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Ritorno al Nord

“Separare la Storia dalle leggende può essere difficile da queste parti”

PER GUIDARE DA COLOMBO A TRINCOMALEE sono necessarie circa sette ore di strada (se non si viene trattenuti da elefanti che la attraversano), coi lembi della capitale della costa occidentale – i suoi cartelloni pubblicitari e le eater y lungo la strada – che s’insinuano in un entroterra tropicale di palme da cocco, banane e risaie. Alla fine il ronzio delle tre ruote e delle moto si attenua e si percorrono parecchi chilometri in un paesaggio simile alla savana (dove l’orma di pesanti zampe grigie non è mai lontana), prima di raggiungere il porto di Trincomalee sulla costa orientale. La linea che questa autostrada traccia sulla mappa dello Sri Lanka serviva da confine mentale per i visitatori poiché la maggior parte delle grandi attrazioni del paese si trovava a sud. Il nord dell’isola è diverso: è questa la zona che ha maggiormente sofferto i ventisei anni di combattimenti di guerra civile. Il 18 maggio 2009 quel conflitto si è concluso ed a distanza di quasi un decennio il nord sta gradualmente tornando tra le mete turistiche.

Anuradhapura, prima tappa del mio viaggio, è: solide cupole di mattoni, costruite per custodire reliquie e poi sviluppatesi come perle intorno a nuclei. “In Sri Lanka diamo maggior importanza alla reliquia all’interno che alle dimensioni della dagoba che la contiene”, dice la guida locale Manjula Kumara Jayarathne. Seguiamo una fila di pellegrini vestiti di bianco che al tramonto si dirigono verso la Ruvanvelisaya Dagoba, tenendo in mano un involto di stoffa color zafferano. Eseguono il rituale : avvolgono questa fettuccia intorno alla base della dagoba, al suono di tamburi e flauti, tra nuvole d’incenso. “Considerano la dagoba come un Buddha vivente, per questo la adornano”, spiega Manjula. Anuradhapura è stata costruita in pianura come grande centro del buddismo ma la mattina seguente trovo il suo contraltare più appartato sulla collina di Mihintale, quindici chilometri ad est. Le sue rocce arrotondate si ergono come torri di avvistamento sopra le cime degli alberi, la nebbia dell’alba è svanita dal complesso di templi ed Uparathana Thero, come quasi ogni mattina, inizia a spazzare la sabbia intorno alla dagoba di Ambasthale. È un monaco arrivato a Mihintale all’età di undici anni ed oggi, a distanza di quasi venti, guida visite spirituali nelle foreste. “Il mio master mi lascia libero di viaggiare, sa che non amo stare troppo a lungo nello stesso posto” spiega. Terminati i lavori mattutini, mi conduce in alcuni luoghi di meditazione prediletti, tra questi gli eremi rupestri coi cartelli che intimano il silenzio. Nuovo arrivato, è naturale per me sentirmi come se fossi stato in qualche modo elevato ad un piano più spirituale: Uparathana è più ambiguo. “All’inizio il luogo è importante per la meditazione. Quando sono stato a Taiwan ho però meditato in aeroporto”.

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