MI ERO SVEGLIATA PRESTO quella mattina. Volevo godermi l’alba sulla spiaggia di Watamu. Il lento sorgere del sole sulle acque cristalline, i piedi nella sabbia bianca e il vento caldo tra i capelli. Mi sentivo come in quei reels “acchiappalike” nei quali tutto è esageratamente perfetto da non sembrare vero. Mentre passeggiavo in solitaria sulla riva incontro una mucca. Bizzarro.
Tutti parlano di quanto siano indimenticabili i tramonti africani, ma perché nessuno parla delle sue albe? C’è una linea sottile che separa il cielo dal mare, è da lì che fa capolino il sole mentre l’aria è pervasa dal profumo di salsedine. A quest’ora i beach boys - colorito mix tra venditori ambulanti e guide locali - non hanno ancora invaso la spiaggia, probabilmente sono a metà del lungo viaggio a piedi da Malindi. Solo lo sciabordio delle onde rompe il silenzio. Sulla spiaggia di Watamu l’evoluzione delle maree scandisce il ritmo delle giornate, un lento rituale che diariamente si ripete con precisione.
Sono le 11 e la marea inizia ad abbassarsi. L’acqua si ritira al punto che dal fondale emergono meraviglie nascoste. La barriera corallina diventa un crocevia di turisti scortati da beach boys intenti a trovare le stelle più belle. “100Dollari” mi accompagna pole-pole, lentamente, in questo pellegrinaggio.
Cammino distrattamente, sento i coralli graffiarmi, piccoli granchi mi sfiorano le dita.