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Il tatuatore
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E-book250 pagine3 ore

Il tatuatore

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Info su questo ebook

Chicago. James, agente speciale dell’F.B.I., investiga assieme alla collega Sarah su un caso davvero complesso.
Una corsa contro il tempo, dove una serie di bizzarri omicidi minaccia la sicurezza della collettività.
Un viaggio ricco di colpi di scena, dove i protagonisti si troveranno ad inseguire una scia di morte che li condurrà ad un inquietante epilogo.
LinguaItaliano
Data di uscita31 mar 2015
ISBN9788867823970
Il tatuatore

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    Anteprima del libro

    Il tatuatore - Simone Turri

    SIMONE TURRI

    DANIELA MECCA

    IL TATUATORE

    EDITRICE GDS

    Simone Turri, Daniela Mecca Il Tatuatore©EDITRICE GDS

    EDITRICE GDS

    di Iolanda Massa

    Via G. Matteotti, 23

    20069 Vaprio d’Adda (MI)

    tel.  02  9094203

    e-mail: edizionigds@hotmail.it ; iolanda1976@hotmail.it

    Illustrazione in copertina da Fotolia Cadavere salma obitorio, morto, omicidio, killer ©LaCozza

    Progetto copertina di ©Iolanda Massa

    Tutti i diritti riservati.

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi e avvenimenti sono il prodotto della fantasia degli autori o usati in chiave fittizia, e qualsiasi somiglianza con personerealmente esistenti o esistite, aziende, fatti o località è puramente casuale.

    Ritengo che l’umanità sia nata da un conflitto. Forse è per questo che tutti noi abbiamo un lato oscuro. Alcuni scelgono di assecondarlo, altri non hanno scelta, il resto di noi lo combatte. Ma in fin dei conti è naturale come l’aria che respiriamo. A un certo punto siamo costretti ad affrontare la verità, tutti noi. Per me quel giorno è arrivato.

    Anonimo

    GUARDAMI

    1

    L’agente speciale dell’F.B.I., James Sunderland, era appena rientrato a casa, dopo una lunga giornata di appostamenti, indagini ancora in sospeso, scartoffie da sistemare. Desiderava solo riscaldarsi del cibo cinese al microonde, farsi una birra, guardare un programma qualsiasi alla tv per poi andarsene a dormire.

    Viveva in quel bilocale ammobiliato, preso in affitto per poche centinaia di dollari al mese, da quando, tre anni addietro, sua moglie Marita morì in un incidente stradale mentre rincasava da una cena consumata in solitudine, a causa di quell’odioso lavoro che lo teneva sempre molto occupato.

    James non si era mai perdonato il fatto di aver litigato con lei la stessa sera dell’incidente; se solo fosse stato più presente probabilmente Marita non sarebbe morta e sarebbero ancora insieme. Nella sua mente orbitavano le immagini di quando era sopraggiunto sul luogo dell’incidente: lei rinchiusa nell’abitacolo dell’auto, con il busto ricurvo in avanti verso il volante e con il cranio incastrato nel parabrezza. Il sangue colava ancora sul suo volto seminascosto dalla capigliatura impiastricciata  lasciando scoperto l’occhio sinistro privo di vita. Le cause dell’incidente rimasero sconosciute in quanto non fu rinvenuta alcuna prova che determinasse lo scontro con altri veicoli. Mentre ripensava a quei brutti momenti, venne riportato alla realtà dal trillo del microonde nel quale aveva messo gli spaghetti di soia e dallo squillo insistente del suo cellulare.

    Era la sede che richiedeva la sua presenza sul luogo di un delitto avvenuto dall’altra parte della città.

    Melissa Richardson, quarant’anni, carnagione bianca, occhi e capelli castani. Impiegata amministrativa di una multinazionale informatica, divorziata, senza figli. Trovata seminuda nel suo appartamento, incollata al tavolo della sala da pranzo, con una vistosa scritta sul ventre che recitava: GUARDAMI.

    James arrivò sulla scena del crimine in un lampo e si fece largo tra la piccola folla di curiosi e gli agenti della polizia che stavano comunicando con i colleghi della sede operativa. Scavalcò le strisce gialle di sicurezza che delimitavano la zona ed entrò nel palazzo di sei piani in stile vittoriano.

    Ad incuriosirlo erano state due parole che la sua collega, Sarah Gomez, gli aveva riferito poco prima al telefono: incollata e tatuata. Mentre gli  agenti di guardia comparivano ad ogni piano, intenti a interrogare gli inquilini, James saliva gli ultimi gradini che lo separavano dall’appartamento della vittima. Non appena varcò la soglia intravvide Sarah e Duncan Harris, medico patologo dell’F.B.I., intenti a esaminare il cadavere.

    La sala da pranzo appariva intatta, non un oggetto fuori posto. Il cadavere della donna era fissato al tavolo di legno, con i piedi e la schiena incollati e le gambe divaricate a mostrare il sesso. James si avvicinò al corpo e rimase per qualche istante e fissare la scritta GUARDAMI sul ventre di Melissa.

    Un altro particolare che catturò la sua attenzione fu il viso che sorrideva in modo beffardo, quasi divertito, che le era stato reso ancora più aperto da due tagli profondi ai lati delle labbra che proseguivano sulle guance, mettendo in evidenza la lingua penzoloni trattenuta da una fila di denti perfetti.

    «Alla buon’ora!» esordì Sarah strizzandogli l’occhio.

    «Mai un attimo di pace eh?» rispose James «Salve Duncan! Una volta dovremmo incontrarci in circostanze più rilassanti, magari per una birra!» gli disse sorridendo, incontrando il suo sguardo attento da topo di biblioteca. Duncan rimase concentrato e si limitò a grugnire, continuando a prelevare campioni di tessuto e di sangue raffermo dal cadavere.

    «Allora, che ne pensi James?» gli domandò Sarah, non appena si fu appartata in un angolo della stanza insieme a lui.

    «Quella scritta tatuata non mi piace per niente; per non parlare di quel sorriso agghiacciante, con quella lingua fra i denti!» le confidò fissandola dritta negli occhi. «Siamo davanti a un sadico, psicopatico omicida.»

    «Ho fatto in modo di raccogliere informazioni da tutti gli inquilini dello stabile, nel caso avessero visto o sentito qualcosa, ma non abbiamo ancora nulla. Ho già predisposto una ricerca sui famigliari e conoscenti della vittima. Avrai un rapporto completo entro domani sera.»

    «Troppo tardi, Sarah. Facciamo per domattina. Non abbiamo tempo da perdere, se è come la penso io» disse sottovoce James.

    «E sarebbe a dire?» chiese lei alzando un sopracciglio, ansiosa di conoscere la risposta del collega.

    «Non conosciamo ancora il movente, ma credo che ci farà avere sue notizie al più presto. Sempre che agisca da solo!» disse lui lasciando la stanza per controllare di persona il resto dell’appartamento. Una cucina spaziosa e funzionale, un bagno dove solo la presenza di una donna single poteva renderlo così impeccabile, un ripostiglio non più grande di un box doccia e una camera da letto che si sarebbe detto appartenere ad una principessa d’altri tempi, mai cresciuta.

    «Agente Sunderland! Forse qualcuno ha visto qualcosa!» disse un giovane agente che apparve sulla soglia, madido di sudore, come se fosse reduce da una corsa a ostacoli.

    «Chi è?» chiese lui notando il nome R. Scott sulla targhetta della divisa.

    «La signora che abita al piano di sotto. Parla di un gatto e di un pagliaccio. Non so quanto possa essere utile, ma…»

    James non diede all’agente Scott il tempo di terminare la frase che si precipitò giù per le scale per verificare di persona quella possibile pista.

    Sarah Gomez lo seguì a ruota, rischiando d’inciampare su sé stessa e di rompersi l’osso del collo.

    L’appartamento di sotto era quello di Madleen Moore, ottuagenaria simpatica ma, a prima vista, un tantino in ritardo con la mente.

    «Buonasera signora Moore, sono l’agente speciale Gomez dell’F.B.I. e avrei bisogno di farle qualche domanda in merito a quello che è successo al piano di sopra» esordì Sarah cercando di instaurare un rapporto di fiducia per mettere a proprio agio al vecchina.

    «Va bene. Chieda pure, se posso esserle d’aiuto…» rispose Madleen Moore.

    «Cos’è successo? Cos’ha sentito?»

    «Blackie, la mia gatta, ha sentito la presenza di qualcuno e ha iniziato a miagolare nervosamente guardando in direzione della porta d’ingresso. Mi sono subito avvicinata a guardare dallo spioncino e ho visto una figura mascherata da pagliaccio, con in mano un coltello che faceva scorrere sulla sua lunga lingua; poi più nulla!»

    «Si ricorda dei rumori, degli odori magari?» continuò Sarah lanciando uno sguardo complice verso James.

    «No, mi dispiace. Non ricordo altro! Ora, se non le dispiace, vorrei andare a riposare.»

    «Certamente signora Moore, credo che per il momento possa bastare» disse Sara allontanandosi dalla porta della signora.

    «Che te ne pare?» chiese lei rivolgendosi al collega.

    «Dobbiamo saperne di più su quel pagliaccio e sulla scritta tatuata. Ora ci parlo io e vediamo se riesco ad ottenere qualcosa di più concreto!» disse lui mentre bussava alla porta di Madleen.

    «Signora Moore, mi scusi per il disturbo, ma avrei bisogno di farle qualche altra domanda.»

    «Ancora?» disse lei mentre apriva la porta «È la terza volta che ripeto questa storia! Sono in pensione da dieci anni e vivo nel mio appartamento al quinto piano, a River Street, con la mia gatta Blackie. È molto intelligente e si rende subito conto se c’è qualcosa che non va.» disse la donna, interrompendosi per farsi aria con il piccolo ventaglio azzurro ricamato di perline colorate.

    «Continui, la prego» la sollecitò lui, mentre la fissava attentamente con i suoi occhi grigi penetranti.

    «Ero seduta davanti alla tv con la gatta in grembo quando, ad un certo punto, saltò giù dalle mie ginocchia e si mise a miagolare e soffiare in direzione della porta. Mi alzai dalla poltrona per andare a sbirciare dallo spioncino, come faccio sempre quando sento dei rumori, e vidi una persona vestita da pagliaccio salire lentamente le scale» disse la donna irrigidendosi per lo spavento che le provocava quel ricordo.

    «Stia tranquilla signora Moore. Vuole dell’acqua?» chiese educatamente l’agente Sunderland.

    «No grazie, non serve. Il pagliaccio si deve essere accorto della mia presenza perché si è avvicinato lentamente alla porta, inclinando il capo di lato, come se fosse attirato da qualcosa.»

    «Mi descriva la maschera e cosa indossava quella figura.»

    «Era scura, con un sorriso beffardo che non scorderò mai. Aveva dei riccioli viola, gli occhi erano contornati di blu e un naso rosso a patata. Portava abiti scuri che non saprei descrivere data la scarsa luminosità che c’era sul pianerottolo.»

    «Ottimo! Che è successo dopo?» le chiese James continuando a prendere appunti sul suo taccuino.

    «Come ho già detto alla sua collega, teneva in mano un coltello che si passava sulla lingua, guardando sempre nella mia direzione come se volesse informarmi di essere a conoscenza della mia presenza.»

    «Non ricorda nient’altro? Riesce a dirmi com’era fatto il coltello?»

    «Ho notato solamente lo scintillio della lama che rifletteva la luce fioca del pianerottolo. Mi sono spaventata e mi sono ritratta; dopo qualche istante ho provato a sbirciare nuovamente ma era svanito nel nulla senza fare alcun rumore.»  

    «Per ora abbiamo finito, signora Moore. La pregherei di non lasciare la città per i prossimi giorni, ma di restare a disposizione nel caso in cui avessimo necessità di farle qualche domanda. Se le dovesse venire in mente qualcosa, non esiti a chiamarci; a qualsiasi ora del giorno e della notte.» disse allungandole un bigliettino da visita che la donna ripose nella sua borsetta, dopo averlo scrutato con attenzione.

    «Certo, non si preoccupi agente. Arrivederci!» rispose lei salutandolo con la mano mentre richiudeva la porta di casa.  

    I due agenti rientrarono alla sede e James, una volta rimasto solo nel suo ufficio, si allentò la cravatta e stese le gambe sotto la scrivania pensando alle dichiarazioni appena raccolte.

    Nonostante i molti anni di servizio, dentro di sé non riusciva ancora a concepire come un essere umano potesse godere nel fare del male a un altro.

    Ormai si era fatto tardi ma non aveva alcuna voglia di rincasare e decise di fermarsi al Summer Night, il bar sulla quinta, dove per anni si era rifugiato quando aveva bisogno di evadere con la mente. Quella notte il suo pensiero non era rivolto verso Marita, alla sua tragica morte e a quanto le mancasse, ma rielaborava le informazioni acquisite sul caso Richardson. S’immaginava le orribili violenze subite dalla donna e le barbarie dalle quali non aveva potuto liberarsi. L’intreccio dei vari tasselli che componevano quell’intricato puzzle volteggiavano davanti a lui allineandosi in una sorta di schema: il particolare della maschera da pagliaccio lo inquietava molto, ma mai quanto la scritta tatuata e l’assenza del sangue nel corpo della vittima.

    James continuava a chiedersi quale messaggio volesse inviare l’assassino e a chi. Ci sarebbe stato un seguito o era soltanto un regolamento di conti con qualcuno di scomodo?

    Era talmente immerso nelle sue congetture, che non si era reso conto di aver bevuto quattro Margaritas e uno Scotch, di aver pagato il conto, di essere risalito in auto e di aver fatto ritorno incolume a casa. Se ne accorse solamente quando si ritrovò davanti alla porta d’ingresso armeggiando con le chiavi nel tentativo di aprirla. Una volta entrato, si tolse i vestiti, si sdraiò sul letto e spense la luce, pronto ad affrontare un’altra notte insonne ricca di inquietudine.

    2

    Sarah e James lavoravano insieme da circa tre anni. Dal punto di vista professionale si erano trovati in sintonia fin da subito; si capivano al volo, senza quasi bisogno di parlarsi. Erano riusciti a risolvere numerosi casi e non era un mistero per nessuno che lei ci provasse spudoratamente con lui, senza ottenere nulla di più che un semplice rapporto civile di lavoro fra colleghi. Sarah era un’esperta tiratrice, molto precisa nel suo lavoro, eccellente supporto sul campo, James invece era la mente del team: fisionomista ed esperto nel tracciare profili psicologici davvero sorprendenti, abile negli interrogatori e con un ottimo fiuto che lo distingueva dalla massa.

    Capelli lisci corti e brizzolati, occhi grigi penetranti che si sposavano perfettamente con un sorriso rassicurante che metteva a proprio agio chiunque e una voce profonda ma tagliente.

    Dalla scomparsa di Marita non era stato con nessun’altra donna, non riuscendo a provare nulla più dell’amicizia per un essere umano del sesso opposto.

    Si rendeva perfettamente conto dell’evidente corte che Sarah gli faceva da tempo, ma non voleva cedere alla situazione per non rischiare di compromettere lo splendido rapporto di fiducia, stima e complicità che si era creato.

    Sarah era davvero una bella ragazza, questo lui lo ammetteva: capelli lisci che le arrivavano fino alle spalle, occhi scuri da vera portoricana, belle forme sinuose e aggraziate, una voce suadente da ammaliatrice.

    James non era riuscito a chiudere occhio quella notte, continuando a rimuginare e facendo ipotesi sul caso. Erano le cinque e un quarto del mattino e di lì a poco sarebbe dovuto andare alla sede F.B.I. per fare il punto della situazione in base alle prove emerse  sulla scena del crimine.

    Decise quindi di alzarsi per fare una doccia bollente per poi uscire di casa mentre le ultime ombre della notte, fuggivano a nascondersi al cospetto del nuovo sole nascente in quella mattinata fredda e nebbiosa.

    Fece una breve sosta da Smith’s per concedersi il solito caffè annacquato, servito in un bicchiere di cartone, e si avviò verso la sede dell’F.B.I. dove rimase sorpreso nel trovare già all’opera Sarah e Duncan che parlavano animatamente fra loro, ascoltati con molto interesse dal supervisore Morgan.

    James entrò in ufficio dando il buongiorno a tutti con un cenno del capo, per non interrompere la discussione, ma fu incalzato da Morgan che lo salutò in modo visibilmente contrariato.

    «Ma dove ti eri cacciato? Ti ho cercato come una pazza per dirti di venire subito qui!" gli disse Sarah assestandogli una gomitata all’avambraccio non appena James prese posto accanto a lei.

    «Ho tolto la suoneria del cellulare stanotte perché avevo bisogno di riposare e d’isolarmi completamente dal resto del mondo. Sai benissimo che adotto questo espediente quando non so che pesci pigliare riguardo ad un caso! E poi non sapevo mi facessi da balia tesoro!» rispose ironicamente lui dandole un leggero pizzicotto al fianco sinistro e facendola arrossire all’istante.

    «Visto che ora ci siamo tutti, direi di dare la parola a Duncan, il quale ha sicuramente delle importanti novità riguardo il caso Richardson. Prego Duncan, a lei la parola» aggiunse Morgan scendendo dal piccolo podio con lo stemma dell’intelligence americana e accomodandosi due sedie dopo quella di James.

    «Benissimo, buongiorno a tutti. Mi spiace avervi dovuto svegliare in piena notte, ma i segni rinvenuti sul corpo della Richardson, meritavano un immediato interesse» disse grattandosi la chierica in evidente disagio. Era il tipo d’uomo adatto a riflettere in solitario silenzio e non a esporre congetture e fatti davanti a una platea di agenti curiosi di sapere. Lavorava in quella squadra da quattro anni ormai, ma non si era ancora scrollato di dosso quel senso di soffocamento che provava ogni qualvolta doveva conferire in pubblico.

    Duncan aveva da poco compiuto quarant’anni, era una persona riservata, mai al passo coi tempi in quanto ad abbigliamento, intrappolato tra gli anni sessanta e ottanta. Portava occhialini tondi senza montatura e folti baffi che servivano a ricoprire una cicatrice sul labbro superiore dovuta a una caduta d’infanzia. Viveva ancora con la madre e non se la sentiva proprio di lasciarla sola, specialmente dopo la morte del padre, avvenuta anni prima a causa di un ictus fulminante all’emisfero sinistro del cervello. Duncan era il tipo d’uomo che si lavava soltanto nei fine settimana, per non sprecare troppo acqua altrimenti la mamma si arrabbiava e che metteva sempre la camicia dentro i pantaloni abbinata all’immancabile papillon. Non aveva mai avuto alcun approccio col sesso opposto e che aveva dato tutto sé stesso allo studio, alla lettura e alla scienza.

    «La signora Richardson è deceduta fra le diciotto e le venti. La scritta è stata effettuata con un puntale per tatuaggi e chi ha eseguito quel disegno è un professionista a tutti gli effetti. Il sangue sul ventre, in realtà, è un pigmento per creare tatuaggi, mentre quel poco rinvenuto attorno alla parte inferiore del busto è dovuto a penetrazione ripetuta con un corpo contundente, dato che non sono state ritrovate tracce vitali all’interno del corpo. Il volto della donna è stato manipolato con degli strumenti, oserei dire, da ortodonzia dentaria e la vittima è morta per dissanguamento. Il colpevole non ha lasciato alcuna traccia sul corpo di Melissa e, purtroppo, nessuna impronta digitale. Nemmeno la maschera da pagliaccio ritrovata accanto al corpo può essere utile per decifrare il benché minimo particolare sull’omicida. Il carnefice, o carnefici che siano, è un professionista» concluse Duncan visibilmente scosso da quella macabra relazione, commentata con un silenzio generale rotto dall’agente Sunderland.

    «Propongo di verificare tra le conoscenze di Melissa per sapere dei suoi spostamenti, di quali locali frequentava, praticamente voglio sapere tutto su quella donna» rifletté ad alta voce James.

    «Perché ha usato un tatuaggio? Cosa lo lega a questo mondo? Effettuerò ricerche nel mondo dei tatuaggi» propose Sarah esponendo le sue intenzioni senza alzare il viso dal blocchetto sul quale stava terminando di prendere appunti.

    «Dobbiamo scoprire il significato della parola GUARDAMI. Il nostro "Soggetto Ignoto" deve riferirsi a qualcuno o a qualcosa in particolare. Se non agiamo in fretta, potremmo anche aspettarci, da qui a breve, una seconda vittima» concluse Morgan, alzandosi in cenno di commiato per poi rinchiudersi nel suo ufficio.

    «Che intuito, ragazzi! Chi ci sarebbe mai arrivato?» commentò ironicamente James strizzando l’occhio a Sarah, la quale si limitò ad ammonirlo con lo sguardo, conoscendo bene i dissapori intercorsi tra lui e il supervisore. La diatriba fra i due uomini durava da anni e riguardava, a detta di James, un insabbiamento di prove da parte di Morgan in uno dei casi più ostici in cui l’F.B.I. si fosse cacciata: il serial killer Madison Harper, meglio noto come Il monaco a causa del ruolo di vescovo che ricopriva nella cattedrale di Newport. Morgan, allora collega alla pari di James, si era fatto corrompere dalla curia

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