LA MAREMMA NASCOSTA
Nel mondo del vino non ci facciamo mancare parole d’ordine, passaparola rimasticati, pregiudizi durissimi a morire: «I Bordeaux sono rossi noiosi e tutti uguali, vuoi mettere la varietà dei Borgogna?»; «Ormai bevo solo rossi da nebbiolo e da sangiovese»; «I Trento sono più buoni dei Franciacorta perché sono meno dolci e più sapidi», et similia. Sui vini toscani, poi, la stratificazione dei cliché raggiunge il vertice: «La Toscana è terra di rossi», «I Supertuscan sono ormai un fenomeno del passato ma c’è ancora chi li compra», «A Montalcino hanno piantato viti anche nel soggiorno di casa, le vigne buone sono poche e molti vini vengono da posizioni dove una volta si coltivavano le patate».
Stereotipo tosco consolidato è di sicuro: «In Maremma si fanno rossi alcolici, pesanti, stucchevoli». Ne siamo davvero certi? Non c’è dubbio che il clima, le giaciture, le condizioni generali della viticoltura della Maremma “bassa” – la lunghissima striscia di territorio costiero che si svolge dalla porzione più settentrionale, in provincia di Livorno, fino a travalicare i confini del Lazio a sud – non favorisca la nascita di vini longilinei, facili da bere. Complice l’enologia turbomodernista degli anni 80/90, qui sono stati prodotti
Stai leggendo un'anteprima, iscriviti per leggere tutto.
Inizia i tuoi 30 giorni gratuiti