Lasciando cadere a terra la canna e il resto dell’occorrente per la pesca, mentre i vermi sacrificali trovavano un’insperata salvezza, Joe Ball rivolse per intero la sua attenzione a una colt che vide nelle mani dell’uomo nella foresta. Stava esercitandosi a colpire bottigliette di birra vuote poste su un provvidenziale tronco crollato al suolo e ne mancava sì qualcuna, ma molto di rado. In quel momento, nonostante i suoi quattordici anni scarsi, Joe decise che lui avrebbe fatto di meglio. Non subito, magari, ma di certo con l’andar del tempo.
In seguito pensò di aver avuto un’allucinazione: non rivide mai più quel tizio, che andandosene gli sorrise una volta per sempre come chi ti lascia un testimone sapendo che – non c’è dubbio – continuerai la staffetta. E Joe, affascinato dalla potenza di un oggetto che era in grado di eliminare all’improvviso qualcosa dalla faccia della Terra (spezzare un ramo come una vita), la continuò utilizzando dapprima l’arma di suo padre e poi, quando si mostrò davvero bravo, la propria, anzi le proprie, avute in regalo.
In paese tutti ne conoscevano le qualità di tiratore, tant’è che il nipote di Joe, Bucky, affermerà con malcelato orgoglio ancora molti anni dopo: «Mio zio era in grado di colpire un uccello sui fili del telefono con una pistola dal paraurti della sua Ford modello A» (intervista su Texas Monthly del 1° luglio 2002; la rivista pubblicò tutte le informazioni su Ball, meticolosamente – e faticosamente – reperite da Michael Hall).
Dal 1917, però, Joe dovette mettere a frutto le sue capacità di cecchino in ben altro contesto: la Prima Guerra Mondiale. Il battesimo del fuoco se l’era immaginato completamente diverso. C’era un tale clima di eccitazione, di paura e tremolii, che per lui fu uno scherzo mantenere la calma. Gli sembrò di partecipare a una battuta di caccia, ma gli in questo caso erano