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a andiamo con ordine: anche se prodotti simili per aspetto e colorazione possono essere ricavati dalle uova di altre specie ittiche, il caviale può essere realizzato solo utilizzando quelle da pesci della famiglia , cioè 26 specie di pesci anadromi (cioè che nascono in acqua dolce, vivono in acqua salata e tornano nei fiumi o può raggiungere anche gli 8 metri e vivere, se non incontra pescatori, fino a 100 anni) diffusi da tempo immemore in tutti i principali corsi d’acqua e mari dell’emisfero boreale non sia proprio recente, ce lo conferma la loro data di apparizione su questa terra: oltre 200 milioni di anni fa, forse ancor prima dei dinosauri. Una storia bella lunga ma che corre il rischio di interrompersi: secondo la red list dell’IUCN (International Union for Conservation of Nature, di fatto l’autorità globale sullo stato della natura e della biodiversità) tutte le 26 specie sono a rischio di estinzione. Questo ha portato di fatto al divieto o a pesanti limitazioni di pesca quasi ovunque nel mondo e di conseguenza la maggior parte del caviale e dello storione in commercio proviene da allevamenti. Proprio questo ha fatto sì che l’Italia si sia ritagliata negli ultimi anni un ruolo di primissimo piano, diventando per quantità (circa 60 tonnellate di “oro nero” all’anno) il secondo produttore al mondo dopo la Cina, ma con una leadership riconosciuta in termini di qualità e tracciabilità del prodotto. Sempre italiano e localizzato nel bresciano, il più grande impianto produttivo esistente, ma i produttori sono una ventina, tutti localizzati al nord, nella valle del Po, tra Lombardia, Veneto e Piemonte. Ma non si pensi che il caviale italiano sia un fortunato fenomeno recente e non abbia salde radici storiche nel nostro Paese: il termine , secondo l’Oxford English Dictionary, deriva dall’italiano “caviale” o “caviaro”, a sua volta derivato dal greco medievale . Nelle corti rinascimentali era un prodotto molto ambito e apprezzato, e già nel 1471 ne parlava Bartolomeo Sacchi detto il Platina, umanista e iniziatore della critica gastronomica moderna, descrivendo “uova di storione condite, salate, che prendono il nome di caviare”. A Ferrara, in particolare, Cristoforo di Messisbugo descriveva nel 1557 la ricetta del “caviaro per mangiare, fresco, o per salvare”. La particolarità di questo prelibato caviale ferrarese, che fu prodotto fino al secolo scorso quando i beluga nel Po erano abbastanza comuni, era di essere asciugato in forno e conservato sott’olio. Come si produce il caviale? La bottarga (ovvero la sacca delle uova o ovaia) dei vari tipi di storione femmina, viene rapidamente estratta dalla cavità ventrale dopo la cattura, strofinata su una rete per sgranare le uova che vengono poi risciacquate e lavorate con un poco di sale (circa il 3% nel prodotto finale secondo il criterio Malossol che vuol dire proprio “poco sale”), segue un rapido sgocciolamento a cui può seguire il confezionamento. I prezzi? Alti, ovviamente, (tra 1.000 e 20 mila euro al kg) in considerazione di una domanda sempre più sostenuta e dei consistenti costi finanziari legati alla maturazione sessuale degli storioni che avviene solo dopo svariati anni.