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Viaggiatori nel freddo - Come sopravvivere all'inverno russo con la letteratura
Viaggiatori nel freddo - Come sopravvivere all'inverno russo con la letteratura
Viaggiatori nel freddo - Come sopravvivere all'inverno russo con la letteratura
E-book248 pagine2 ore

Viaggiatori nel freddo - Come sopravvivere all'inverno russo con la letteratura

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Info su questo ebook

Dal centro della città alle periferie di Mosca, fino ai villaggi dei dintorni, il protagonista sfida il gelido inverno russo tra le strade storiche e i centri commerciali. Gli incontri con scrittori e personaggi della metropoli contemporanea gli rivelano i segreti di una realtà popolata da anime antiche e inquiete e il fuoco che scorre oggi nelle vene sotterranee di Mosca e nella sua visionaria letteratura.I luoghi della storia e della letteratura come appaiono oggi, in un Paese, la Russia, in rapida trasformazione. La dacia di Peredelkino, la leggendaria tratta Mosca-Petruški e i treni notturni, luogo letterario per eccellenza della tradizione russa.
LinguaItaliano
Data di uscita11 set 2020
ISBN9788898848652
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    Anteprima del libro

    Viaggiatori nel freddo - Come sopravvivere all'inverno russo con la letteratura - Sparajurij

    Scritti Traversi

    VIAGGIATORI NEL FREDDO

    Come sopravvivere all’inverno russo con la letteratura

    di sparajurij

    VIAGGIATORI NEL FREDDO

    Come sopravvivere all’inverno russo con la letteratura

    di sparajurij

    © 2015 - Edizioni Exòrma

    Via Fabrizio Luscino 73 - Roma

    Tutti i diritti riservati

    www.exormaedizioni.com

    Progetto editoriale Orfeo Pagnani

    Collana Scritti Traversi

    ISBN 978-88-98848-65-2

    Impaginazione omgrafica, roma

    I capitoli Primo cielo, Čistye Prudy, Dacia na Pokrovke, Sottosuolo, Marosejka, Casa Čechov, Libreria Falanster, Piazza Puškin, Café Čajkovskij, Via Mjasnickaja, Centro commerciale Kapitolij, MGU 2, Prospettiva Kutuzov, Via Prečistenka, Rublëvka, Peredelkino, Metro Majakovskaja, Treno sono a cura di F.R.

    I capitoli Tra i bicchieri, MGU, Novinskij bul’var, Il Cremlino, Pokrovskie Vorota, Vicolo Boris e Gleb, Istituto letterario Gor’kij, Casa Majakovskij, Metro Otradnoe, Moscova, Zamoskvoreč’e, Galleria Tret’jakovskaja, Prospettiva Lenin, Appendice Mosca-Petuški sono a cura di E.B.

    Città come Parigi, Mosca, Londra sono straordinariamente delicate nei confronti della letteratura. Le permettono di nascondersi in una fessura, di darsi per dispersa, di vivere senza permesso di soggiorno, sotto nome altrui, senza fissa dimora […].

    Una persona che non sia stata avvisata penserebbe che a Mosca la letteratura non esista per nulla. Se incontra un poeta, quest’ultimo agiterà le braccia, farà finta di avere una fretta terribile e scomparirà tra le porte verdeggianti del viale, salutato dalla benedizione dei ragazzini di strada che riescono, come nessuno, a capire una persona e indovinarne i più reconditi segreti.

    O. Mandel’štam, Mosca letteraria, 1922

    NOTA PER LA LETTURA DEI NOMI RUSSI

    La trascrizione dei nomi dal carattere cirillico al latino segue il sistema scientifico generalmente adottato in Italia.

    Consonanti

    č    c italiana come in ciao, anche quando è seguita da a, o, u oppure è in fine di parola

    c    z sorda italiana come azione

    g    sempre g dura come gara e gh davanti a i ed e

    ch    suono aspirato di h come nel tedesco Dach

    š    suono italiano di sc davanti a vocale come ascia

    šč    come il suono precedente ma più palatalizzato

    z    s sonora come in rosa

    ž    j francese come in jour

    Vocali

    ë    jo, i due punti indicano anche l’accento

    j    i di aia

    y    suono duro di u lombarda e francese, tra la i e la u

    nota per le traduzioni

    Per coerenza stilistica i frammenti riportati dal russo sono stati tradotti da Elisa Baglioni. Solo in alcuni casi sono state selezionate versioni già edite, indicandone l’autore in nota.

    PRIMO GIORNO

    PRIMO CIELO – ARRIVO

    Pensieri strani. Come si fa a non averne viaggiando sopra un suolo bianco e smisurato. Un foglio inchiostrato dal sangue dei poeti e incendiato dai roghi della storia. Sopra orizzonti di neve e ghiaccio. Chilometri tutti uguali segnati da slitte che trasportavano gli zar e la rivoluzione. Poi i boschi di betulle, gli abeti e i pini dove si riunivano compagnie di dissidenti e vagabondi per sfidare le notti. Malgrado ci separino trentamila piedi, la terra russa fa vibrare i propri fantasmi allargando in ogni verso i confini della sua geografia sentimentale. Questa è la suggestione che mi accompagna in volo nel lungo tratto che percorriamo sulla Polonia, sulla foresta bielorussa, sulla taiga e sul podsol – un suolo acido povero di sottobosco – fino a quando, ospiti delle aquile, planiamo su Mosca.

    Alla mia destra siede una suora ortodossa, ha una tonaca nera con maniche larghe e un cappello a cilindro coperto da un velo; al collo un pendente a forma di croce. Durante il viaggio ha almanaccato le agiografie dei santi a bassa voce. Avrei desiderato intervenire, ma un’eventuale simpatia era già stata compromessa alla partenza, mentre ci preparavamo al decollo. Infastidito dalla serenità che voleva infondermi in un momento per me terrorizzante – considerata la mia avversione per il volo e le acrobazie nel vuoto – le ho chiesto se fosse così raggiante perché sul punto di andare in cielo, ma non mi ha risposto e non mi ha perdonato. Ho origliato aneddoti su Cirillo e Metodio, su Abramo di Rostov, su Giovanni di Tobol’sk, sul Metropolita di Mosca. Vicende di miracoli, ascesi e martiri, ma anche di battaglie, bastoni e cospirazioni.

    Dopo alcune ore nella troposfera scivoliamo da una nuvola all’altra al ritmo dei vuoti d’aria per tornare sulla terra, aderendo alla neve e all’inverno. Scendiamo a semicerchio come indica il tracciato sullo schermo, dove appare una mappa dell’Europa attraversata dalla linea rossa che eravamo noi a 800 chilometri orari. Passeggeri provvisti della carta d’immigrazione compilata senza fretta per far passare il tempo e per il timore di imprecisioni che indispongano gli addetti alla dogana. Il soggiorno degli stranieri è appeso a un foglietto volante timbrato all’arrivo e riconsegnato all’uscita dal paese, un foglietto della stessa consistenza dei giornali gratuiti, carta senza qualità, ricoperta di istruzioni in cirillico. Un benvenuto nella materialità logora del Novecento e nell’illusione che il tempo scorra per tutti allo stesso modo. Così come è un’illusione la curva proiettata sugli schermi di bordo; in verità la rotta è lineare, benché non lo sia la sua rappresentazione grafica. Viaggiare esaspera sempre l’ambiguità della condizione umana e volare su Mosca altera ogni principio di solidarietà con il reale. Ho letto che dentro il primo cielo si viene investiti dai lampi azzurri di Chlebnikov e catturati dal suo sogno fonetico. Tetti di teneri fischi e strade di voci si materializzano in geometrie asimmetriche, rivelando una sintassi urbana vertiginosa.

    Nulla di tutto ciò attrae il signore accanto al finestrino; le luci di emergenza palpitano sulla testa calva e le narici si contraggono sbuffando aria sopra baffi ispidi. Indossa una tuta da sci gialla e nera, non so se per far credere alla famiglia che sarebbe andato in montagna coi colleghi o se per qualche estremismo che ignoro. Vorrei solo che quest’uomo, tanto simile a una vespa infelice, tenesse il dorso incollato al sedile in modo da liberare la visuale dell’oblò. Malgrado abbia oramai familiarità con il paesaggio, mi piace farmi sorprendere dalle pianure e preparare il respiro alle temperature invernali.

    In occasione del primo viaggio avevo cercato le prove dell’esistenza del mondo apparso tra le pagine dei libri, al liceo, quando le ore scorrevano lentissime e la voce degli insegnanti rimbalzava sulla copertina di Guerra e pace, de L’Idiota, o della Nuvola in calzoni. E così, nei primi giorni moscoviti, accumulavo vita freneticamente viaggiando in metropolitana, intrufolandomi nei cortili interni e litigando nei supermercati; ripudiavo l’acqua per la vodka, stavo in coda alle mense e frequentavo balletti. Tutto il possibile per naufragare dentro il sogno russo. Dopo alcuni mesi i passi affondavano nella neve con leggerezza felina lasciando impronte nelle strade intorno al Cremlino e nei quartieri di periferia, dove disegnavo geometrie confuse e impazienti. Ora, invece, sono qui per un festival di letteratura che si terrà a Vologda, una piccola città che in passato è stata capitale del Nord, capitale di un impero di ghiaccio, popolato da contadini, profeti mistici e zar terribili. Qui nacque Varlam Šalamov, condannato come trockista alla Kolyma e che alla sua città ha dedicato l’autobiografia, La quarta Vologda, il luogo amato da Ivan il Terribile al punto da volervi trasferire la capitale.

    Prima del festival, tuttavia, mi attende un mese a Mosca.

    La suora ha finito di salmodiare, tiene il capo chino e giocherella con la croce appesa al collo. Una croce stilizzata simile alla sagoma di un aeroplano, al nostro aeroplano. Magari crede di manovrarlo attraverso il potente idolo che strofina tra le dita. Lo muove in corrispondenza di un beccheggio o di un rollio con calcolata precisione. Lo fa anche adesso che l’aereo è prossimo alla città, piega da un lato e si abbassa cedendo al richiamo della terra. Non mi fido, temo incroci il volo di qualche pennuto o, peggio ancora, il volo di Margherita in delirio sulla scopa e libera tra le cupole che brillano come candele sempre accese. Lei sa orientarsi tra i colori che svettano con prepotenza o che appaiono dal nulla dietro i palazzi moderni. Conosce il significato di ogni gradazione: il verde è la Trinità, il blu lo Spirito Santo, l’argento i santi e l’oro Cristo Salvatore. Ma le cupole della cattedrale di San Basilio sono fatte della stessa materia dell’arcobaleno e Margherita impazzisce alla loro vista; abbandonando l’Arbat le raggiunge e si avvita sulle spirali della chiesa centrale della Piazza Rossa per prendere velocità e lasciarsi tutto alle spalle, stupendosi, ogni volta, di riuscire a respirare. L’Aeroflot 2403, invece, va nella direzione opposta e fa un bagno di luci artificiali atterrando sulla pista. Il vicino prova ad alzarsi senza aver tolto la cintura, rimbalza sul sedile, lascia cadere a terra le riviste, si muove in modo scomposto. La suora attende e basta. Ritrovo entrambi un’ultima volta in coda alla dogana. Confido nell’arbitrio degli ufficiali di polizia, ma contro ogni previsione lasciano passare la vespa e non indugiano con la suora. Li osservo avviarsi così, quello senza stile e quella che studia da santa, nella città che in tempi non lontani è stata visitata da Satana.

    SECONDO GIORNO

    ČISTYE PRUDY – IL TRAM ANNUŠKA

    All’uscita dalla metropolitana il vento si serve dei primi metri per assalire e respingere i viaggiatori nelle gallerie delle scale mobili. Lo sbalzo di temperatura genera correnti impazzite e l’aria si infila come una ragnatela di lame dentro i cappotti. Quasi un secolo fa, nel 1923, in questo stesso luogo che all’epoca ospitava una trattoria malfamata, la polizia, come fosse vento, spingeva fuori dal locale Sergej Esenin per arrestarlo dopo una serata alcolica e una lite con un avventore troppo curioso. Versategli della birra nell’orecchio!, gridò Serëža ai poeti presenti accusando lo sconosciuto di origliare conversazioni altrui. Immagino le nocche insanguinate e l’occhio liquido mentre lo portano via dalla piazza verso il bul’var. Immagino le carrozze trainate che attraversano la notte, la polvere che impregna l’aria, la reticenza dei cavalli a spingersi fino in fondo al viale, come se alcuni antichi spettri li agitassero. Nel secolo dei lumi gli stagni di Čistye Prudy accoglievano le carcasse degli animali portate dai macellai della strada accanto, la via Mjasnickaja. I cavalli forse ancora avvertono quell’odore acuto di renna e latte vomitato, depositi di intestini e carne abbattuta.

    Fu Aleksandr Menšikov, nel 1703, a bonificare gli stagni, rendendoli čistye, puliti, e a passare la cera negli angoli inesistenti della storia. Oggi la zona ha un aspetto signorile, l’unica puzza è generata dal traffico, ma accanto al laghetto – ne è rimasto soltanto uno – è meno forte che altrove. Fuori dalla metro, volgendosi in quella direzione, lo sguardo raggiunge il monumento di Griboedov prima di perdersi nei viali. Lo scrittore sovrasta i passanti eretto su un piedistallo molto alto; i moscoviti camminano, danzano, s’affannano intorno a lui come i personaggi del suo capolavoro, Che disgrazia l’ingegno!, raffigurati ai piedi della statua. Nonostante il freddo sono in molti, innanzitutto giovani, ad aver eletto questo luogo per i loro raduni. Anche il movimento Occupy Moscow aveva insediato il suo quartier generale vivendo qui i momenti più intensi fino allo sgombero del maggio 2012. Una ragazza sottile tiene in mano la custodia della chitarra e si fa spazio tra i passanti fino a raggiungere alcuni coetanei appoggiati a un lampione. Senza dirsi nulla prendono il viale col talento dei pattinatori in scarpe da tennis. Sotto la neve, il corso pedonale di Čistye Prudy ha l’aspetto di una cattedrale, le fronde imbiancate e i rami gelati che lo circondano sembrano le arcate di travertino bianco che compongono la navata centrale, le panchine allineate sui lati lasciano libero lo spazio in mezzo. Una sposa arriverà a momenti.

    Io non sono invitato al matrimonio, vado verso il Pokrovskij bul’var per incontrare gli ospiti del festival in programma tra un mese. Attendo il passaggio del tram numero A, comunemente chiamato Annuška, una delle linee storiche di Mosca, attiva dal 1911. Oggi attraversa il cuore della città collegando Čistye Prudy con piazza Kalužskaja, a sud della Moscova, ma in origine percorreva tutto l’anello dei Viali, il Bul’varnoe kol’co, intorno al centro. Durante la Prima guerra mondiale lo scrittore Konstantin Paustovskij, candidato al premio Nobel nel 1965, lavorò come autista su questa linea. Per ogni amante della letteratura russa però, un tram a Mosca, qualunque esso sia, evoca l’immagine della testa mozzata di Berlioz; e se al tram associamo il nome di Annuška, l’involontaria responsabile dell’incidente fatale, si deve necessariamente supporre che il nome assegnato sia un omaggio a Bulgakov e al suo romanzo più noto. Ma l’ipotesi è errata, si tratta di una bizzarra coincidenza; oltretutto la linea A non passa e non è mai passata dai Patriaršie Prudy, luogo in cui Berlioz e lo scrittore Bezdomnyj incontrarono uno sconosciuto dando inizio a una strana storia. Nulla a che vedere con Il Maestro e Margherita, dunque, se non fosse che Behemoth, il gatto sbucato da chissà dove, l’assurdo perfido aiutante di Woland, un piede sulla linea A l’ha messo eccome per sfuggire a un inseguimento, sgomentando bigliettaia e passeggeri e che Bulgakov, in uno dei suoi feuilleton moscoviti, descrive il percorso del tram negli anni Venti. Insomma, Annuška non si può certo prendere alla leggera.

    Tram Annuška lungo l’anello dei Viali.

    Lo tengo presente mentre mi accomodo su un sedile di legno e mi avvio costeggiando gli alberi e la zona pedonale del viale. Su entrambi i lati edifici eleganti di fine Ottocento si alternano ad abitazioni moderniste; a dividerli, costruzioni recenti, mimetizzate abbastanza bene da non patire l’assenza di personalità rispetto ai vicini. Al numero 23 visse Sergej Ejzenštejn dal 1920 al 1934, ma a catturare il mio sguardo è uno degli ultimi palazzi che si sporgono sul laghetto. La facciata è ricoperta da sagome argentate di creature mitiche: fenici, draghi, grifoni osservano la città nascosti dietro una vegetazione fantasma. Sono aggrappati ai cornicioni, ai fregi, alle colonne e sbuffano neve contro il tram diretto a Kitaj Gorod, storico quartiere centrale. Mentre avanziamo tra case basse e semafori, rallentati dal traffico e distratti dai lampeggianti, ho l’impressione che gli antichi richiami di quelle creature siano finiti dentro i rumori della metropoli, nello sferragliare acuto del tram, nelle sirene della polizia e delle ambulanze che da queste parti sono così simili ai versi di animali inventati, piuttosto che a tradizionali allarmi di emergenza.

    Intanto Annuška curva a destra imboccando Pokrovskij bul’var. Sfioriamo gli alberi decorati per le festività natalizie, giochi di luce azzurri e bianchi entrano nel

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