Moby Dick narra in toni epici e quasi profetici l’impari lotta ingaggiata da Achab contro l’avversario che gli aveva strappato una gamba.
«Esistono due tipi di balene: quelle classificate come cetacei, e quelle che si trasformano in idee»
Jean-Paul Sartre L’idiota della famiglia. Gustave Flaubert dal 1821 al 1857
Più che un’idea, fu un’ossessione mortale quella balena bianca chiamata Moby Dick nella quale il capitano Achab vedeva un campione di astuzia e di ferocia, il simbolo stesso del caos e del male. Il mostro creato dalla fantasia di Herman Melville (ma ispirato a storie vere) tornò ad affiorare dalle acque profonde del nostro inconscio collettivo nel 1851 e da allora non ci ha più abbandonato. Capolavoro della letteratura marinaresca, tradotto per la prima volta in italiano nel 1932 da Cesare Pavese, che lo definiva un “poema sacro”, il romanzo narra in toni epici e quasi profetici l’impari lotta ingaggiata da Achab, al comando della baleniera Pequod, contro l’avversario che gli aveva strappato una gamba. Ma il mostro, alla fine, vince e sebbene arpionato, trascina a fondo, incatenato a sé, il nemico che ancora gli urla:
«Verso di te rotolo, verso di te, balena che tutto distruggi senza riportar vittoria; fino all’ultimo mi azzuffo con te, dal cuore dell’inferno ti trafiggo; in nome dell’odio ti sputo addosso l’estremo respiro.»
Unico superstite del disastro il giovane marinaio Ismaele, la voce narrante. Dall’opera sono state tratte versioni teatrali, televisive e cinematografiche, tra le quali il film (, 1956) di John Huston, con la sceneggiatura dello scrittore di sci-fi Ray Bradbury, e Achab interpretato da un elegante Gregory Peck. Il cupo sentimento di inquietudine che pervade tutto lo smisurato,