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Il notaio: Tra efficacia ed efficienza della giustizia
Il notaio: Tra efficacia ed efficienza della giustizia
Il notaio: Tra efficacia ed efficienza della giustizia
E-book352 pagine3 ore

Il notaio: Tra efficacia ed efficienza della giustizia

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Info su questo ebook

Migliorare la giustizia, migliorarne la qualità dei servizi, ridurne i costi, aumentare la capacità di assistenza e di informazione agli utenti, coniugare insomma efficacia ed efficienza, possono apparire obiettivi complicati e presuntuosi... Costruendo un percorso che parla di economia, diritto, storia e analizzando la società, i suoi bisogni, i suoi comportamenti, la sua etica, Francesco Felis redige questo studio su un tema estremamente attuale quale il miglioramento della giustizia.
LinguaItaliano
Data di uscita26 mag 2015
ISBN9788867931620
Il notaio: Tra efficacia ed efficienza della giustizia

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    Anteprima del libro

    Il notaio - Francesco Felis

    INTRODUZIONE

    Il notaio e la giustizia, quali rapporti?

    Per efficacia si intende la capacità di raggiungere un determinato obiettivo, mentre per efficienza la capacità di raggiungerlo con la minima allocazione possibile di risorse.

    I due concetti sono entrambi importanti. Tralasciamo l’aspetto dell’economicità, cioè la capacità nel lungo periodo di utilizzare in modo efficiente le proprie risorse raggiungendo in modo efficace i propri obiettivi. Anche su questo i notai avrebbero molte cose da far valere.

    Comunque è indubbio che efficienza ed efficacia sono diversi e che le aziende efficienti non sono per definizione efficaci e le aziende efficaci non sono sempre efficienti.

    In genere, oggi, si privilegia il secondo aspetto, cioè l’efficienza, soprattutto per quanto riguarda molti discorsi, politici e nei mass media, sulla giustizia e sul suo rilievo in termini di competitività-Paese.

    Devono, al contrario essere tenuti in considerazione entrambi, cioè l’efficienza e l’efficacia. Anzi, in teoria bisognerebbe considerare anche l’economicità. Ma vediamo di concentrarci sui primi due.

    Non esiste, nel tema specifico, discorso valido sull’efficienza se non collegato all’efficacia della giustizia: che significa avere, come obiettivo, la tutela dei diritti dei cittadini. Altrimenti per migliorare l’efficienza si penalizza l’efficacia, cioè l’obiettivo, la tutela dei diritti.

    Facciamo un piccolo esempio¹: la mamma vuole cucinare una pizza per cena. Valutiamo la sua efficienza e la sua efficacia. Compra un 1 kg di farina, i pomodori e il lievito. Per valutare l’efficienza bisogna vedere il parametro di riferimento, che può essere costituito dai risultati ottenuti in passato (numero di pizze con lo stesso ammontare di risorse) dalla mamma o dalla concorrenza (potrebbe essere un concorrente la suocera) o può essere costituito da un parametro produttivo (per esempio una ricetta). Per l’efficienza produttiva, se la mamma ottiene, di solito, con lo stesso ammontare di risorse, due pizze, sarà inefficiente le volte che otterrà un numero inferiore.

    Ma se ottiene un numero di pizze superiore a due, sarà, di sicuro, efficiente, ma non è detto che sia efficace. Infatti, se la ricetta, per esempio, diceva di utilizzare mezzo kg di farina, mezza conserva e mezzo lievito, la mamma sarà inefficiente se utilizzerà un ammontare maggiore di risorse o tutte quelle a disposizione. Sarà efficiente se utilizza meno risorse. Ma potrebbe essere non efficace perché la ricetta prescriveva specifiche quantità per aver un buon risultato.

    Spesso i discorsi politici sulla giustizia non guardano a controllare se la pizza è buona.

    Egualmente se, secondo i prezzi di mercato, 1 kg di farina costa 1 euro, mezza conserva di pomodori costa 0,90 euro e mezzo lievito costa 0,50 euro, la mamma sarà inefficiente le volte in cui avrà pagato, per lo stesso ammontare di risorse, un prezzo maggiore.

    Ma se la mamma riesce a pagare di meno, sarà efficiente, ma non è detto che sia efficace, perché il minor costo rispetto al mercato potrebbe indicare una scarsa qualità dei prodotti comprati.

    Anche in questo caso, molti, nei discorsi sulla giustizia, non tengono conto se la pizza è buona.

    Molti discorsi volti, per esempio quelli che vanno sotto la denominazione emendamento Lulli, ad attribuire competenze a puri consulenti di parte, non tengono conto della qualità della pizza, né della qualità dei prodotti comprati per farla.

    Perciò il notaio riveste un ruolo per entrambi i concetti. Il suo ruolo è marginale rispetto al mondo giudiziario, in genere, per migliorare la sua efficacia o per la sua efficienza?

    Forse altre categorie professionali hanno rapporti più continui con l’aspetto organizzativo che ruota intorno al pianeta giustizia. Non sembra che questa vicinanza, spesso, ne migliori l’efficienza. Ma il notariato, sicuramente, è vicino all’aspetto dell’efficacia della giustizia, nel senso dell’aspetto che tende a soddisfare e tutelare i diritti dei cittadini e fa del termine giustizia un elemento centrale della formazione e sopravvivenza della società; e può molto contribuire anche alla sua efficienza.

    Oggi, il problema per l’efficienza della giustizia, in Italia, non è da risolvere mediante una contrapposizione di sistemi, commow law/civil law.

    Secondo correnti di pensiero giornalistiche piuttosto in voga, sembrerebbe che il sistema anglosassone di commow law, sia quello più idoneo per venire incontro alle esigenze del mercato. Sulla base di una pretesa naturalità del mercato e sua apoliticità si viene, spesso, a riporre fiducia nella commow law e nelle sue istituzioni spontanee, rifiutando una versione continentale del diritto caratterizzata dalla fede illuministica nella legislazione.

    Queste nozioni devono però essere coordinate con la realtà di Paesi con regimi giuridici diversi; paesi in riferimento ai quali di frequente si sente dire, ad esempio, che la common law presenta dei vantaggi sul diritto continentale, sulla civil law. Nel civil law il giudice si attiene alle regole strettamente. Nel commow law il giudice si basa sul suo senso comune².

    Naturalmente questi discorsi non sono solo teorici.

    Normalmente si dice che uno dei problemi italiani, ai fini della competizione con gli altri Paesi, sia la giustizia.

    Si afferma che in altri Paesi, con altri sistemi giuridici, si arriva prima alla sentenza definitiva. Ma il confronto basato solo sui diversi sistemi giuridici è fuorviante.

    Al di là che quelli anglosassoni, di commow law, e quelli continentali, di civil law, tendono ad avvicinarsi nei principi, se rimaniamo al tempo dei processi, si vede che un processo in Germania o in Francia non dura molto di più che in Inghilterra³.

    Ad esempio i tempi della giustizia, dati del 2000, che erano in Italia in media 800 giorni per giungere alla definizione di una controversia per i procedimenti civili di primo grado, nei principali membri dell’Unione Europea con sistema civil law erano di 130 giorni in Germania, per le cause di prima istanza, 153 giorni in Francia.

    Questi ultimi sono tempi ampiamente confrontabili a quelli dei Paesi di commow law tenendo conto della fase predibattimentale e di quella dibattimentale, là spesso assente per motivi particolari.

    Tra le cause più rilevanti del ritardo italiano vi è il maggior tasso di litigiosità italiano rispetto ad altri Paesi.

    Se fosse così, il sistema di mediazione/conciliazione, di cui si discute con accanimento, che vede contrapposta l’avvocatura ad altri organi, può servire a ridurre i tempi, ma non a ridurre le cause.

    Le controversie sono già sorte ed avrebbero un filtro supplementare per la loro composizione.

    Si dice che il flusso di nuovi procedimenti, dati 2000, per 100.000 abitanti era pari a 2.278, mentre in Francia, Germania, ammontava a 2.009 e 1.766; ma il rimedio dovrebbe stare nell’evitare che sorgano, con l’azione di corpi intermedi, tra i quali il notaio, che agiscano in via preventiva. E anche con l’azione di fenomeni religiosi o etici, che sviluppano maggiore coesione sociale.

    Negli Usa, la rapidità, spesso, è ottenuta perché i processi proprio non si celebrano. Cioè non si celebra il dibattimento sia per la mentalità, molto contrattualistica, che tende, però, a venir meno, di quel Paese, sia, soprattutto per i costi esorbitanti, per i quali si è costretti a rinunciare al processo, al dibattimento .

    Anche in Inghilterra, comunque, vi sono mezzi, diversi da quelli americani, che limitano i ricorsi e il secondo grado di giudizio. Per esempio solo in rarissimi casi la House of Lords si pronuncia, sia a causa della selettività del filtro svolto dal sistema dei permessi, sia per gli alti costi del processo⁴.

    Il sistema propriamente nordamericano, cioè statunitense, di recente è stato oggetto di affermazioni critiche perché lo stesso sarebbe intraducibile in altre realtà e comunque anche negli Stati Uniti è fonte, spesso, di inefficienze e costi esagerati oltre che di arbitrarietà, stante la caratteristica dei giudici politicizzati, cioè che nascono già in base a una precisa scelta politica, che poi attuano nello svolgimento della loro attività quotidiana, venendo incontro ai gruppi o ai partiti che li hanno eletti⁵.

    A proposito della situazione nord-americana, sicuramente il sistema è frutto della frammentazione del potere governativo, della tradizione e della storia che hanno assicurato una difesa nei confronti del potere statale, ma oggi presenta costi inaccettabili. Non si tratta della creatività che va a scapito della certezza del diritto, quanto, spesso, della rinunzia al giudizio per i suoi alti costi (non solo economici) anche quando si avrebbe in astratto ragione; cioè di una denegata giustizia sostanziale.

    I tempi dei processi in Italia sono lunghi, ma in altri sistemi di civil law non lo sono. A comprova che l’efficienza della giustizia non attiene ai modelli.

    PARAGRAFO I

    Diritto ed Economia

    L’economia è pervasiva? È l’unico criterio, che sostituisce ogni modello, cui riferirsi per prendere le decisioni individuali e collettive?

    Cercherò di dimostrare che non è così; che la composizione tra istanze etiche, anche religiose, ed economiche, ad esempio, avviene tramite il diritto, che rimane diverso ed autonomo da loro.

    Circa questo aspetto, quello culturale, in un primo tempo, per chiarire il tema, si può richiamare la diatriba, oramai solo storica, tra liberalismo e cattolicesimo.

    Perché rievocare questi concetti? Perché esaminare il modo in cui la controversia si è composta? Jacques Garello diceva che è coniugando liberalismo e cattolicesimo che l’Occidente ritrova e ritroverà il suo equilibrio intellettuale, morale e spirituale.

    La risposta sta, in un certo senso, nel fatto che i discorsi sviluppati intorno a questa, oramai solo storica, controversia, possono essere presi come esempio per il nostro dibattito, per il dibattito relativo alla prevalenza o meno dell’economia sulla politica. Possono servire per il dibattito sull’autonomia e/o prevalenza dell’economia su ogni considerazione etica o giuridica o politica. Il dibattito sul potere, pervasivo, dell’economia su tutto il resto.

    Economia che agisce secondo leggi sue, inarrestabili e universali.

    Nel dibattito liberismo/cattolicesimo, dove il primo si può, con qualche imprecisione e molta approssimazione, identificare con l’aspetto economico, il secondo, con tutto il resto, si possono trarre utili considerazioni per verificare come l’economia deve agire sulla società, come deve agire verso il diritto, verso l’etica e la politica.

    Deve avere un aspetto pervasivo, con le sue presunte leggi fuori dalla storia, alle quali tutto deve piegarsi?

    Se così fosse, se questa impostazione culturale fosse vera, essa avrebbe forti influenze, almeno come sfondo, sulla questione dell’efficienza della giustizia e di come conseguirla.

    L’opera dell’economista-psicologo (più psicologo che economista) Daniel Kahneman circa i rapporti tra economia e felicità, circa gli aspetti psicologici delle scelte fatte dagli individui, mette in evidenza come impostazioni considerate lontane dallo specifico tema dell’efficienza della giustizia possono, al contrario, essere rilevanti.

    La memoria e la valutazione sono importanti, giocano un ruolo rilevante nelle decisioni.

    I processi decisionali umani non tengono conto, spesso, di principi di razionalità e non è sempre vero, come dicono le teorie microeconomiche, che il comportamento di chi agisce sia razionale e finalizzato a una massimizzazione dell’utilità o che si può procedere a una misurazione dell’utilità (come pretendeva Jeremy Bentham) in maniera assolutamente oggettiva su ciò che, in ordine all’attività umana, conviene o non conviene fare.

    Per esempio, nella recente crisi finanziaria americana, in coloro che hanno contratto mutui, pur sapendo che non avrebbero potuto ripagarli, hanno agito sia fattori di irrazionalità sia di frode da parte di molti operatori del settore che inducevano gente semplice, che persino non conosceva la lingua inglese (cioè non poteva capire cosa firmava), a sottoscrivere mutui. Kahneman, definito libertario-paternalista, dimostra che l’illusione della razionalità ha influenzato certe politiche economiche, per esempio inducendo a ritenere che gli individui potessero capire cosa sottoscrivevano e leggessero cosa firmavano. Forse era più opportuno un maggior intervento, che pur rispettoso della volontà, apprestasse dei mezzi di maggior comprensione

    L’economista Robert J. Shiller, esperto del settore immobiliare, annota: "Un’altra possibile scelta istituzionale potrebbe consistere nel prevedere la necessaria assistenza di un professionista del tipo del ‘notaio latino’ per ogni mutuatario. Questi notai esercitano in molti Paesi, ma non negli Stati Uniti: in Germania, ad esempio, il civil law notary è un professionista specializzato in diritto che legge ad alta voce il contratto e lo spiega, fornendo consulenza legale ad entrambe le parti prima di autenticarne la firma. Questo approccio sarebbe di particolare utilità per coloro che non riescono ad ottenere un parere legale obiettivo e competente. La partecipazione al procedimento di erogazione del credito ipotecario di una figura di questo genere, nominata dallo Stato, renderebbe più difficile per i finanziatori senza scrupoli raggirare i propri clienti con l’impiego di legali di parte, che non hanno interesse ad informare i mutuatari dei rischi che essi assumono"⁶.

    Le considerazioni di Kahneman⁷ sul processo decisionale, coordinate con quelle di Shiller, tutte apparentemente lontane dal tema efficienza della giustizia, impattano, al contrario, sul tema. Si discute di comporre le liti sorte con la conciliazione e non si tiene conto che le liti, con diversi sistemi e mezzi, potrebbero non sorgere o essere di numero più ridotto. Basterebbe incrementare il sistema preventivo non paternalistico o moderatamente tale. Sempre nell’ottica che la teoria deve prendere esempio dalla storia, dall’esperienza.

    Non sono irrilevanti, per il tema dell’efficienza della giustizia, le esperienze evidenziate dalle vicende americane.

    Oggi, per tornare al tema liberismo/cattolicesimo, la Chiesa potrebbe essere molto utile per far crescere un capitale civico. Farlo crescere in tutte le zone del Paese. Non è carente solo nelle regioni del Sud, come credeva Robert Putnam⁸.

    Sulla stessa linea Alexis de Tocqueville metteva in rilievo come la religione possa favorire la formazione civile del popolo, creare una sorta di aristocrazia morale, essere la salvaguardia dei costumi e i costumi essere garanzia delle leggi e pegno della loro durata⁹.

    Queste concezioni, con moderazione, possono avere effetti positivi, in senso anti-contenzioso, sull’efficienza della giustizia, evitando liti o aiutando la formazione di una mentalità che favorisce la loro composizione. Naturalmente sempre senza eccedere in forme paternaliste. Ma oggi gli anticorpi verso tutti gli eccessi, almeno in Occidente, ci sono.

    Vediamo, pertanto, cosa può insegnare il dibattito secolare tra liberalismo e cattolicesimo, visto come esempio della contrapposizione tra economia e resto del mondo.

    Oggi, dopo le encicliche Sollecitudo rei socialis, del 1987, e soprattutto la Centesimus Annus, del 1991, i contrasti tra le diverse due tradizioni culturali, in gran parte, sono superati.

    La Centesimus Annus condanna gli eccessi dello Stato assistenziale e al paragrafo 48 mette in rilievo come l’intervento diretto statale de responsabilizzi la società, provoca la perdita di energie umane e l’aumento delle spese per l’esagerato apparato pubblico e le logiche burocratiche. Nel paragrafo 40 si offrono giudizi positivi sui meccanismi di mercato, che pongono al centro le preferenze della persona e favoriscono lo scambio dei prodotti; nel paragrafo 35 vi è una valutazione positiva del profitto, indicatore del buon andamento dell’azienda, del buon impiego dei fattori produttivi e del soddisfacimento dei bisogni umani; nel paragrafo 32 vi è una valorizzazione del ruolo dell’imprenditore.

    Ma soprattutto vi è un pieno riconoscimento dell’economia di mercato e soprattutto della sua necessaria connessione con il diritto.

    Dice l’enciclica al paragrafo 42, a proposito dei diversi modelli di sviluppo economico: "Se sotto il nome di capitalismo si intende un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell’impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell’economia la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di impresa o di economia di mercato o semplicemente di economia libera. Ma se con capitalismo si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell’economia non è inquadrata in un solido contesto

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