Irene non si ferma nemmeno un secondo a pensare che la sua vita è appesa a un filo. Non si lascia neanche prendere dalla paura che le attanaglia lo stomaco mentre i tre sconosciuti continuano a tentare di abbattere la porta della sua abitazione, colpendola con tanta forza che il legno sembra sul punto di cedere. Non fa nemmeno caso al suo cuore, che accelera al ritmo dei gemiti del legno, inviando adrenalina al suo corpo. L’unica cosa a cui riesce a pensare è mettere in salvo suo figlio. Togliere di mezzo Carmelito, proteggerlo a costo della sua propria vita.
«Giochiamo a nascondino, va bene?», nel dirlo, toglie le mani dalle orecchie del bambino, con cui aveva tentato di impedirgli di sentire i colpi dell’assalto. Il bimbo non capisce cosa voglia fare sua madre, né perché voglia giocare in un momento tanto strano come quello. Lei, invece, guarda il vecchio baule che sta in un angolo del salotto: una possibile soluzione al suo problema. In un attimo prende Carmelito e lo mette, senza smettere di sorridere complice, nel mobile.
«Devi promettermi che non ti muoverai per nulla al mondo. Succeda quel che succeda. Vincerai il gioco se starai in silenzio e con le orecchie tappate, come adesso».
Il bambino la guarda mentre assentisce; prima di mostrargli il suo vero stato d’animo, Irene chiude il coperchio del nascondiglio improvvisato. «Non ti muovere, figlio mio» conclude, mentre impila dei libri sul mobile in modo da depistare chi entri.
Improvvisamente, il silenzio cade su di lei. Era tanto concentrata nell’intento di nascondere il