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Fair Isle

Nebbia. Nebbia a prua, a poppa, a sinistra, a dritta. Il ponte del Good Shepherd IV oscilla e beccheggia, spruzzando schiuma mentre solchiamo i marosi. Secondo un punto lampeggiante sullo schermo di navigazione là fuori c’è l’isola abitata più remota delle British Isles: Fair Isle. C’è chi ne ha forse sentito il nome al servizio meteo della radio, altri riconoscono i tipici punti a maglia esibiti sui maglioni natalizi. Ma a localizzarlo su una mappa probabilmente in molti si troverebbero in difficoltà. Fair Isle è a nord, molto a nord. Quando il tempo è bello si raggiunge con un volo di venti minuti dalle Shetland (oppure navigando per un paio d’ore in acque agitate). Quando fa brutto può restare inaccessibile per giorni, una settimana o anche più a lungo. Fino all’anno scorso dopo, l’isola è vuota: uno sperone di roccia sul quale le pecore e gli uccelli marini superano gli esseri umani di migliaia a uno. Eppure Fair Isle esercita un fascino particolare su quelli che vengono qui. Nella rara occasione in cui si rende disponibile un il National Trust for Scotland riceve centinaia di candidature. Mentre scendo sulla banchina di granito mi domando cosa attiri la gente qui - e per quale motivo alcuni decidano di restare.

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