PUÒ SEMBRARE una valutazione severa della natura umana, ma di solito le persone non fanno la cosa giusta solo perché è quella più giusta da fare, sostiene Natalie Gillard, che lavora da oltre dieci anni nel settore della DEI (diversità, equità e inclusione). Ecco perché esistono le leggi. Ed è per questo motivo che Gillard guarda con preoccupazione alla Corte Suprema. Anche se la sentenza non è ancora stata emessa al momento della stampa di questo numero, gli osservatori della Corte ritengono assai probabile che la maggioranza conservatrice respinga o limiti severamente i programmi di ammissione ai college basati sull’origine etnica. Molti temono che vietare l’uso di un elemento di questo tipo come fattore di ammissione ai college possa scatenare lo smantellamento di oltre mezzo secolo di leggi e sentenze volte a porre rimedio alle iniquità sistematiche che le minoranze devono affrontare negli Stati Uniti. A ottobre la Corte Suprema ha ascoltato le argomentazioni relative alla causa intentata da Students for Fair Admissions, un’organizzazione fondata dall’attivista (anti-affirmative action) Edward Blum, contro l’Università di Harvard e l’Università della Carolina del Nord a Chapel Hill, accusando gli istituti di discriminare i candidati bianchi e asiatici.
Sebbene questa decisione sull’affirmative action influisca soprattutto sulle ammissioni all’istruzione superiore, gli