Luogo che vai, vino che trovi – ecco una delle poche verità che in Italia non teme il contraddittorio. Talvolta si tratta di attraversare confini, provinciali o regionali che siano, di fendere chilometri di pianura o di superare colline, scavallare montagne, talaltra basta svoltare un cantone, guadare un ruscello, fare un giro su se stessi che già i vigneti hanno cambiato di forma e di colore, di sostanza: cambiano le varietà ampelografiche come variano le proprietà dei suoli, l’apporto del sole e del vento, cambia la mente e la mano dell’uomo, si ridisegna il terroir. E il vino sgorga nuovo, ogni qualvolta diverso e fedele a se stesso, inafferrabile quanto fascinoso nella sua indole imperscrutabile.
Doc e Docg scandiscono in lungo e in largo il nostro patrimonio vitivinicolo assecondandone tradizione e bizzarrie, radice storica, mutazioni nel tempo; corteggiate, bramate, sedotte e abbandonate, solerti e altrove sorde al cambiamento, le denominazioni sono pur sempre il primo strumento con cui affrontare il viaggio, anche laddove si intenda lasciare le vie maestre per addentrarsi in sentieri meno noti. Magari alla ricerca dell’insolito, del piccolo, perlomeno in termini di superfici vitate ed ettolitri prodotti: ne contiamo a decine di minuscoli distretti certificati, sono giovani e vecchi, belli, brutti, valgono poco o tanto, unendosi assieme parrebbero una goccia al cospetto della briosa marea del Prosecco; possono suonare misconosciuti, impossibili da collocare sulla mappa e altrove rappresentare un’eccellenza mondiale come Bolgheri Sassicaia, la