SAPORE DI SALE
in voga nella descrizione di un vino - che sia bianco o rosso - oggi troviamo “salino”, “sapido”, “salmastro”, finanche “iodato”. Sentori che piacciono perché donano “vibrazione” e freschezza alla beva. Una sensazione di schiocco della lingua che ha avuto la meglio sulla morbidezza. Così, nell’ondivago dizionario enoico, anche il termine “saporito” finisce per caratterizzare un calice. Secondo alcuni ciò è dovuto ai terreni sabbiosi, per altri alle particelle marine trasportate dai venti nel vigneto; c’è chi invece addebita il risultato a sapienti - e furbe - tecniche di cantina. La risposta in realtà non c’è, almeno non quella scientifica. E se a dirlo è il Professor Attilio Scienza - Ordinario di Viticoltura presso la Facoltà di Agraria dell’Università Statale di Milano e tra i massimi esperti mondiali sul tema - c’è da crederci. «Difficile provare una corrispondenza certa - spiega il Professore - tra sensazioni organolettiche del vino e caratteri marini del vigneto. Certo è che dal punto di vista del profilo sanitario queste peculiarità non sempre sono benefiche.
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