
Lean Production
, Produzione Snella
, è l’espressione con cui si identifica il sistema di produzione Toyota. Partendo dall’analisi della catena del valore, cioè dalle concatenazione delle attività che creano valore aggiunto in un processo, la snellezza consiste nell’eliminazione del superfluo, identificato col termine giapponese Muda. Da questo punto di vista, l’applicazione dei concetti e delle metodologie della Toyota hanno reso i processi produttivi molto più snelli.
Esistono però tanti altri aspetti di pesantezza dell’automobile, che non è possibile misurare in chili e in Muda. È il gigantismo principalmente, le dimensioni delle imprese e delle strutture produttive che una buona parte degli analisti e di grandi manager del settore ritengono che debbano ancora crescere per raggiungere valori che le rendano ancora più efficienti. Sono 10 milioni circa i veicoli venduti nel mondo da Toyota, Volkswagen e General Motors. C’è poi la seconda fascia occupata da Renault-Nissan e da Hyundai-Kia, vicini agli 8 milioni. E poi gli altri importanti gruppi mondiali, dalla Ford, alla FCA (Fiat Chrysler Automobiles), l’Honda, il gruppo francese PSA, dai 6 milioni ai 3 milioni circa.
A più riprese riecheggia la strategia della semplificazione: cioè di quel processo che dovrebbe portare a un numero ristretto di grandi costruttori automobilistici. Qualcuno ne ha ipotizzati sei, due in Europa, due in America e due in Asia, una sorta di mercato oligopolistico che permetta di ricostruire i margini di profitto attraverso le economie di scala (maggiori volumi e sinergie) e limitare la guerra di prezzi, la proliferazione dei modelli e dell’offerta di contenuti.
Questa strategia ha visto un primo tentativo di attuazione alla fine degli anni ’90, quando ci furono fusioni e acquisizioni tra case automobilistiche, accordi di collaborazione e raggruppamenti, quasi tutte falliti. La Mercedes acquisì la Chrysler, la Ford acquistò la Land Rover, la Jaguar e la Volvo, ci fu l’accordo tra GM e Fiat. Operazioni fallite, come si sa. Assieme a queste ci furono accordi che funzionarono, il più importante di questi è la collaborazione tra Renault e Nissan, che avevano presenze diversificate nelle regioni del mondo. Ma, mentre le case più importanti cercavano di crescere e di semplificare, sul mercato europeo per esempio, si affacciavano attori che fino a quel momento avevano avuto una presenza marginale; il caso più eclatante è la Hyundai che, assieme alla Kia, altra casa coreana con la quale si è fusa, ha guadagnato quote di mercato europeo sempre maggiori, passando dall’1,5% al 6,1% (nel periodo dal 2000 al 2012). Per non parlare di tutte le aziende che sono nate in seguito allo sviluppo dell’area asiatica principalmente.
Osservando i dati della classifica mondiale di vendite, ci si può convincere che la strategia di riduzione del numero dei gruppi risulta inapplicabile considerando l’arrivo sulla scena di un numero considerevole di nuovi attori.
Volendo restringere l’analisi al mercato europeo, per comprendere le dinamiche e valutare le strategie, è necessario identificare alcune caratteristiche peculiari che descrivono la personalità di questo mercato, cioè le caratteristiche della domanda e le condizioni economiche che determinano le scelte dei grandi produttori.
Parco circolante: 6 auto per 10 abitanti
L’Italia è al primo posto nel mondo! Nel 2012, con 621 automobili per 1.000 abitanti, detiene il record assoluto (a eccezione solamente del piccolissimo Lussemburgo). Ogni 10 abitanti, 6 macchine. Ma se si guardano i dati, tutto il mondo industrializzato si avvicina a un valore di 500 auto per 1.000 abitanti, un’automobile ogni due abitanti.
Nel 2012 la Cina aveva un valore di 50 auto per 1.000 abitanti, un’auto ogni 25 abitanti, l’India 13 auto per 1.000 abitanti (un’auto ogni 77 abitanti).
Sono dati che si commentano da soli, il mercato automobilistico dei paesi sviluppati è saturo, maturo, certamente non può crescere come volumi del parco circolante a differenza di quello cinese o indiano.
Il mercato europeo, come quello delle altre regioni del mondo sviluppate, non può che essere di sostituzione, caratterizzato da un processo nel quale tante auto nascono quante auto muoiono.
Ci vogliono motivi molto convincenti per spingere i clienti a cambiare l’auto che già possiedono, e spesso è la mano normativa con i regolamenti anti inquinamento e i relativi divieti di circolazione a favorire il processo di rinnovamento del parco auto oppure, sempre per mano pubblica, gli incentivi alla rottamazione.
Ma non è solo il mercato a essere maturo, è anche l’industria automobilistica a essere matura tecnologicamente. Non ci sono strappi, ma un lento e costante processo di evoluzione. Quest’altra caratteristica è decisiva per comprendere le dinamiche del mercato, la presenza di tanti costruttori, di tanti marchi. Infatti, la diffusione su scala mondiale delle principali tecnologie, lo stampaggio della lamiera e della plastica, quelle di assemblaggio, quelle motoristiche, permette anche a costruttori che nascono come semplici assemblatori di presentarsi sulla scena con i loro marchi e con i loro prodotti, realizzati spesso a costi più bassi. È una condizione sperimentata dall’industria dei personal computer per esempio, in cui assemblare semplici componenti elettronici, disponibili a tutti, portò alla scomparsa delle grandi case storiche e all’emergere degli assemblatori da sottoscala.
Il vantaggio competitivo che deriva dall’innovazione è l’unico strumento che permette di operare una selezione nel mercato. Se invece prevale la linea della continuità senza strappi, le conseguenze sono la grande proliferazione di modelli, di marchi, la grande diversificazione dei prodotti e di versioni, una grande offerta di contenuti opzionali e di loro combinazioni, la riduzione di volumi e dei margini per modello. In altri termini, si potrebbe dire che occorrerebbe definire un’auto europea, completamente diversa da quella degli altri continenti, un’auto con la sua personalità, con spiccati contenuti innovativi, adatta a soddisfare bisogni specifici del mercato di questo continente.
Il tema della complessità e della frammentazione, in ogni caso, deve essere fronteggiato dall’industria automobilistica che deve operare in condizioni estremamente differenti rispetto a quelle nelle quali nacque la motorizzazione di massa.
L’epoca di Henry Ford, della Ford Model T, "di un colore a scelta purché sia nera", del suo sistema produttivo fondato su grandissime attrezzature capaci di sfornare milioni di pezzi, tutti uguali, è tramontata da tempo.
Già negli anni ’30, negli Stati Uniti, la General Motors lanciò una sfida al modello fordista. La strategia messa in atto da Alfred Sloan di utilizzare i marchi che la GM confederava per produrre un’offerta diversificata, all’interno della quale il cliente potesse scegliere lo stile, le dimensioni, le caratteristiche della vettura, fu vincente e portò al declino della Ford già alla fine degli anni ‘30. E portò alla nascita delle moderne piattaforme, basate su una definizione modulare di una famiglia di automobili con una base comune, tipicamente il pianale, le sospensioni, i motori e i sistemi idraulici, elettrici ed elettronici, il sistema frenante e di raffreddamento. La caratterizzazione dei singoli modelli che utilizzano la stessa piattaforma avviene invece con le parti estetiche esterne e interne che costituiscono la parte specifica. Le economie di scala di questo modello sono ricavate dai componenti comuni, da produrre a milioni, mentre alla parte specifica della singola vettura sono associati i volumi di vendita propri.
Quelli della Ford e della GM erano gli anni ruggenti della motorizzazione di massa negli Stati Uniti nei quali, anche tramite l’invenzione della vendita a rate, gli americani si affollavano alle concessionarie per acquistare la prima macchina della loro vita. Anche in Europa, nel dopoguerra, cominciò a svilupparsi impetuosamente il mercato dell’automobile. In Italia si passò dalle 675 mila unità nel 1951 ai 7 milioni del 1966, fino ai 31 milioni nel 1991. Nella tabella che segue sono riportati i valori delle auto circolanti in quegli anni.