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Un'Isola di Mistero
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E-book156 pagine2 ore

Un'Isola di Mistero

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Info su questo ebook

Viaggio nei Misteri della Mente Umana
“Guardati dentro, tu sei il Buddha ”
H.P.B.
 
Dopo la pubblicazione del volume “Dalle Caverne e Dalle Giungle dell’Indostan” di H.P. Blavatsky ecco il seguito, la continuazione e fine di quelle avventure di viaggio, nelle quali “alla rievocazione dei complessi miti indiani è congiunta una bella e semplice descrizione di paesaggi e di costumi. "
 
"Sono appunti di una turista molto particolare,  di una persona misteriosa e  profonda, che dilettano e fanno pensare. Si leggono con un interesse sempre crescente anche per la notevole quantità delle notizie storico-religiose, per il colorito schiettamente locale dei paesaggi descritti, per i numerosi piccoli episodi narrati con brio e spesso con fine umorismo.
Il lettore, percorrendo queste note, sente di essere a contatto con uno Spirito veramente superiore, in un momento in cui prende riposo dal grave lavoro consueto, abbandonandosi alla gaiezza un po’ svagata di un lavoro meno intenso”.
 
LinguaItaliano
Data di uscita29 giu 2021
ISBN9788869376153
Un'Isola di Mistero

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    Anteprima del libro

    Un'Isola di Mistero - Helena Petrovna Blavatsky

    ​L’ANTRO DELLA STREGA

    Quanto fu allegro il nostro ospite gentile Sam Rao per tutto il tempo che ancora rimanemmo in casa sua! Fece di tutto per divertirci, e non volle assolutamente che partissimo senza aver veduto la maggior celebrità del paese. Una jadu wala — maga — molto nota noi dintorni, si trovava per l'appunto allora sotto I’influenza di sette dee-sorelle che per turno s’impossessavano di lei, o proferivano oracoli per mezzo suo. È Sham Rao soggiunse che dovevamo proprio andare a visitarla, foss’altro che pel bene della scienza.

    Calava la sera e noi ci preparavamo a partire per questa gita: non ci sono che cinque miglia fino alla caverna della Pitonessa dell’Indostan, e la strada corre piana e dolce lungo la giungla. Non abbiamo più paura ora dei suoi abitanti feroci, perché i timidi elefanti che montavamo nella città morta sono stati rimandati a casa.

    e dei colossi nuovi, proprietà di un Ràjà vicino, stanno già ad attenderci davanti alla veranda. Sembrano due monticelli oscuri, ma di loro ci potremo fidare ad occhi chiusi ; perché già più volte servirono alla caccia della tigre reale, e non vi è ruggito che possa più spaventarli. Dunque, in viaggio senza paura. Le fiamme fu­mose delle torce ci accecano e rendono più sen­sibile l’oscurità della foresta: come sembra strano e misterioso tutto quello che ci circonda. Vi è proprio un fascino indescrivibile e quasi solenne in tutti questi viaggi notturni nell’India lontana e nascosta ! Il silenzio è perfetto, la solitudine più completa ci circonda; tutto dorme sopra la terra e sul nostro capo, e il respiro della notte non è rotto che dal passo pesante e regolare degli elefanti, che assomiglia al suono dei martelli nella fucina sotterranea di Vulcano. Di quando in quando, qualche mormorio si leva dal silenzio, nell’oscurità della foresta.

    Il vento canta le sue strane nenie fram­mezzo alle rovine — osserva uno di noi. — Che strano fenomeno acustico!

    Bhuta, bhuta!— sussurrano terrorizzati i portatori di torce, e brandiscono intanto le torce, girano sopra una gamba rapidamente e schioc­cano colle dita per mettere in fuga gli spiriti cattivi.

    Il mormorio di lamento si perde lontano, e la foresta risuona di nuovo della cadenza della sua invisibile vita notturna; i grilli cantano le loro note metalliche, la raganella verde gracida len­tamente e debolmente, le foglie agitate stormi­scono lievi lievi, Poi, tutto tace all’improvviso, per riprendere di nuovo un minuto dopo,

    Dio buono! Che pienezza di vita, che ammasso di vitalità e di energia sono nascoste sotto la più piccola foglia, sotto lo stelo più tenue d'erba, di questa foresta tropicale! Miriadi di stelle bril­lano sullo sfondo scuro del cielo, e miriadi di lucciole guizzano in mezzo ai cespugli come scin­tille animate, pallido riflesso delle lontanissime stelle.

    * * *

    Lasciammo dietro a noi la fitta foresta, e ci trovammo in una valle profonda, circondata quasi tutta da boschi, sicché anche di giorno le ombre vi sono certo altrettanto dense che di notte.

    Ci trovavamo a duemila piedi circa sopra la base della catena di Vindhya, a giudicare dal muro in rovina di Mandu che si ergeva proprio sul nostro capo. Ad un tratto mancò poco che una ventata fredda non spegnesse tutte le torce : infiltrandosi fra il labirinto di cespugli e di rocce, il vento scoteva furiosamente i rami delle sirin­ghe fiorite, per poi liberarsi da quelli e retro­cedere nella valle, ululando e fischiando, come se tutti i nemici della foresta facessero coro in­tonando una nenia funebre.

    — Eccoci arrivati — disse Sham Rao —ecco il villaggio; gli elefanti non possono andare più oltre.

    Il villaggio? Vi sbagliate di certo; non si vedono che alberi quassù !

    E troppo buio perché si possa scorgere il villaggio ; e poi le capanne sono cosi piccine e così nascoste in mezzo ai cespugli, che, anche di giorno, non le trovereste facilmente. Nelle case non si accende lume per tema degli spiriti.

    E dov’è la vostra strega? Intendete dire forse che dovremo assistere alla rappresentazione in questa completa oscurità?

    Sham Rao gettò tutt’intorno una rapida oc­chiata furtiva, e la sua voce, quando mi rispose, si era fatta tremula.

    Vi supplico di non chiamarla una strega! potrebbe udirvi... non sta lontano, forse non è che a mezzo miglio di qua, e questa breve di­stanza non vi distolga dal venire con me. Né elefante né cavallo potrebbero condurvi per quel­la strada, bisogna camminare... ma, arrivati che saremo, troveremo tanta luce.,,.

    La prospettiva di andare a piedi in quella te­nebrosa notte indiana, di aprirci il passo fra i boschi di cactus, di avventurarci nella foresta piena di bestie feroci, non era invero molto sim­patica: in quanto poi alla Sig.na X, essa dichiarò senz’altro che non sarebbe venuta più oltre, che ci avrebbe atteso, seduta in groppa all’elefante, e, magari, dormendo.

    Narayan, che era stato contrario a questa spe­dizione fin dal principio, senza spiegarcene il perché, fece coro colla Sig.na X, dicendo che di tutti noi era l’unica che avesse un po’ di buon senso.

    Non perderete nulla stando dove siete ora, e desidererei proprio che tutti avessero a seguire il vostro esempio.

    Io vorrei sapere che motivo potete avere per parlare così — ribatté Sham Rao con un lieve tono di risentimento, seccato all'idea che questa gita, proposta ed organizzata da lui, avesse a finire in niente. — Che male ne può venire? Anche prescindendo dall'incarnazione degli dei, cosa rara che probabilmente un Europeo non avrà mai occasione di vedere, la Kangalim , di cui vi ho parlato, è sempre una donna fuori del comune. Essa conduce vita santa, è profetessa, e le sue benedizioni non possono far male a nes­suno. Se io proposi questa escursione fu per semplice patriottismo.

    Sahib, se il vostro patriottismo si esplica mettendo in mostra davanti ai forestieri le nostre piaghe peggiori, perché non avete anche dato ordine a tutti i lebbrosi del vostro distretto di adunarsi e di sfilare davanti agli occhi dei vo­stri ospiti ? Siete un pateli, e, come tale, ne avete bene il potere !

    Come risuonava amara in quel momento la voce di Narayan, che per solito era cosi calmo e sereno, così indifferente a tutto quello che acca­deva nel mondo esterno !

    Ma il Col. Olcott allora s’interpose, temendo che fra i due Indù si accendesse una disputa e fece osservare, in tono conciliativo, che era or­mai troppo tardi per rinunciare al primo pro­getto. Inoltre, senza essere un credente cieco nell’incarnazione possibile di un dio, era ferma­mente convinto che anche in Occidente vi po­tessero essere degli indemoniati, ed era quindi ansioso di studiare qualunque fenomeno psico­logico, sotto qualunque forma ed in qualsiasi posto si presentasse.

    Così, ci avviammo, ed i nostri amici ameri­cani ed europei sarebbero rimasti attoniti se avessero potuto assistere alla nostra partenza in quella notte buia. Il sentiero si svolgeva tortuoso sul banco del monte; non si poteva camminare che a due a due, ed eravamo invece in trenta, compresi i portatori di torce.

    Furono certo le lontane reminiscenze di qual­che sortita notturna contro i Confederati meri­dionali che, rinascendo nel cuore del Colonnello, lo eccitarono a mettersi alla testa della nostra piccola colonna. Egli ordinò che venissero cari­cate tutte le rivoltelle e tutti i fucili, mise alla testa della fila tre dei portatori di torcia, poi ci ordinò in coppie. Sotto un capitano così abile non vi era da temer nulla dalle tigri e così la nostra processione si mise in moto, arrampican­dosi lentamente lungo il sentiero sinuoso.

    Non potrei dire davvero che i viaggiatori, che si presentarono più tardi nell’antro della profe­tessa di Mandù, brillassero per freschezza ed eleganza di vestiario. Tanto la mia gonna come i vestiti del Colonnello e del Sig. Y erano quasi a brandelli, poiché i cactus ne avevano fatto strage: in quanto ai capelli arruffati del Babu, essi formicolavano letteralmente di una colonia intera di cavallette e di lucciole, attirate proba­bilmente dall’odore d’olio di cocco. Il pingue Sham Rao ansava come una locomotiva, e sol­tanto Narayan non era mutato per nulla: pa­reva proprio un Ercole di bronzo armato di clava.

    All’ultima svolta del sentiero, dopo aver sca­valcati gli altissimi massi sparsi, ci trovammo all’improvviso in una spianata comodissima ; i nostri occhi, malgrado le numerose torce, furono abbagliati dalla luce, e un miscuglio di suoni strani percosse il nostro orecchio. Una seconda vallata ci si affacciò, l’entrata della quale era nascosta da alberi fronzuti e talmente alti che sarebbe stato assai facile il passarvi accanto sen­za accorgercene : nel fondo, ecco la. dimora della famosa. Kangalim.

    La caverna, come vedemmo poi, si trovava fra le rovine di un vecchio tempio Indù abba­stanza ben conservato ancora. Probabilmente esso era stato costruito in epoca molto anteriore alla città morta perche, al tempo di quella, ai pagani non era permesso avere per conto pro­prio luoghi di culto, ed il tempio era situato accanto al muro della città, anzi, proprio sotto di esso. Le cupole delle due pagode laterali erano cadute da tempo, e piante altissime ed ar­busti crescevano sui loro altari coi rami nascosti da un ammasso di stracci dai colori vivaci, da pezzi di nastro, da piccoli vasi, e da altri mille talismani di ogni specie, perché, anche a quelli, la superstizione popolare annette un'idea sacra.

    — E questa gente non ha forse ragione? Non crescono forse questi arbusti sopra terra sacra? Non è forse impregnata la loro linfa dall’incenso delle offerte e dalle esalazioni dei santi eremiti che vissero e respirarono un tempo in questi luoghi ?

    Il colto, ma superstizioso, Sham Rao non ri­spondeva alle nostre domande che con altre nuo­ve domande.

    Il tempio centrale costruito in granito rosso non era stato danneggiato dal tempo, e, come ci dissero poi, proprio dietro la sua porta accu­ratamente sbarrata, si apriva un profondo tunnel: cosa ci fosse poi al di là di quello, nessuno po­teva dire. Sham Rao ci assicurò che da tre ge­nerazioni per lo meno, nessun uomo aveva oltre­passato la soglia di quella grossa porta di ferro, e che nessuno da anni aveva più veduto il pas­saggio sotterraneo. Kangalim viveva colà in so­litudine perfetta, e, secondo i più anziani del paese, vi aveva sempre vissuto, sicché alcuni dicevano avesse trecento anni, altri asserivano che un certo vecchio aveva rivelato in punto di morte al suo figliuolo che quella vecchia non era altro che un loro zio redivivo. Questo zio leggendario si sarebbe stabilito nell’antro ai tempi in cui la città morta contava ancora centinaia di abitanti : l’eremita non aveva contatto alcuno col resto del mondo, e nessuno sapeva proprio ove vivesse e di cosasi nutrisse: ma un bel giorno, quando ancora i Bollati (forestieri) non si erano Impadroniti di questa montagna, il vecchio ere­mita si mutò improvvisamente in una donna. Questa continua la sua opera, parla colla sua voce e spesso anche in nome suo, ma riceve ado­ratori, cosa che non accadeva col suo predeces­sore.

    Eravamo giunti troppo presto, e la Pitonessa non era apparsa ancora; la spianata però davanti al tempio era già stipata di gente: che scena selvaggia, ma pittoresca! Un enorme fuoco di gioia ardeva nel mezzo, ed intorno intorno si affollavano i selvaggi nudi, come tanti gnomi neri, attizzandolo con rami d’alberi, sacri alle sette dee sorelle. Essi si movevano lentamente saltando da una gamba all’altra in cadenza al suono monotono di un’unica frase musicale che ripetevano in coro accompagnandosi col tambu­rello: il suono soffocato di questo si mescolava ai molti echi della foresta od ai lamento isterico di due fanciullette, sepolte accanto al fuoco sotto un mucchio di foglie. Le povere bambine erano state condotte qui dalle madri loro nella spe­ranza che le dee si sarebbero assunte il compito di scacciare dal loro corpo i due spiriti maligni che se n'erano impossessati. Le due madri, giovanissime entrambe, se ne stavano, accoccolate sui talloni, accanto al fuoco collo sguardo fisso e triste sulle fiamme divampanti. Nessuno parve osservarci né al momento del nostro arrivo né in seguito ; fossimo stati invisibili, quella gente non avrebbe potuto comportarsi in modo più strano.

    Essi sentono ravvicinarsi degli dei!

    L’atmosfera è pregna delle loro emanazioni sacre — credette bene spiegarci misteriosamente Sham Rao, contemplando con un senso di reverenza gli Indigeni, che il suo ben amato Haeckel avrebbe potuto scambiare facilmente pel suo anello mancante nella razza del suo Bathybius Haec- kelii.

    Che dite mai? essi sono soltanto sotto l’a­zione di acquavite e di oppio! — ribatté l'irri­verente Babu.

    Gli spettatori si movevano come in sogno, sembravano sonnambuli semi-desti: gli attori in­vece erano tutti affetti più o meno dal ballo di S. Vito. Uno di questi, un vecchio alto, schele­trito,

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