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Nuvole basse
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E-book195 pagine

Nuvole basse

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Info su questo ebook

Gabriele, un'attrice ormai prossima alla conclusione della sua carriera, torna nella città in cui ha trascorso l'adolescenza. La sua visita inattesa coglie di sorpresa due delle sue amiche, che vedono in quel ritorno una sorta di fuga da una quotidianità grigia e monotona. Grazie a loro, l'attrice può intuire a sua volta quale vita l'avrebbe aspettata se non se ne fosse andata da quella città. Tuttavia, su di lei la fama grava ormai da quarant'anni e solo una cosa emerge in modo evidente: il viaggio di Gabriele risveglia vecchie passioni e cambia la vita di tutte le persone a cui fa visita.

 

"Ciò che l'autrice ci presenta in questo libro è uno spaccato di vita reale, grazie al fine cesello della sua scrittura. In quest'opera viene fatto un grande lavoro in termini di linguaggio e di stile. Il romanzo è interessantissimo e rappresenta, dal mio punto di vista, una delle maggiori promesse della narrativa contemporanea della letteratura catalana." -L'Ull critic

 

"Con il suo stile inconfondibile, l'autrice offre uno spaccato di quotidianità attraverso gli occhi e i pensieri di una voce narrante che di volta in volta s'immedesima nei vari personaggi. Una successione di pennellate spontanee e profondamente umane che, spesso con un tocco d'ironia, sanno catturare l'amarezza del rimpianto e la nostalgia dei tempi andati, ma anche la speranza di un nuovo inizio." –Cinzia Rizzotto, Traduttrice

 

NÚRIA AÑÓ (Lleida, 1973) è una scrittrice catalana e spagnola. Il suo primo romanzo, Els nens de l'Elisa, pubblicato nel 2006 (Omicron), si è classificato al terzo posto in occasione della 24° edizione del Premio Ramon Llull, uno dei più prestigiosi premi della letteratura catalana concesso dalla casa editrice Planeta. Sono quindi seguiti La scrittrice morta nel 2008 (Omicron), Nuvole basse nel 2009 (Omicron), Lo sguardo del figlio nel 2012 (Abadia) e Il salone degli artisti esiliati in California nel 2020. Alcuni dei suoi romanzi, racconti e saggi sono stati pubblicati e tradotti in spagnolo, francese, inglese, italiano, tedesco, polacco, cinese, lettone, portoghese, olandese, greco, arabo e rumeno.

Núria Añó si è aggiudicata il XVIII Premio Joan Fuster per la Narrativa Città di Almenara, il IV Premio internazionale di scrittura di Shanghai Get-Together 2018 e le sono stati concessi prestigiosi finanziamenti internazionali, come Nuoren Voiman Liitto (Finlandia, 2016), Shanghai Writing Program (Cina, 2016), Baltic Centre (Svezia, 2017), IWTCR (Grecia, 2017), Cracovia Città della Letteratura UNESCO (Polonia, 2018), IWTH (Lettonia, 2019 e 2023) o Lu Xun IWP (Cina, 2020).

La sua scrittura si incentra sulla psicologia dei personaggi, che di solito sono degli antieroi. E proprio i personaggi sono l'elemento più importante delle sue opere, molto più della trama, in virtù dell'impiego di "un'introspezione, una riflessione, che non è sentimentale, ma femminile". I suoi romanzi toccano vari temi, compresi problemi attuali di rilevanza sociale, come l'ingiustizia o la scarsa comunicazione tra le persone. Spesso l'essenza delle sue storie non viene spiegata: Añó chiede al lettore di scoprirne il "significato profondo" e di immedesimarsi nelle vicende presentate.

LinguaItaliano
Data di uscita2 dic 2023
ISBN9798223707639
Nuvole basse
Autore

Núria Añó

Núria Añó (1973) is a Catalan/Spanish novelist and biographer. Her first novel "Els nens de l’Elisa" was third among the finalists for the 24th Ramon Llull Prize and was published in 2006. "L’escriptora morta" [The Dead Writer, 2020], in 2008; "Núvols baixos" [Lowering Clouds, 2020], in 2009, and "La mirada del fill", in 2012. Her most recent work "El salón de los artistas exiliados en California" [The Salon of Exiled Artists in California] (2020) is a biography of screenwriter Salka Viertel, a Jewish salonnière and well-known in Hollywood in the thirties as a specialist on Greta Garbo scripts.Some of her novels, short stories and articles are translated into Spanish, French, English, Italian, German, Polish, Chinese, Latvian, Portuguese, Dutch, Greek and Arabic.Añó’s writing focus on the characters’ psychology, most of them antiheroes. The characters in her books are the most important due to an introspection, a reflection, not sentimental, but feminine. Her novels cover a multitude of topics, treat actual and socially relevant problems such as injustices or poor communication between people. Frequently, the core of her stories remains unexplained. Añó asks the reader to discover the deeper meaning and to become involved in the events presented.Literary Prizes/ Awards:2023. Awarded at International Writers’ and Translators’ House in Latvia.2020. Awarded at International Writing Program in China.2019. Awarded at International Writers’ and Translators’ House in Latvia.2018. Fourth prize of the 5th Shanghai Get-together Writing Contest.2018. Selected for a literary residence in Krakow UNESCO City of Literature, Poland.2017. Awarded at the International Writers’ and Translators’ Center of Rhodes in Greece.2017. Awarded at the Baltic Centre for Writers and Translators in Sweden.2016. Awarded at the Shanghai Writing Program, hosted by the Shanghai Writer’s Association.2016. Awarded by the Culture Association Nuoren Voiman Liitto to be a resident at Villa Sarkia in Finland.2004. Third among the finalists for the 24th Ramon Llull Prize for Catalan Literature.1997. Finalist for the 8th Mercè Rodoreda Prize for Short Stories.1996. Awarded the 18th Joan Fuster Prize for Fiction.

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    Nuvole basse - Núria Añó

    Nuvole basse

    Núria Añó

    Traduzione di Cinzia Rizzotto

    Nuvole basse

    Autore Núria Añó

    Copyright © 2018 e 2023 Núria Añó

    La prima edizione del libro è intitolata ‘Núvols baixos’ © 2009

    www.nuriaanyo.com

    Tutti i diritti riservati

    Traduzione di Cinzia Rizzotto

    Progetto di copertina © 2018 Núria Añó. Fotografia di Birgit Eilenberger. Illustrazioni di Gordon Johnson

    Independently published

    ISBN: 9798223707639

    Tutti i diritti riservati. È rigorosamente proibita, senza un’autorizzazione scritta firmata dal titolare del copyright, nei termini stabiliti dalla legge, la riproduzione parziale o totale di questa opera attraverso qualsiasi mezzo o procedura, inclusi reprografia e trattamento informatico. Se desidera condividere questo libro con altre persone, per favore, compri altre copie. Grazie per il rispetto del duro lavoro di questa autrice.

    Indice

    Title page

    Copyright

    Nuvole basse

    Chi è l’autrice

    Altri libri dell’autrice

    La scrittrice morta

    Lo sguardo del figlio

    Il salone degli artisti esiliati in California

    Chi è la traduttrice

    Nuvole basse

    Núria Añó

    Marianne era seduta in poltrona quand’è suonato il campanello. I suoi piedi più lenti del solito, come se fosse da tanto che indossa solo pantofole e non ricordasse più che oggi le hanno messo un paio di scarpe, che hanno tutto l’aspetto di essere state lustrate; o quel tacco alto tre dita, quante passeggiate avrà fatto con queste scarpe, e guardate, ora non ricorda nemmeno com’è arrivata fin qui; ricorda invece che la punta stretta le schiaccia le dita. E come guarda bene l’ora; potrebbe osservare quell’orologio a muro per un bel pezzo, tanto da avere la sensazione che la donna cui è appena stato indicato di entrare giunge in ritardo. Non so, quarant’anni senza vedersi… Va così male la comunicazione? E adesso cosa succede, la donna in visita perde tempo a salutare i membri della famiglia, come se non si ricordasse di lei, pensa Marianne mentre piega la schiena e si abbassa l’orlo della gonna. Intanto l’attrice avvicina una mano alla porta, chiunque potrebbe vedere che fa come per entrare ma che qualcuno la trattiene dall’altra parte del vetro. Quante parole potrebbero risparmiarsi l’un l’altro, e il viaggio, e ti conservi benissimo, poi la palma della mano che scivola dal vetro al pomello; di colpo, come se si dovesse decidere se entrare o meno. E infatti la figlia ha rovinato tutto; eppure Marianne non voleva che lo facesse, insomma, qui siede una donna che sperava, almeno per un giorno, di non udire il nome di quella malattia, ma ormai quel che è fatto è fatto. Neanche alzandosi in piedi potrebbe lottare contro quella parola, ma, come dirlo, il braccio dell’attrice si fa vedere di nuovo vicinissimo al vetro, nonostante quelli la facciano retrocedere con le loro stupidaggini, dicendo che meritava la statuetta per non so quale film. C’est la vie , dice l’altra riavvicinando la mano al pomello. E ha avuto l’opportunità di avere a che fare con gli uomini più desiderati, perché nasconderlo, afferma la figlia dell’anziana, se solo a vederli mi fanno ancora un certo effetto. Davvero?, a me non più, precisa l’attrice. Che, dopo aver detto questo, apre la porta e trova l’altra in piedi. Era ora, esclama Marianne facendo un passo avanti. Era ora passata, chiosa Gabriele con un abbraccio.

    E perché non si ferma qui?, propone la figlia di Marianne, le preparerei una camera in un attimo. Quando sente dire questo, Gabriele è seduta a un angolo, la sua mano stringe quella di Marianne, come se le parole fossero di troppo e al loro posto ci fossero invece i suoi occhi attentissimi, in cui si vede un certo luccichio da entrambi i lati, ma l’attrice infrange il momento e torce leggermente il collo per informare che alloggia già in un hotel. In un hotel, come mai?, esclama la figlia, quando potrebbe stare qui tutti i giorni che vuole! Ma Gabriele torna subito alla mano di Marianne, che si posa sul volto, una mano che bacia. Se mi fermo solo tre giorni, spiega l’attrice, voltandosi di nuovo, come saprà, ci sono sempre delle cose da fare, dei progetti, insomma. Sì, Marianne ha un’idea di cosa vuol dire. I suoi progetti, invece, sono sfumati via, come il vapore di una pentola a pressione, un fuoco di paglia. E la figlia parla da sola: le preparo la camera. O il nipote: col cazzo, le lasci la tua. E la figlia: vuoi stare zitto, non vedi che ci può sentire? Ma se l’attrice accavalla perfino le gambe verso di loro per affermare che lo ha già pagato, l’hotel. Arthur è morto, dice di colpo Marianne. Lo so, prosegue Gabriele, ma è successo già qualche anno fa. Sì, dice sottovoce l’altra, che ora guarda dalla finestra e sospira. Se vedi la luce accesa in garage, riprende dopo un istante, di’ ad Arthur di entrare, passa la sua vita rinchiuso là dentro, ci vediamo a malapena. Poi Gabriele si alza dal divano e aggiunge: ma adesso non abiti più in quella casa. Ah, no?, dice l’altra.

    Domenica al tramonto, potrebbe dire Gabriele non appena esce dal condominio e guarda in alto. Tuttavia, sull’ultimo gradino esita un attimo se dirigersi all’hotel. Decide invece di fare il passo successivo in direzione opposta. Il volto scoperto, come se avesse previsto che facesse un tempo migliore di quello che c’è in realtà. Probabilmente perché di questa città conserva dei ricordi piuttosto ingigantiti, come se il trascorrere degli anni potesse cancellare dal calendario tante giornate grigie e adesso si dovesse alzare il bavero del cappotto e respirare dal naso, mentre osserva questa città così diversa rispetto ai ricordi della sua adolescenza. Non so, dove probabilmente si aspettava delle case trova altissimi palazzoni e dove si aspettava spazi aperti, tutto ammucchiato, come se su questa terra non ci fosse più abbastanza deserto dove costruire. Si presuppone che lei non sia architetto, neanche vorrebbe esserlo, ha fatto l’attrice, invece, anche se ora cammina verso chissà dove. O anche se si sorprende a girovagare o ad aspettare a un semaforo, come se questa città non fosse più quella lì, ma, al suo posto, tante strade nuove. Ad ogni modo, alza una mano ed ecco che accorre un tassista, che importa, di certo non aveva previsto di perdersi qui.

    Gabriele!, esclama Silvia non appena apre la porta, lei che spesso parla a raffica e adesso non fa che sottolineare, nel bel mezzo dell’abbraccio: dovevi avvisarmi prima. L’attrice entra immediatamente e appende il cappotto all’appendiabiti dell’ingresso, poi va verso il salotto, si sfrega le mani dicendo: se avessi dovuto programmato, non sarei venuta. Sì, insomma, Silvia la invita a sedersi e lei si siede, le due vicinissime a questo tavolo dove entrambe incrociano le braccia, una col volto un po’ chino. Che succede?, domanda Gabriele sollevandole il mento. Niente, risponde l’altra. La stessa che si alza e prende due bicchieri dalla credenza, poi serve un liquore, senza fretta. Non si direbbe, contesta l’attrice abbassando lo sguardo. E Silvia piange, non so, decide di piangere in un brutto momento, ma poi trova qualche fazzoletto nel grembiule e subito dopo esclama: pensavo che non ti ricordassi più di me, oh! E perché dovresti ricordarti? Ti sei data alla bella vita e hai avuto tutto quello che hai voluto, sposata e divorziata due volte, e con quali uomini! Sono mille volte meglio del mio, solo che qui è sempre tutto uguale, come un orologio fermo, e hai fatto bene ad andartene, te l’ho già detto e te lo ripeto, qui non c’è che miseria. Io questo non lo ricordo, afferma l’attrice dopo aver bevuto un sorso. A sua volta Silvia abbozza un lieve sorriso, poi beve. Stai meglio?, chiede Gabriele. Meglio, ripete l’altra, tu stai bene, sei comoda, vuoi mangiare qualcosa? Mentre l’attrice annuisce e nega con la testa, quello che pare strano è che Silvia riesca a cogliere all’istante questa comunicazione non verbale, mentre io mi sono persa già al primo movimento del capo. Ma dov’ero rimasta, ah, sì, il marito di Silvia spunta chissà da dove e cosa vede a questo tavolo! Uno non ha mai creduto ai miracoli, ma ora, ora cadrebbe fulminato se non fosse che è già aggrappato a Gabriele. Sembra un po’ nervoso, non si aspettava di trovarsi così vicino a questa donna del grande schermo che sua moglie un giorno raccontava che aveva abitato qui, a tre o quattro strade di distanza da casa sua!, e come sono strane le cose, lui da giovane non se la ricorda proprio, in cambio ne conserva un’immagine di quand’era stata immortalata per non so quale film, lo saprà lui, certo che in più di un’occasione gli è servita da immagine per farsi dei lavoretti mentre sua moglie dormiva. O forse non dormiva? Un uomo che al tempo stesso, come si suol dire, è stato strettamente legato a Gabriele. In modo intimo, anche se oggi la guarda da un palmo di distanza e si metterebbe a piangere di fronte a lei per la crudeltà del tempo trascorso. Neanche una spada e un bel po’ di cattiveria farebbero un effetto simile. Silvia, dice il marito, resta qui, alla cena ci penso io. E ciò che si intuisce dallo sguardo sorpreso di Silvia, come se non potesse credere a ciò che ha appena udito e dovesse verificare coi suoi occhi come si rimesta negli armadi e, voltandosi dall’altra parte, come l’attrice riprende il cappotto dall’appendiabiti e chiede: ci vediamo domani? Silvia, dal canto suo, ci pensa per qualche secondo, poi risponde: chiamami a metà mattina.

    E perché Gabriele non si è fermata a cena?, chiede il marito a Silvia. Ti pare, lo rimprovera lei, che a una come lei si possano servire quattro ortaggi mezzi crudi e una cotoletta bruciata? Una non può mica presentarsi così all’improvviso, di domenica, come niente fosse, e pretendere che la invitino a cena. Lo vedi cos’avevamo per oggi, riprende, lei sarà abituata a mangiare, che ne so, caviale, e noi siamo una coppia che si deve arrangiare con uno stipendio solo, se almeno mi avessi lasciato lavorare a suo tempo, adesso avremmo due paghe e avremmo potuto invitare Gabriele a cena in qualche ristorante, io ci avevo anche pensato, ma ho visto subito che ci avrebbe complicato il resto del mese. Vediamo quanto si ferma, prosegue la moglie poco dopo, ma spero che non siano tanti giorni, per il suo bene, non vorrei che vedesse come la sua amica sperpera le giornate, una dopo l’altra, oh, ma sicuro che se ne farà un’idea quando mi vedrà andare da una parte all’altra con i nipotini!, non so perché sia venuta, la prima cosa che mi ha detto è stata che se aprivo la tendina avrei visto una vecchia che la salutava dalla cabina del telefono più vicina, questa qui, diceva proprio nel momento in cui anch’io alzavo la mano e pensavo: che vergogna!, e poi con cosa se ne esce, mi spara che era appena andata a trovare Marianne, quando in realtà la sua amica ero io, lei era più vecchia di noi, se era già fidanzata quando noi andavamo ancora a scuola! Ma se vuole stare con Marianne, conclude prendendo un bicchiere d’acqua, faccia pure, è ancora qui in carne e ossa, ancora calda.

    Gabriele si trova nella sua camera d’hotel, telefono in mano. Chiunque abbia chiamato non risponde. Per cui dovrà continuare a fare ciò che aveva iniziato, una cena che sceglie di fare qui, nell’intimità delle due luci della testiera e dei colori incessanti che compaiono sul televisore. Per quanto apra o chiuda gli occhi, si ritrova sempre nel mezzo di una città in cui non metteva piede da tempo. Un’eternità. Rispondi, rispondi, sussurra di nuovo alla cornetta. E infine ecco quella voce, che lei cerca di trattenere all’altro capo senza che possa ribattere. Ti do il telefono dell’albergo, dichiara l’attrice al suo rappresentante, una tesserina in mano, se non mi trovi ti lascio il fax della reception. Quando ti comprerai un cellulare?, sembra interromperla il ragazzo. Mi prenderesti maggiormente sul serio se ne avessi uno?, rinfaccia bruscamente Gabriele. Non sai quanto mi ecciti quando ti arrabbi. L’attrice avvicina l’apparecchio all’orecchio, come sul punto di dirgli qualcosa d’importante, e intanto guarda all’insù, una vorrebbe davvero sentirsi dire tante cose, ma adesso si limita ad ascoltare, questo sì, questo no, dipende. Una donna moderna, Gabriele, che rivolge di nuovo lo sguardo verso il letto e con l’angolino della bocca riproduce una smorfia di dispiacere, come se dentro avesse tanta rabbia contenuta ma al tempo stesso in grado di allungare il filo mentre emette una risata civettuola, e che si cancella dal suo volto non appena riattacca. Allora mette giù un piede dal letto, prende l’agenda dalla borsetta e scruta il futuro su un sacco di pagine bianche. Bianche come la camicia da notte che qualcuno mette a Marianne infilandogliela dalla testa. O come il cotone con cui Silvia si toglie due strati di smalto dalle unghie, con l’acetone, per risparmiare tempo. Tempo che Marianne trascorre sdraiata su un letto altrui, a cui viene legata con una cinghia di cuoio per impedirle di scappare e di cadere, e anche di muoversi. Una donna che nei momenti di lucidità si rende conto dello scompiglio che causa, e piange. Come anche Gabriele.

    Si ode già il nipotino di turno, il più piccolo, che appena arriva sta già strillando di gioia. Lo accompagna la sorella di nove anni; alla sua età potrebbe occuparsi del piccolo, la scuola non è così lontana. Silvia li fa entrare. L’uno e l’altra fanno colazione a casa di questi nonni così simpatici che hanno sempre qualcosa da raccontare. Entra anche la figlia di Silvia, che dice di aver preso appuntamento dal dottore per il bambino, a quanto sembra, tossisce e un po’ di catarro, digli soprattutto che lo visiti bene, oh, si sta facendo tardi. Sì, Silvia e suo marito conoscono fin troppo bene questo oh. Ecco, una che se ne va. Gli altri restano seduti a quel tavolo dove finisce un’altra bottiglia di latte. Vado io, dice l’uno o l’altro alzandosi dalla sedia. Che importa: i nipotini riempiono i cuori di gioventù, come una primavera dopo un lungo stato d’ibernazione, in cui le braccia si allungano come quelle di uno spaventapasseri, per abbracciarli. Così come le allungherebbe volentieri il marito di Silvia per cingere la vita di Gabriele, se solo si lasciasse prendere. Un uomo che ieri ha già avuto un’occasione e che oggi potrebbe raccoglierne i resti con scopa e paletta. No, lui non è il tipo di Gabriele. Neanche le sue mani, che sopportano il duro lavoro quotidiano, potrebbero mai competere con quelle vellutate di quella donna, che proprio ieri gliene poggiava una sulla spalla, sì, mentre lo baciava sulle guance. Se oggi lo raccontasse al lavoro, non gli crederebbe nessuno. E poi si dovrebbero dire frasi come: sì, dai, Gabriele Bates! Quella che ha fatto questo film e quell’altro, cavoli, com’è possibile che proprio adesso non mi ricordi, ditemi i titoli di qualche film, no, di qualcuno che non sia così nuovo, vediamo se, tra tutti, ce ne viene in mente qualcuno. E quando il titolo fosse spuntato, sarebbero rimasti così, con la bocca semiaperta, come se desse loro la sensazione di un film vecchio. E lungo, aggiunge un altro. Dai, adesso continuiamo, che il lavoro è quel che è e non conosce pause. Non riposa neanche quando uno va a casa, spossato. C’è sempre un altro turno che subentra subito dopo. Il fatto è che un giorno il marito di Silvia solleva chili e chili di peso, con la macchina, e all’improvviso si rende conto che preferisce fare anche questo piuttosto che stare a casa.

    Gabriele giunge nel parco dove le ha dato appuntamento Silvia, che, appena la vede, alza un braccio in lontananza, nonostante sia l’unica persona che si vede, con un nipotino che fa scendere dal passeggino. L’attrice si avvicina al bambino e gli dice qualcosa con un sorriso, ma, a quanto pare, il piccolo aspetta solo che lo sleghino per andare verso qualche giostrina. Gabriele si accomoda sulla panchina; indossa una camicetta di un blu intenso con una specie di orlo sui polsini, che spunta sotto un cappotto chiaro. Nemmeno i pantaloni ampi o lo scarpe con un po’ di tacco possono competere con alcuni dei capi che indossa lei, pensa Silvia, mentre stringe le dita nella borsetta. Questo è il più piccolo, aggiunge poi da brava nonna, mia figlia però ne ha altri due, una di nove anni che è molto studiosa e il più grande, di diciassette, un mascalzone, li hanno cresciuti uno alla volta, come se non osassero farlo tutto di colpo, e guarda un po’, a questo, come vedi, devo badarci tutto il giorno, per precauzione, in realtà va già al nido, ma quando hanno visto che tossiva mi hanno detto di tenermelo, come se non avessi altro da fare, insomma, mi fa piacere che tu sia qui. Anche a me, risponde Gabriele, in realtà è fantastico che tu abbia dei nipotini,

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