FIANCO A FIANCO
ELEFANTE È TALMENTE vicino che riesco a sentirlo masticare. Le sue potenti mandibole frantumano senza sforzo un boccone di acacia fischiante, un albero duro come una mazza medievale. Un altro membro del branco grugnisce con fatica mentre sradica un cespuglio, un’attività che viene imitata, senza grande successo, dal piccolo. Le zampe tozze di quest’ultimo non sono abbastanza lunghe per riuscire a replicare l’azione di torsione ed estrazione che la madre compie con effetti devastanti e alla fine si accascia a terra per appoggiare la testa sulle gigantesche unghie degli arti materni.
Sono arrivata nel Mara poche ore fa ma mi sento tutt’altro che stanca. Trovarmi così vicino al branco è una cosa elettrizzante: seduta nel Land Cruiser, osservo in rispettoso silenzio i pachidermi che attraversano la pianura sotto un cielo senza nuvole e un sole cocente. Il sostantivo collettivo per gli elefanti è un ‘ricordo’ e questi rimarranno per sempre impressi nella mia memoria. Mezz’ora più tardi si rimettono in marcia, lasciando dietro di sé una scia di distruzione: tronchi di alberi abbattuti, rami senza foglie. Alcuni dei trenta membri del branco sfiorano
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