CHIUDO GLI OCCHI. La mente inizia a viaggiare. Chilometri di steppa sconfinata, il calore del sole brucia la pelle. Nubi di sabbia si alzano inesorabili e dettano la scia di un moto che dura ore, giorni, mesi. Le carovane sfilano lungo la via della seta cariche di stoffe, spezie e mercanti in sella a cammelli battriani stanchi verso la meta: Samarcanda.
“Fiumi, poi campi, poi l’alba era viola...”, canticchio nella mente mentre riavvolgo più di un secolo di storia. Riapro gli occhi e la temperatura a bordo del bus turistico sul quale viaggio mi provoca brividi. Sto percorrendo i 500 chilometri che separano Bukhara da Khiva, antica capitale della Corasmia, ultima tappa del mio tour lungo le terre di Tamerlano.
Rewind.
È l’alba di venerdì quando il mio volo Uzbekistan Airways tocca il suolo di Tashkent, la capitale. “Fortezza di pietra” è l’etimologia della parola. Una fortezza che, ahimé, non è stata però in grado di difendersi dal nemico più ostile: il 26 aprile 1966 un forte terremoto devasta la città, mutandone completamente la fisionomia. Le case in argilla sono le prime a crollare; saranno presto rimpiazzate da architetture sovietiche in cemento armato. I lavori sono veloci, non si bada all’estetica ma a garantire standard anti-sismici elevati. Nel giro di sei mesi Tashkent viene ricostruita e le chiavi dei primi alloggi consegnate ai circa 400mila sfollati.
Unico frammento di storia sopravvissuto alla forza della natura è il complesso di Khast Imam. Si trovano qui alcuni dei monumenti