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I Manoscritti Delle Sundarbans
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I Manoscritti Delle Sundarbans
E-book342 pagine5 ore

I Manoscritti Delle Sundarbans

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Info su questo ebook

Sul finire del 1500, il rajah Raghunath Ray del Bengala sfugge all’avanzata dell’armata Moghul trovando rifugio con la famiglia e la sua corte nella foresta di mangrovie di Netidhopani, una delle isole delle Sundarbans, terra di tigri e coccodrilli. Su quest’isola i fuggitivi costruiscono un forte e un tempio dedicato alla dea Kali, ma i Moghuls li rintracciano e li sterminano. Sopravvive solo il giovane principe che il re ha affidato a una donna di una tribù di zingari, assieme ad alcuni manoscritti su foglie di palma in cui si cela criptato il segreto del tesoro reale che giace nascosto sull’isola. La donna e il giovane principe camminano per due anni attraverso i territori dell’Asia centrale, seguendo il cammino di molti zingari, finché trovano rifugio in Romania.
Secoli dopo, pirati portoghesi nascondono un favoloso bottino in monete d’oro sulla stessa isola, dopo aver affondato una nave della Compagnia Britannica delle Indie Orientali prima di essere a loro volta massacrati da una tribù di cannibali adoratori della dea Kali. Solo un marinaio e un cane sopravvivono al massacro, testimoni del culto terribile dei seguaci di Kali, e scoprono il tesoro del re del Bengala, ma é scritto nel loro destino che non possano sfuggire alla prigionia dell’isola e alla sua aura sinistra.
Amit Roy, un professore di Londra di origine indiana, si reca nelle Sundarbans per studiare le tigri, incuriosito anche dagli indizi scoperti in un antico libro che potrebbero spiegare il mistero della scomparsa del raja Raghunath Ray sull’isola di Netidhopani e del suo favoloso tesoro. É accompagnato da una sua allieva e da una giovane rumena, Elena, che ha raggiunto l’India spinta da strane visioni e da incontri con personaggi singolari che le rivelano essere la discendente del principe. Un susseguirsi di avvenimenti e d’individui misteriosi incontrati sul cammino sembra cospirare contro il loro desiderio di scoprire il mistero che avvolge l’isola e mette a repentaglio le loro vite, dopo essere riusciti a decifrare, come sperano, il messaggio contenuto nei manoscritti su foglie di palma.
La loro ricerca li porta a incrociarsi pericolosamente con un gruppo di scienziati cinesi che, con l’aiuto di militari ribelli del vicino Bangladesh, sono entrati clandestinamente nelle acque indiane. Su una delle isole Sundarbans, dove l’ambiente é stranamente privo di vegetazione e tutti gli animali si rivelano albini, essi sono intenti ad analizzare un minerale, probabilmente portato da una meteorite, che potrebbe contenere un elemento capace di produrre un’enorme quantità di energia e di sovvertire l’assetto dell’economia mondiale, dando a chi lo possegga un enorme potere. La scoperta del giacimento é stato possibile sottraendo dati di rilevamento satellitare a una compagnia americana, per merito della grazie e della malizia di una giovane cinese.
Quando ormai i protagonisti sono ad un passo dallo scoprire il mistero che circonda l’isola di Nethodipani ed hanno la possibilità di vedere per un istante gli immensi tesori che l’isola nasconde, la natura sembra ubbidire a un antico sortilegio e sovverte ogni attesa, lasciando intatto solo il filo che unisce la giovane Elena a un remoto passato, di cui lei é destinata a continuare il misterioso messaggio.
La storia del romanzo si muove su piani paralleli in un arco di tempo di secoli che convergono tutti in un intreccio che mantiene la suspense di un thriller fino alla fine e la trama avvincente di un romanzo d’avventura, dove alcuni degli accadimenti sono storici e documentati.

LinguaItaliano
EditoreS S Kumar
Data di uscita24 gen 2019
ISBN9780463114056
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    Anteprima del libro

    I Manoscritti Delle Sundarbans - S S Kumar

    SINOPSI DEL ROMANZO I MANOSCRITTI DELLE SUNDARBANS

    Sul finire del 1500, il rajah Raghunath Ray del Bengala sfugge all’avanzata dell’armata Moghul trovando rifugio con la famiglia e la sua corte nella foresta di mangrovie di Netidhopani, una delle isole delle Sundarbans, terra di tigri e coccodrilli. Su quest’isola i fuggitivi costruiscono un forte e un tempio dedicato alla dea Kali, ma i Moghuls li rintracciano e li sterminano. Sopravvive solo il giovane principe che il re ha affidato a una donna di una tribù di zingari, assieme ad alcuni manoscritti su foglie di palma in cui si cela criptato il segreto del tesoro reale che giace nascosto sull’isola. La donna e il giovane principe camminano per due anni attraverso i territori dell’Asia centrale, seguendo il cammino di molti zingari, finché trovano rifugio in Romania.

    Secoli dopo, pirati portoghesi nascondono un favoloso bottino in monete d’oro sulla stessa isola, dopo aver affondato una nave della Compagnia Britannica delle Indie Orientali prima di essere a loro volta massacrati da una tribù di cannibali adoratori della dea Kali. Solo un marinaio e un cane sopravvivono al massacro, testimoni del culto terribile dei seguaci di Kali, e scoprono il tesoro del re del Bengala, ma é scritto nel loro destino che non possano sfuggire alla prigionia dell’isola e alla sua aura sinistra.

    Amit Roy, un professore di Londra di origine indiana, si reca nelle Sundarbans per studiare le tigri, incuriosito anche dagli indizi scoperti in un antico libro che potrebbero spiegare il mistero della scomparsa del raja Raghunath Ray sull’isola di Netidhopani e del suo favoloso tesoro. É accompagnato da una sua allieva e da una giovane rumena, Elena, che ha raggiunto l’India spinta da strane visioni e da incontri con personaggi singolari che le rivelano essere la discendente del principe. Un susseguirsi di avvenimenti e d’individui misteriosi incontrati sul cammino sembra cospirare contro il loro desiderio di scoprire il mistero che avvolge l’isola e mette a repentaglio le loro vite, dopo essere riusciti a decifrare, come sperano, il messaggio contenuto nei manoscritti su foglie di palma.

    La loro ricerca li porta a incrociarsi pericolosamente con un gruppo di scienziati cinesi che, con l’aiuto di militari ribelli del vicino Bangladesh, sono entrati clandestinamente nelle acque indiane. Su una delle isole Sundarbans, dove l’ambiente é stranamente privo di vegetazione e tutti gli animali si rivelano albini, essi sono intenti ad analizzare un minerale, probabilmente portato da una meteorite, che potrebbe contenere un elemento capace di produrre un’enorme quantità di energia e di sovvertire l’assetto dell’economia mondiale, dando a chi lo possegga un enorme potere. La scoperta del giacimento é stato possibile sottraendo dati di rilevamento satellitare a una compagnia americana, per merito della grazie e della malizia di una giovane cinese.

    Quando ormai i protagonisti sono ad un passo dallo scoprire il mistero che circonda l’isola di Nethodipani ed hanno la possibilità di vedere per un istante gli immensi tesori che l’isola nasconde, la natura sembra ubbidire a un antico sortilegio e sovverte ogni attesa, lasciando intatto solo il filo che unisce la giovane Elena a un remoto passato, di cui lei é destinata a continuare il misterioso messaggio.

    La storia del romanzo si muove su piani paralleli in un arco di tempo di secoli che convergono tutti in un intreccio che mantiene la suspense di un thriller fino alla fine e la trama avvincente di un romanzo d’avventura, dove alcuni degli accadimenti sono storici e documentati.

    INFORMAZIONI SULL’AUTORE

    Per una biografia completa vedere: http://www.sskumar.com/index.html

    Srinivasan Sampath Kumar, indiano di Calcutta, é un imprenditore per tradizione familiare ed ha svolto incarichi accademici e rivestito posizioni importanti in organismi di promozione commerciale. E’ stato insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana per meriti nel favorire gli scambi commerciali tra Italia e India.

    E’ molto conosciuto nel suo paese anche come fotografo e poeta. Ha pubblicato due libri documentari di cui ha prodotto le foto ed il testo: ‘Darjeeling, the Queen of the Hills’ and ‘Silhouettes of Sundarban.’ I proventi della loro vendita sono stati destinati ad opera umanitarie, specialmente in favore dei non vedenti.

    Kumar ha viaggiato sovente nelle Sundarbans ed ha sognato di rappresentare queste foreste dove vive la tigre, la loro storia e l’interazione dell’uomo con questo ambiente difficile e splendido. Il risultato é il suo primo romanzo: I manoscritti delle Sundarbans.

    Sampath Kumar

    I MANOSCRITTI DELLE SUNDARBANS

    Tradotto dall’inglese da Giovanni Dadaglio

    L’AUTORE

    Srinivasan Sampath Kumar, indiano di Calcutta, è un imprenditore per tradizione familiare. Ha svolto incarichi accademici e rivestito posizioni importanti in organismi di promozione commerciale. E’ stato insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana per meriti nel favorire gli scambi commerciali tra Italia e India.

    E’ molto conosciuto nel suo paese anche come fotografo e poeta. Ha pubblicato due libri documentari di cui ha prodotto le foto e il testo: ’Darjeeling, the Queen of the Hills’ and ‘Silhouettes of Sundarban.’ I proventi della loro vendita sono stati destinati a opere umanitarie, specialmente in favore dei non vedenti.

    Kumar ha viaggiato sovente nelle Sundarbans ed ha sognato di rappresentare queste foreste dove vive la tigre, la loro storia e l’interazione dell’uomo con quell’ambiente difficile e splendido.

    Il risultato è questo suo primo romanzo.

    DEDICA

    Questo libro è dedicato a quelle infelici donne e ragazze che lavorano duramente, ogni giorno e in tutte le ore, sulle rive dei fiumi delle Sundarbans infestati da coccodrilli per strappare un magro guadagno per sopravvivere.

    RINGRAZIAMENTI

    Questo mio primo romanzo è stato possibile solo grazie all’instancabile aiuto delle seguenti persone:

    Swati, Rama, Sipra Di, Haimanti, Seema, Udayan, Srirupa, Prof. Buddhadev, mia figlia Vinita e mio nipote Sriram.

    PROLOGO: IL NEGOZIO DI LIBRI ANTICHI

    Il professor Amit Roy uscì dal Sea Life London Aquarium dopo aver risposto alle domande di alcuni giovani studenti. Era intervenuto a un seminario riguardante l’impatto del riscaldamento globale sulle zone costiere, in particolare sulle Sundarbans, il fragile ecosistema tra India e Bangladesh, una distesa di migliaia di chilometri quadrati di zone umide e paludose che ospitava la più grande concentrazione di tigri reali del Bengala. Aveva ancora vivide nella memoria le foreste di mangrovie dove aveva trascorso gran parte della sua carriera di ricercatore ai tempi del college. Amit desiderava trovarsi di nuovo nelle Sundarbans per rintracciare gli ultimi esemplari di tigri reali del Bengala allo stato selvaggio, da cui era sempre stato affascinato.

    Con un trascorso accademico in zoologia a Calcutta e come professore di scienze ambientali, Amit aveva avuto successo nella sua carriera all’University College of London ed era stato spesso chiamato a intervenire in seminari per sfatare la presunzione che il nostro pianeta potesse sopportare per sempre l’assalto dell'uomo. Anche se aveva provato soddisfazione da una sua precedente esperienza come consulente privato sui censimenti biofisici e la gestione delle specie a rischio, aveva poi scelto l'insegnamento perché avrebbe così potuto proseguire la sua ricerca sui rischi per la fauna selvatica causati dai fattori ambientali. Era uno dei pochi che eccelleva nelle scienze correlate e quindi era molto rispettato nei circoli accademici.

    S’inoltrò in Belvedere Road ed entrò nel mercato del libro di Southbank. Era sempre stato attratto dalle librerie specializzate in libri antichi o rari. Il libraio di Lambeth, un ottantenne con cui era diventato amico, gli fece un cenno con un sorriso cordiale e Amit rispose al saluto. Il vecchio si era chinato per recuperare qualcosa e gli chiese di aspettare. Guarda se questo ti può interessare disse, porgendo ad Amit un vecchio libro con una copertina di pelle. Amit si guardò intorno cercando un angolo silenzioso, cosa non difficile da trovare perché il negozio era poco frequentato in quell’ora del giorno. Il libro aveva un titolo accattivante: ’Tesori perduti delle Colonie’. Sfogliò le pagine. C’erano diversi appunti sbiaditi scritti a mano sui margini. Il libro forniva un elenco alfabetico dei paesi sotto il dominio coloniale nel 1905, all’epoca in cui era stato pubblicato. Con curiosità guardò le pagine che riguardavano l’India. Vi erano alcune voci su tesori perduti o nascosti. Guardò sotto ‘Bengal-Netidhopani’ e vi trovò questo riferimento: ’Il Raja Ragunath Ray, Re del Bengala, fuggendo dall'esercito dell'imperatore Akbar, si rifugiò in Netidhopani nell'area delle Sundarbans del Golfo del Bengala intorno al 1581 d.C. Si crede che vi abbia nascosto i tesori reali in una fortezza che egli stesso aveva fatto costruire sull'isola, poi occupata da pirati. A quanto è dato sapere il tesoro non è mai stato localizzato’.

    L'altra voce che attirò la sua attenzione diceva: ‘Si ritiene che la nave Morning Star, che trasportava lingotti per finanziare gli acquisti della Compagnia delle Indie, sia stata catturata dai pirati portoghesi che l’hanno attaccata nella regione delle Sundarbans del Golfo del Bengala. Tuttavia quest’attacco non è mai stato pubblicamente menzionato dal Governo di Sua Maestà’.

    Amit ricordava il suo ultimo viaggio in Netidhopani, diversi anni prima. Gli indigeni si erano manifestati inquieti al fatto che ormeggiasse la barca sull’isola durante la notte e avevano insistito perché lui la lasciasse prima del tramonto. Vedeva ancora con la memoria i volti pieni di superstizione della gente del villaggio nella regione. Pagò il libro, lo infilò nella tasca della giacca e si avviò verso la vicina stazione di Waterloo. Il vento freddo lo colpì sul viso mentre usciva dalla metropolitana a Regent Street sulla strada verso il suo appartamento. Mi sembra di ricordare di aver letto qualcosa sulla nave Morning Star, sparita senza lasciare traccia nelle acque turbolente del Golfo del Bengala pensò mentre camminava.

    IN FUGA DAI MOGHUL

    All’incirca nel 1580 d.C.

    Allah hu Akbar

    L’armata moghul che si muoveva cantando era colossale, con la cavalleria in testa, seguita dalla fanteria di soldati musulmani con artiglieria e cannoni. Nelle retrovie avanzava la mostruosa brigata di elefanti appositamente addestrati per calpestare tutto e tutti al loro passaggio guidati dai loro mahout . Il comandante Sujjad Khan stava conducendo la battaglia contro Raja Raghunath Ray del Bengala, uno dei molti governanti sparsi nell’Hindustan, che aveva avuto l’audacia di sfidare l'Impero Moghul rifiutando di rendere omaggio all’imperatore come atto di sottomissione. Tale sfida deve essere schiacciata inesorabilmente perché si può diffondere in altre regioni e incoraggiare altri elementi ribelli aveva decretato l'imperatore moghul, che aveva quindi inviato un enorme esercito per una dimostrazione di forza e come monito per tutti gli altri re della regione. La battaglia finì ancora prima di cominciare, con la resa senza ostilità dell'esercito di Raja Raghunath Ray e la fuga del re nella crescente oscurità, in compagnia della famiglia e dei sudditi fedeli, su barche nascoste in un vicino canale. Pioveva e non c’era rifugio sicuro per la famiglia reale in fuga, fin quando non raggiunse il fiume iniziando la navigazione verso il mare. Un gruppo di lealisti si fece incontro sventolando vessilli in un punto sulla riva in cui i fuggitivi abbandonarono le barche per montare su carri trainati da cavalli.

    La carovana del re si spostava attraverso le pianure del Gange. Per cinque giorni avanzarono sotto una pioggia incessante lungo un percorso tortuoso e recondito, sostando brevemente soltanto per sfuggire ai soldati nemici; donne e bambini della famiglia reale e la corte al seguito erano estenuati. Il convoglio era costituito da tre carri ed era circondato da cavalieri e arcieri. Il re e la regina, incinta di sette mesi, viaggiavano con il principe primogenito sul carro al centro del convoglio. Mentre ciascuno dei carri nella parte anteriore e posteriore aveva due cavalli, quello del re ne aveva quattro poiché portava il carico di un pesante forziere. Le guide conoscevano bene il percorso attraverso la foresta e il convoglio reale si fermò su una sponda del fiume Hooghly a circa 200 km dalla località di partenza. L'intero gruppo s’imbarcò su un piccolo ma robusto battello, ottenuto in precedenza dai costruttori di navi di Sunapur nell’adiacente regione di Ganjam. Il battello salpò nel fiume turbolento sfidando i kalbaisakhi che si avvicinavano, le temute correnti con venti di nord-est che battevano le coste durante i mesi estivi con devastanti raffiche accompagnate da tuoni, fulmini e pioggia incessante.

    Il battello, condotto da majh esperti, navigò tutta la notte e raggiunse le coste dell’isola di Netidhopani nel delta delle Sundarbans. Tutti erano spossati dalla fatica del viaggio e dal costante terrore di veder comparire i terribili moghul e di affondare con il loro battello nei flutti possenti del fiume. Raja Raghunath Ray aveva un'altra preoccupazione; doveva salvaguardare gli idoli Kali e Radha Gobinda che portava con sé, divinità viventi per la sua famiglia. Aveva anche diversi manoscritti su foglie di palma lasciati da un suo zio, Narasingha Ray, che aveva raccomandato al Raja di proteggerli e preservarli a tutti i costi. Il primo giorno del loro arrivo nella lussureggiante Netidhopani fu trascorso dai reali a riposo. Un gruppo di uomini era impegnato a sfrondare la foresta e a montare le tende, mentre un’altra squadra si occupava di sbarcare le vettovaglie, sufficienti per alcune settimane.

    Il re non aveva combattuto guerre nella sua vita e aveva dedicato i suoi anni di governo a proteggere artisti e artigiani, godendo dei tranquilli lussi della pace. I suoi soggetti erano fedeli e il suo governo non era mai stato messo in discussione. Ora si trovava però di fronte alla realtà di un’invasione, sradicato dal suo posto di comando e costretto a lottare per la sopravvivenza sul terreno ostile di una foresta abitata da tigri in agguato. Si rattristava profondamente per il disagio che affliggeva la sua famiglia e i suoi sudditi, ma non aveva altra scelta: dovevano restare nascosti abbastanza a lungo da stancare gli invasori e quindi pianificare un'offensiva per riconquistare il regno perduto. Prima devo costruire un rifugio sicuro per tutti noi il re si propose. Rimase in consiglio con i suoi ministri di fiducia finché fu deciso che avrebbero intrapreso il lavoro per costruire una piccola fortezza e un tempio alla dea Kali. L'idolo di Radha Gobindo doveva essere installato all'interno di questo fortino, mentre quello di Kali doveva essere posto nel tempio al di fuori del forte, come suggerito dal capo sacerdote che ottenne l’accordo di tutti.

    Il battello salpò per reclutare lavoratori sulla riva del fiume Matla, dove viveva una grande comunità di Lambadi, appartenente a una tribù di zingari. L'ufficiale dell'esercito del re chiamò con un cenno il capo dei Lambadi, un uomo di alta statura e di corporatura atletica, di circa quarant’anni, con la pelle molto scura e i denti macchiati di betel. Sulla testa portava una bandana, indossava un abito colorato e scintillante di specchi e perline, una pelliccia di volpe per cintura e conchiglie per collane. Il suo nome era Chinga e aveva dato prove di molta energia conquistandosi il rispetto di tutta la tribù. Uno dei sepoy lo presentò all’ufficiale e spiegò lo scopo dell’incontro. Arrey, Chingi, aye Chinga chiamò ad alta voce e si fece avanti una donna, anche lei dalla pelle scura e con caratteristiche altrettanto sorprendenti. Erano marito e moglie e parlavano una lingua che l'ufficiale non riusciva a capire. Alla fine della conversazione con la moglie, Chinga rispose: Bene, io vi fornirò un centinaio di uomini e donne che mi accompagneranno e lavoreranno per voi per un periodo massimo di sei lune piene. Vi costerà trenta mohur oro. Dovete fornire cibo e liquore arak. Mostratemi il denaro, che deve essere pagato ora, ed io darò istruzioni perché possiate ispezionare la mia gente. L'ufficiale non esitò. Posò sopra un tavolo di pietra trenta mohur d’oro in una scarsella di cuoio. Questa era un’operazione segreta e l’ufficiale non rivelò completamente lo scopo del reclutamento per timore che spie nemiche potessero scoprire il nascondiglio del re. Era soddisfatto dell'età complessiva e della distribuzione del numero tra uomini e donne, e perché vi erano solo pochi bambini che avrebbero potuto essere d’impaccio in una fitta foresta, infestata da tigri e coccodrilli. Chinga diede i soldi a un vecchio che prontamente svolse il gonnellino che gli cingeva i fianchi e nascose attentamente la borsa di cuoio con l'oro. Sussurrò qualcosa a Chinga e svanì tra le capanne. Chinga sorrise, mostrando i denti macchiati di betel, e disse all'ufficiale: Lui è mio zio e terrà l'oro al sicuro fino al nostro ritorno.

    L'ufficiale diede tre ore alle nuove reclute per prepararsi a salpare prima della bassa marea, quando la navigazione sarebbe diventata rischiosa per la probabilità d’incagliare il battello nella melma del fondo. Trattandosi di nomadi erano abituati a radunare rapidamente le loro poche cose e a spostarsi continuamente. La squadra s’imbarcò con scimmie, capre, pappagalli e diverse manguste. C'erano anche due piccoli cuccioli di orso. Tutti i nostri animali da compagnia disse il capo. La folla era chiassosa e si dimostrò anche golosa: la bevanda e la carne di benvenuto svanirono in pochi secondi, lasciando nel dubbio l’ufficiale se fosse stata una saggia decisione reclutare degli zingari. Il battello del Raja salpò per costruire la fortezza segreta nell'isola desolata di Netidhopani, lontano dagli occhi indiscreti dei moghul.

    L'abbigliamento sgargiante di queste persone di pelle e capelli scuri e la loro strana lingua divertivano i bambini della corte del Raja. Le donne lavorano duramente come gli uomini e tutti bevevano e cantavano fino a notte fonda. Consumavano carne di ogni genere, compresa quella di corvo, che era normalmente aborrita da tutti. L'ufficiale che li aveva reclutati ammonì il re che le tribù di zingari erano attirate solo dal denaro e dal cibo e lo consigliò di tenere oggetti di valore e bevande alcoliche ben custoditi e lontani dai loro occhi. Chingi era una donna straordinaria. Coordinava la cucina, manteneva il controllo e si prendeva cura della dozzina di bambini zingari; preparava la pozione della frutta locale e la sera cantava melodiosamente al suono del tamburo suonato dal marito e dagli altri uomini. Chingi si guadagnò la fiducia delle donne della corte reale e ne divenne una confidente, in particolare della regina, per la quale fu prima massaggiatrice e, più tardi, levatrice, per assisterla nella nascita del suo secondo bambino.

    Mattoni e pietre provenienti da diverse aree della zona arrivavano a Nethodipani su barche e la costruzione del forte procedeva a un ritmo veloce. Le camere per la famiglia reale furono costruite al sicuro del seminterrato e ben presto le sale e gli altri locali di servizio furono completati. Una depressione del terreno fu delimitata e furono innalzati argini per creare una riserva di acqua dolce. Le piogge dei monsoni la riempirono rapidamente, e il terreno, bagnato con l’acqua del fiume circostante, si consolidò. Nel medesimo tempo il lavoro per la costruzione del tempio nelle vicinanze del fortino aveva progredito altrettanto velocemente. In un giorno considerato di buon auspicio, il capo sacerdote installò la statua della dea Kali con molti rituali e celebrazioni festose, che terminarono con suoni modulati dalle donne soffiando dentro delle conchiglie, dopo essersi tinta la fronte di vermiglio. Non tutto però continuò felicemente per la famiglia reale. La regina aveva sempre condotto una vita serena, ma la fuga l’aveva profondamente provata, prima sul fiume e poi nella foresta. Le fatiche della gravidanza l’avevano resa anemica e molto debole. Quando partorì, il bambino sopravvisse a malapena due settimane e morì di febbre alta. La regina lo seguì presto nella dimora celeste. Il Raja provò un senso profondo di solitudine e d’isolamento.

    Dei messaggeri del re ispezionavano periodicamente i dintorni su piccole imbarcazioni per raccogliere informazioni riguardanti i moghul, che stavano consolidando la loro autorità. Sulle rive del fiume un sepoy musulmano seguì furtivamente una piccola barca del Raja con quattro uomini a bordo per oltre quindici chilometri. Dovevano procurarsi farmaci per il loro re e per molti altri dei fuggitivi che soffrivavano di febbre alta, diffusa dalle zanzare. Raggiunsero i pressi di Gosaba e attraccarono a un pontile per incontrare il kabiraj, l'uomo di medicina del villaggio, esperto nella scienza tradizionale di farmaci a base di erbe. Quando furono in sua presenza, gli sussurrarono all'orecchio i sintomi del disturbo da cui il Raja era afflitto. L’uomo di medicina, con due assistenti, si affrettò a cercare erbe nei dintorni per poi riscaldarne alcune in qualche sordido olio e macinarne altre. Mescolarono l’infuso d’olio alla pasta d’erbe, arrotolarono il tutto e lo plasmarono in piccole sfere. Datene una al vostro re, tre volte al giorno, con abbondante acqua, e solo dieta liquida per due giorni furono le istruzioni del kabiraj. Un sepoy musulmano di nascosto osservava attentamente l'intera scena e, quando pensò che fosse giunto il momento di informare i suoi superiori, mandò un messaggio con un piccione viaggiatore al più vicino avamposto moghul a due miglia di distanza. Presto un piccolo gruppo di cavalieri moghul si diresse al galoppo verso la capanna del kabiraj. Gli uomini del Raja avevano intanto raccolto i farmaci ed erano partiti, dirigendosi con cautela verso la loro barca nascosta in un canneto nel fiume, senza sapere che sarebbero stati seguiti. Salirono sulla loro imbarcazione e iniziarono a remare verso la loro destinazione lontana, seguiti a distanza da una barca moghul.

    Qualcuno bussò insistentemente alla porta della capanna del kabiraj che intanto si era assopito. Uno dei suoi assistenti mormoró: Shhh, silenzio, il kabiraj sta riposando. Erano abituati a visitatori a tutte le ore, ma cercavano di non disturbare il vecchio uomo di medicina purché non si trattasse di una reale emergenza, offrendo in alternativa i propri servizi. Il capo del gruppo di cavalieri spinse da parte gli assistenti sconcertati ed entrò nella capanna, seguito da una dozzina di soldati. Ehi, alzati. Il vecchio kabiraj aveva acquisito la saggezza con l'età e non fu intimidito da tutti quegli uomini barbuti che avevano interrotto il suo riposo. Aveva visto parecchie guerre e aveva finalmente deciso di stabilirsi in quel paese per servire i poveri. Così l’intrusione dei moghul era l'ultima cosa che lo preoccupasse. Chi erano? chiese la voce burbera del capo. Due dei soldati senza tanti complimenti sollevarono il fragile uomo e l’obbligarono a stare in piedi davanti al loro capo. Erano venuti per alcuni farmaci per la febbre alta il kabiraj rispose con calma. Ho curato il vostro faujdar, il vostro comandante, per il suo temuto disturbo lo scorso anno. Spero che non mi costringiate a informarlo del vostro deprecabile comportamento, quando si presenterà la prossima volta per prendere la sua medicina. Mio caro assistente, potresti controllare se sono passati tre giorni? Aveva scaltramente colpito una parte sensibile degli intrusi che se ne andarono quietamente, borbottando scuse.

    Ma l’imbarcazione moghul stava ancora seguendo la piccola barca a remi. Gli uomini del re la ormeggiarono inconsapevoli dei loro inseguitori, che pazientemente si misero in attesa. Poco tempo dopo videro un nomade venire verso di loro sulla riva del fiume e lo colpirono sulla testa con un bastone quando voltò le spalle. Era però difficile tramortire Chinga, che si girò di scatto e balzò su uno dei soldati estraendo un corto pugnale dalla cintola. La lama affilata s’infilò nel ventre dell’aggressore. Impassibili alla perdita di uno dei loro, i soldati moghul continuarono ad assalire Chinga finché il nomade cadde privo di sensi. I soldati fecero cenni e altri due moghul apparvero fra i cespugli. Ci fu una discussione circa la sorte del soldato ucciso. Si rendevano conto della futilità di portare via il cadavere con loro e del pericolo di essere visti. Le istruzioni erano molto chiare. Vegliate e catturare almeno una persona senza essere notati. Nascosero il corpo del loro compagno ucciso tra i cespugli di mangrovie e trasportarono Chinga alla loro barca.

    Gli spruzzi d'acqua fredda sul viso svegliarono Chinga. Sentiva ancora dolore dove il bastone lo aveva colpito e si rese conto che era trasportato in una barca. Cercò di divincolarsi, ma invano. I piedi e le mani erano legati. I suoi occhi erano bendati e la bocca imbavagliata. A metà del fiume, uno dei sepoy rimosse il bavaglio. Non ci fu nemmeno un sussurro. Bene! Bene! Chinga, il nomade! Il comandante moghul della zona era sorpreso. Ordinò che corde e benda fossero rimosse. Dimmi un po’, Chinga. Chi diavolo ti ha inviato nelle sconsolate isole delle Sundarbans infestate da tigri ... e poi con i soldati del Raja!? Il nomade era notoriamente testardo e i soldati stavano già scaldando senza indugio le barre di ferro di tortura ignorando metodi più miti d’interrogatorio. Dopo penose ore di tortura, il suo corpo, privo di sensi e denudato, fu trascinato dai soldati moghul per essere imprigionato. Tutto ciò che avevano potuto tirare fuori dalla bocca di Chinga erano state due sole parole: Raja e Netidhopani. I messaggeri galopparono sui loro cavalli più rapidi con un messaggio urgente per il comandante, che era accampato a circa cinquanta miglia di distanza.

    ***

    Chi è? Il Raja non amava essere disturbato nel suo riposo sempre che non fosse qualcosa di veramente importante. Il ministro aveva abbandonato il solito protocollo ed era già in camera sua. Annunciò a voce bassa che il corpo di un soldato moghul era stato scoperto sulla riva del fiume e che Chinga mancava. C'erano segni evidenti di un’aggressione: una pozza di sangue e il pugnale di Chinga trovato vicino alla scena. Chiama Chingi! ordinò il Raja. La donna era già fuori dalla tenda con le lacrime agli occhi. Chingi, non ho la forza di scappare ancora. Presumo che i moghul saranno qui in poche ore. Non possiamo partire ora con la bassa marea. Affido a te i due miei beni più preziosi: mio figlio e alcuni manoscritti su foglie di palma che mio zio mi aveva consegnato. Sarai in grado di assumere la responsabilità di Yuvaraj, il principe, e dei manoscritti sacri? Ricorda, gli scritti non devono mai cadere in mani moghul! Il capo dei sacerdoti annotò in fretta qualche parola in più sulle foglie di palma e li consegnò a Chingi. Raja, siamo nomadi senza terra. Molti della nostra famiglia si sono trasferiti attraverso le montagne del nord nelle terre del Turkistan e al di là, o almeno così ho sentito dire. Ma non ti preoccupare. Niente ti farà del male e, nel caso di un attacco nemico, tutti i miei uomini combatteranno. Mi prenderò cura del bambino, oh Raja. Gli occhi di Chingi erano umidi, per la sorte e per la situazione in cui si trovava la sua gente e il re del Bengala in fuga. Il forte, nascosto e mimetizzato tra gli alberi, divenne teatro di un’attività frenetica. I tunnel segreti furono sigillati. Gli oggetti di valore furono nascosti e i nomadi cominciarono ad applicare un veleno sulle loro frecce. I soldati del Raja, che aveva giurato di proteggere il re e la sua famiglia, erano in stato di allerta e presero posizioni. Gli occhi del nemico erano però acuti e le loro posizioni furono comunicate a tre barche moghul che si avvicinavano alle isole.

    Uno dei soldati anziani del re era vestito come il Raja per fungere da esca e venne lasciato indietro, seguendo una normale procedura di guerra quando il nemico era più potente e forte era il rischio di perdere la battaglia e di essere catturati. Il Raja era stato portato nel fitto della foresta dai suoi quattro uomini più fidati, mentre il resto si era attestato per una lotta fino alla fine, pronti a morire. Chingi teneva il bambino di sette anni vicino a se. Dalla morte prematura della regina pochi mesi prima si era presa cura del principe ed entrambi si conoscevano ormai molto bene. Il bambino era più incuriosito che spaventato quando si misero a navigare su una piccola barca. Le correnti erano forti e si muovevano attraverso un labirinto di canali per raggiungere la foce del fiume e viaggiare verso terre sicure. I moghul con i loro moschetti erano molto superiori ai nomadi armati di

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