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Sui mari d'acciaio
Sui mari d'acciaio
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E-book186 pagine2 ore

Sui mari d'acciaio

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Info su questo ebook

Il cielo è plumbeo e la casa è confortevole. Si potrebbe restare al tepore del fuoco e guardare la costa screziata dalle crescenti onde che annunciano una imminente bufera. Ma il vento che odora di fresco prima della tempesta e il richiamo di mari gorgoglianti, sono come un canto di sirene. E il loro canto racconta del cigolio sinistro di chiglie e del clangore di spade. Otto autori temerari hanno sfidato gli oceani tenebrosi e sono tornati con altrettanti racconti. Immergetevi in questa nuova avventura e ricordate di respirare, tra un racconto e l’altro… è fin troppo facile annegare, stregati dal bacio degli abissi.

Sui mari d’acciaio è un’antologia pubblicata da Letterelettriche voluta, coordinata e curata da Alessandro Iascy e Giorgio Smoiver, che vi porterà alla scoperta di avventure meravigliose e insidie terribili celate negli abissi di mari reali o solo immaginati.
Con loro una squadra di autori brillanti, tra le migliori penne del fantasy italiano contemporaneo: Andrea Berneskij, Lorenzo Davia, Cristiano Fighera, Gianmaria Ghetta, Alberto Henriet, Giuseppe Recchia, Monica Serra.
LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2020
ISBN9788894967234
Sui mari d'acciaio

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    Anteprima del libro

    Sui mari d'acciaio - Andrea Berneschi

    casuale.

    Prefazione

    Si può dire che i racconti di viaggi di mare, misteriose creature degli abissi e isole remote siano antichi quanto le prime navigazioni. I viaggi nel remoto paese di Punt da cui gli antichi Egizi riportavano oro, avorio, pelli di pantera e leone e legni aromatici ci hanno lasciato in eredità il fantastico e purtroppo frammentario Racconto del Naufrago, in cui un marinaio narra l’approdo involontario su un’isola misteriosa abitata da un gigantesco serpente intelligente.

    Noi tutti siamo stati suggestionati dalla letteratura epica greca, con il più grande libro di avventure fantastiche di mare mai scritto, l’Odissea, e in seguito le Argonautiche di Apollonio Rodio.

    Ma accanto alla tradizione greca e quasi altrettanto importanti ci sono quella arabo-persiana (di cui il ciclo più famoso è quello de I viaggi di Sindbad) quella giapponese, purtroppo poco nota in Europa, quella norrena e quella celtica. È affascinante pensare a quante siano le affinità tra le peripezie accadute a Sindbad nei suoi viaggi e quelle della navigazione di San Brendano.

    L’Ottocento, secolo positivista, ci ha pur lasciato, oltre le avventure di pirati di Stevenson e Salgari cui noi tutti ci siamo deliziati da ragazzi, alcune dei capolavori assoluti della letteratura fantastica legati al mare, più di tutti La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge (l’opera di Coleridge vede la luce nel 1798, n.d.c.) e Storia di Arthur Gordon Pym e Manoscritto trovato in una bottiglia di Edgar Allan Poe.

    Quasi tutti i grandi autori di letteratura fantastica del Novecento sono stati affascinati dai misteri degli abissi o dalle insidie di isole remote non segnate dalle carte: citiamo William Hope Hodgson, Howard Phillips Lovecraft, Clark Ashton Smith, Robert E. Howard, Abraham Merritt e Fritz Leiber, limitandoci ai classici della prima metà del secolo.

    Sarebbero troppe le opere successive per tentare una bibliografia, ma vanno almeno ricordati tra i più significativi Il porto dei mondi incrociati di Michael Scott Rohan, Mari stregati di Tim Powers e I pirati dell’Oceano Rosso di Scott Lynch.

    Anche noi desideravamo affiancare una nostra visione di questo contesto tematico dagli infiniti spunti narrativi.

    Per questo abbiamo riunito una squadra di ottimi autori italiani sfidando ciascuno a scrivere una storia Sword&Sorcery secondo la propria fantasia o le letture preferite, con il solo vincolo della ambientazione su navi o isole misteriose.

    La squadra si è sbizzarrita: Andrea Berneschi ha puntato su un’ambientazione del tutto fantastica, alternando i punti di vista di cinque personaggi diversissimi sia nella carne che nello spirito; Cristiano Fighera, Monica Serra e Giuseppe Recchia mettono in scena avventure da incubo e tesori maledetti nell’epoca e nei luoghi classici della pirateria (i Caraibi e l’Oceano indiano del ‘600 e ‘700) e nella stessa epoca è collocata l’avventura narrata da Alberto Henriet, in una sconosciuta e fantastica Terra Australis; Gianmaria Ghetta segue la rotta vichinga oltre i mari tracciati; Lorenzo Davia ha preso a protagonista persino Elisabetta, l’imperatrice di Austria-Ungheria (la leggendaria Sissi), facendone una cacciatrice di demoni nelle isole della Dalmazia; anche Giorgio Smojver rende omaggio proprio alle isole dalmate, ambientando lì un’avventura cavalleresca con tocchi weird e orrorifici.

    Arrivati a questo punto, ci auguriamo di avervi messo curiosità e il desiderio di partire insieme a noi. Noi siamo già ai remi, alcuni dei nostri impavidi autori hanno abilmente sbrogliato i velacci che ora si stanno gonfiando a favore di vento.

    È il vostro momento, avventurieri, mettetevi al timone...

    Il fantasy di mare nel cinema

    a cura di Giorgio Smojver

    L’umanità ha sempre creato leggende sul mare, ipostasi fantastiche dei suoi pericoli e della sua seduzione: prima del Fantasy come genere moderno c’erano almeno quattro tradizioni folkloriche e letterarie sul mare, la greca, l’arabo-persiana, la celtica e la norrena. Nell’Ottocento vanno citati almeno due capolavori della letteratura mondiale, La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge (l’opera di Coleridge vede la luce nel 1798, n.d.c.) e Storia di Arthur Gordon Pym di Edgar Allan Poe; il Novecento vide le storie di spettri e mostri marini di William Hope Hodgson, le divinità del profondo di Lovecraft, le avventure su mare e isole di Robert Howard e Fritz Leiber, le isole dei negromanti di Clark Ashton Smith. Di fronte a tanta ricchezza, il mondo del cinema ha raccolto pochissimo. Pochi dei mostri marini dello schermo si possono definire fantasy, cioè legati a un patrimonio di leggende soprannaturali. Non ho trovato alcuna versione cinematografica delle storie di mare di William Hope Hodgson, Robert Howard e Fritz Leiber, e nemmeno del Gordon Pym.

    Le leggende norrene, celtiche e persino greche negli anni d’oro del cinema d’avventura non erano famigliari al vasto pubblico. Il mare invece era associato in quegli anni a paure molto reali: durante la seconda guerra mondiale dell’attività dei sottomarini tedeschi; negli anni ‘50 e ‘60, la paura degli esperimenti atomici e delle loro conseguenze. La grande maggioranza delle creature mostruose del cinema di quegli anni nasce appunto da esperimenti nucleari che alterano la vita nei mari o risvegliano mostri preistorici; negli anni ‘70 e ‘80 alla paura del nucleare si sostituisce quella delle armi biologiche o dell’inquinamento. Siamo comunque nel campo della Fantascienza, non del Fantasy.

    Questo articolo non tratterà di fantascienza, ne sono esclusi quindi Godzilla, Lo squalo e tutti i loro discendenti. Nemmeno tratterò storie di vichinghi o pirati che non siano incentrate su magia, creature leggendarie o continenti perduti. Per Fantasy marino intendo una storia in cui il mare o la navigazione siano l’oggetto principale; per esempio non basta la presenza in una scena di una piovra mostruosa per fare di Conan the Barbarian del 2011 un fantasy di mare.

    Escludo anche i film di animazione; il cinema per ragazzi ha edulcorato le sirene, estraniandole dal mondo leggendario e trasformandole, da simbolo della fascinazione e crudeltà del mare, in tante Barbie con coda di pesce. Quindi niente sirenette o teen comedies travestite da Fantasy.

    Tutto inizia nel 1903 con Le royaume des fées di Georges Méliès: una strega malvagia rapisce la principessa Azurine, e il principe Bel Azor la cerca con l’aiuto della fata Aurore, naufraga, viaggia in un fatato regno sommerso e la salva. Se i fratelli Lumière hanno inventato il cinema, è stato Georges Méliès a inventare tutto il resto: regia, montaggio, dissolvenza, effetti speciali (non dimentichiamo che era prestigiatore e direttore di teatro, prima di dedicarsi alla nuova invenzione). È sua l’idea rivoluzionaria che il cinema possa creare mondi nuovi, diversi dall’esperienza quotidiana. Dobbiamo a Méliès il primo viaggio interplanetario e i primi alieni del cinema (Le voyage dans la Lune, 1902), il primo genio delle Mille e una notte (Le palais des mille et une nuit, 1905), e anche il primo fantasy di mare: in sedici minuti troviamo ostriche enormi, piovre, uomini crostacei (un secolo prima de La Maledizione del forziere fantasma!), cavalieri di pesci spada e di aragoste giganti, un viaggio nel ventre di una balena, cocchi trainati da Ippocampi e fate sottomarine, in realtà danzatrici del teatro Le Chatelet. Quattro anni dopo Méliès filmò un’altra fantasia marina, 20.000 lieus sous la mer, ispirato al romanzo di Verne.

    Hollywood rispondeva con la sua prima, leggendaria sirena: Siren of the sea, interpretato da Annette Kellerman. L’australiana Kellerman, bambina invalida, divenne nuotatrice a forza di volontà, vinse gare di fondo e velocità, fu pioniera del nuoto sincronizzato, prima di divenire attrice, e rivendicò il diritto delle donne a veri costumi da bagno che lasciassero nude braccia e gambe.

    Nel 1916 abbiamo il primo lungometraggio fantastico di mare, ancora 20.000 leghe sotto i mari, con la regia di Stuart Paton. Paton privilegia l’aspetto fantastico nel romanzo di Verne su quello scientifico, e inventa le riprese sottomarine.

    Poi, sino agli anni ‘50, più nulla. Non ingannino i due grandi film intitolati L’Atlantide, di Feyder nel 1921 e di Pabst nel 1932, tratti dal romanzo di Pierre Benoit, che colloca Atlantide nel cuore del Sahara. Sono drammi d’amore romantico, non fantasy.

    Così come puro dramma d’ amore è Pandora and the flying Dutchman, del 1951, che resuscita la leggenda dell’Olandese Volante, ma senza gli elementi più fantastici, solo per esaltare il fascino fatale di Ava Gardner e il carisma di James Mason.

    Paradossalmente, il primo grande film fantastico marino sonoro viene dalla patria del realismo socialista, l’Unione Sovietica. Sadko vinse il leone d’argento a Venezia nel 1953. Un giovane pescatore sfida i ricchi mercanti di Novgorod per amore del popolo: se riuscirà a pescare un pesce d’oro essi condivideranno la loro ricchezza coi poveri, se fallirà gli taglieranno la testa. Sadko riesce nell’impresa grazie all’amore della figlia del Re del Mare. Nella seconda parte, armate delle navi, Sadko gira il mondo alla ricerca dell’Uccello della Felicità, sino a cadere prigioniero del Re del Mare nel suo palazzo sottomarino. È di nuovo salvato dalla principessa che gli dona un cavallo-ippocampo per tornare sulla terra. La morale è simile a quella dell’Odissea, l’eroe rinuncia all’amore della ninfa marina per tornare alla sua sposa e al suo paese. Immagini ed effetti sono di altissima qualità. A causa del clima di guerra fredda, il film fu distribuito in America col titolo The magic voyage of Sinbad, e rimontato da Roger Corman in modo da cancellare ogni riferimento alla Russia.

    Il 1954 vide due film chiave per la storia del genere. 20.000 Leghe sotto i mari di Richard Fleisher, a differenza delle versioni del cinema muto, ritorna a un’impostazione strettamente fantascientifica. Il Nautilus diviene un sommergibile a propulsione nucleare. Sono cancellati gli elementi più fantastici, come il Canale d’Arabia o la visita alle rovine di Atlantide. Si pone al di fuori della tematica fantasy, ma occorre citarlo per la scena della lotta col calamaro gigante, con gli straordinari (per l’epoca) effetti speciali, che servì da modello per i film successivi, incluso La maledizione del forziere fantasma. I veri protagonisti non sono Kirk Douglas, che stravolge il serio e taciturno fiociniere Ned Land facendone uno yankee avido e sbruffone, né il cupo James Mason, ma il grande operatore Franz Planer e il creatore di effetti speciali John Hench.

    Ulisse di Mario Camerini è la più importante versione cinematografica del poema omerico. Al film nocquero le pretese del divo Kirk Douglas, che Camerini sopportò con pazienza salvo dargli una lezione di signorilità alla fine del film, pretendendo che si scusasse con la troupe. La sceneggiatura fu polarizzata nel rapporto Ulisse-Penelope-Circe, a scapito delle avventure di Ulisse, narrate in pochi flashback e in buona parte eliminate. Non ci sono in questa versione i Lestrigoni e i Lotofagi, né i mostri marini Scilla e Cariddi, né la ninfa Calipso nella remota isola di Ogigia all’estremo occidente. Le sirene non sono mostrate, e il loro canto non è che un’imitazione delle voci di Telemaco e Penelope, trasformando la sublime tentazione omerica della divina conoscenza in una trappola sentimentale. Malgrado questi limiti restano momenti forti e il suo grande successo aprì la strada ad altri film fantastici.

    Devio dall’ordine cronologico per parlare subito delle successive versioni dell’Odissea. L’Odissea di Franco Rossi (1968) è considerata dalla critica tra le migliori serie realizzate in Italia. Pur riconoscendo i grandi meriti di Rossi nella direzione degli attori, io ho delle riserve. Rossi rifiuta in modo pregiudiziale l’elemento meraviglioso che è gran parte della poesia dell’Odissea. Sono eliminati i giganti Lestrigoni e le mostruose ipostasi della crudeltà del mare, Scilla e Cariddi; le sirene non sono raffigurate; non resta che l’episodio di Polifemo, diretto benissimo, non da Rossi ma da Mario Bava, che aveva avuto mano anche nell’Ulisse di Camerini. Come nel successivo Eneide, Rossi fa una scelta minimalista e pauperistica di scene e costumi: tele grezze, armi rozze e poco pratiche, edifici poveri, dove Omero descrive, spesso nei dettagli, una metallurgia e un’arte tessile raffinata. La critica spiegava queste scelte come realiste: peccato che invece gli scavi di Micene, Tirinto e Pilo mostrino proprio la maestria e l’eleganza descritta da Omero. Pare un rifiuto ideologico a rappresentare un’aristocrazia guerriera nel suo fulgore e un disdegno degli elementi leggendari.

    Elementi leggendari cui attinge a piene mani L’Odissea del 1997 di Konkalovskij, anche se, chissà perché, omette l’episodio fondamentale delle sirene. È un’opera ben diretta che vinse l’Emmy Award per la miglior regia e i migliori effetti speciali, ma è fastidioso il machismo di Armand Assante, sempre sopra le righe, estraneo al personaggio omerico.

    Tornando agli anni ‘50, va almeno segnalato l’insolito Viking women and the Sea Serpent, di Roger Corman, del 1957. Bellezze vichinghe, in abiti tanto sexy quanto improbabili, partono in cerca dei loro uomini perduti, navigano, e infine liberano i loro sposi da feroci barbari. Non è tra i migliori film di Corman, ma ha il merito di portare sugli schermi il Serpente di Mare, anche se non è che un’innocua lucertola ingigantita dall’operatore.

    Il successo dell’Ulisse di Camerini aprì la strada a film, sia italiani che inglesi, che con minori budget e senza l’ingombro di cast stellari, spesso colsero meglio il senso del fantastico. I grandi temi sono la leggenda di Atlantide, il viaggio degli Argonauti e quelli di Sindbad.

    Sul primo tema sono da segnalare due film, entrambi del 1961. Atlantide, il continente perduto, di George Pal, è un film di fantascienza più che fantasy, una parabola sul totalitarismo, non ci sono creature leggendarie ma sommergibili e raggi della morte. L’idea più interessante, quella degli uomini-bestia schiavi, è tratta da L’isola del Dottor Moreau di H.G.Wells.

    Ercole alla conquista di Atlantide di Vittorio Cottafavi si può ancora guardare con piacere, nonostante la modestia degli effetti speciali. Anche qui Atlantide è narrato come potenza imperialista, quasi nazista (in accordo, del resto, coi testi di Platone). Oltre a portare sullo schermo per la prima volta il dio marino mutaforma Proteo, il film ha tre intuizioni geniali: l’esilarante congresso dei re della Grecia che pare una comica riunione dei capi di stato europei, merito dei formidabili Enrico Maria Salerno, Gian Maria Volontè, Ivo Garrani e Giancarlo Sbragia; l’idea prototipa dei soldati atlantidei uguali, veri cloni anticipatori degli imperiali in Star Wars; e un Ercole, calmo, ironico, che non vuol saperne di battersi se proprio non lo tirano per i capelli.

    Al mito di Atlantide fa riferimento indiretto 20.000 leghe sotto

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