ESISTE UN ANGOLO DI TERRA dove l’evoluzione, in milioni d’anni, ha dato spettacolo: è il Madagascar. L’isola - quarta in ordine di grandezza nel mondo - è uno scrigno di tesori preziosi in termini di varietà animali e botaniche, al punto da poter essere considerata una sorta di arca di Noè in pieno Oceano Indiano. Grande due volte l’Italia, ha un ecosistema unico e un patrimonio di biodiversità immenso: ospita il 5% delle specie animali e vegetali del pianeta, l’80% della sua flora e fauna è endemico, chi volesse vedere le 300 specie di farfalle o le 54 specie di camaleonti, o ancora le 255 specie di uccelli o le dodicimila specie di piante deve venire qui.
Tutto è iniziato con una cena tra amici, una serata durante la quale è emersa prepotente in noi un’irrequieta voglia d’avventura, il desiderio di scoprire un luogo lontano, capace di offrire un giusto compromesso tra “facile” e “selvaggio”. Mappamondo alla mano, la scelta unanime è ricaduta su quest’isola continente dove protagonista è ancora l’evoluzione. E siccome i miei soggetti preferiti sono la natura e gli animali, la notizia letta su una rivista scientifica secondo la quale nelle foreste del nord vive un lemure particolarmente abile nel canto, ha avuto su di me un effetto straordinario. Per 12 anni un team di ricercatori dell’Università di Torino (in collaborazione con l’EnesLab di Saint-Etienne e della Max Plank di Nijmegen in Olanda) si è appostato nelle foreste pluviali nord orientali del Madagascar