Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

L' Elefantessa Vanitosa
L' Elefantessa Vanitosa
L' Elefantessa Vanitosa
E-book369 pagine4 ore

L' Elefantessa Vanitosa

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Brevi racconti surreali comici gialli drammaticii.

L'Elefantessa Vanitosa
La prima orchidea gialla e verde si posò sull'acqua senza essere notata, tra le zampotte di Ariosta, l'Elefantessa vanitosa. Seduta sull'acqua bassa a riva, Ariosta continuò a strofinarsi la pelle con una pietra liscia. Dio mio, che pelle rugosa ho stamattina, pensò l'Elefantessa, deve essere l'umidità del Lago. La seconda orchidea nera e rossa fece una spirale attorno alla proboscide di Ariosta e si dondolò, appena notata, accanto alla prima orchidea.
Quasi quasi provo a farmi una doccia di fango, questa pietra liscia serve a niente, pensò ancora tra se l’Elefantessa.

LinguaItaliano
Data di uscita15 ott 2011
ISBN9781465745910
L' Elefantessa Vanitosa
Autore

John Gerard Sapodilla

Mi hanno detto che sapevo scrivere e io ci ho creduto.Il Cuoco del Miramare e L’uovo SbattutoIl cuoco non può sopportare zio Filippo, E’ un istinto naturale, sentimento diffuso tra i nipoti che hanno la sventura di uno zio di successo. Zio Filippo da parte sua non fa che rendere peggiore la situazione, col suo comportamento immobile da dietro il vetro tenuto dalla cornice, sarcastico fissa suo nipote. Zio Filippo è il cordone blu della famiglia, chef reclamato e blandito dai ristoranti di Parigi, Londra, New York, per l’insuperabile supremo medaglione alle erbe di Provenza in crema ai tre formaggi svizzeri.Come ogni mattina, prima di uscire al lavoro, il cuoco si mette in testa il cilindro da chef e al collo il cordone blu, si ammira tra estasiato e invidioso allo specchio, rimette a post e prende la porta. Anche lui un giorno avrebbe avuto un gilet e un orologio d’oro con catena come il fottuto Filippo.Quante volte, nel giorno di chiusura, furtivo e di soppiatto, il cuoco è andato alla cucina del Miramare a provare la ricetta del medaglione: tante volte le galline convocate all’assaggio ci hanno raspettato con le zampette per allontanarsi scotendo il capo.Tutte le creature hanno il loro segreto, la vergogna nascosta del cuoco è il guscio dell’uovo. Per fare l’uovo sbattuto è necessario frangere il guscio sull’orlo del bicchiere che accoglierà la chiara. Non si può fare altrimenti. Questa operazione causa una frattura nel sistema nervoso del cuoco, gli trema la mano.Per porre rimedio, egli a messo a punto un metodo innovativo. Aperto lo sportellino di una stia, la gallinella salta giù e si allontana disinvolta, il calcio nel sedere del cuoco la sorprende innocente, crack.

Leggi altro di John Gerard Sapodilla

Autori correlati

Correlato a L' Elefantessa Vanitosa

Ebook correlati

Articoli correlati

Recensioni su L' Elefantessa Vanitosa

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    L' Elefantessa Vanitosa - John Gerard Sapodilla

    L’Elefantessa Vanitosa e il Pappagallo Evaristo

    Sottili anelli di fumo salgono come in una scala a chiocciola dal sigaro di Evaristo, il quale si dondola su un ramo fingendo di leggere la sua rivista Penne Variopinte Volano Alto. Sono giorni che Evaristo è tormentato dalla visione di Ariosta a bagno, le cui tonde deliziose forme hanno sconvolto il giovane avventuroso Pappagallo, preso e avvinto in delizie di torbide fantasie.

    La prima orchidea gialla e verde si posò sull'acqua, senza essere notata, tra le zampotte di Ariosta, l'Elefantessa vanitosa. Seduta sull'acqua bassa a riva, Ariosta continuò a strofinarsi la pelle con una pietra liscia. Dio mio, che pelle rugosa ho stamattina, pensò l'Elefantessa, deve essere l'umidità del Lago. La seconda orchidea nera e rossa fece una spirale attorno alla proboscide di Ariosta e si dondolò, appena notata, accanto alla prima orchidea.

    Quasi quasi provo a farmi una doccia di fango, questa pietra liscia serve a niente, pensò ancora tra se l’Elefantessa.

    La terza orchidea, bianca e blu, fece come un inchino rispettoso nell'aria e si posò tra le prime due, sempre tra le zampotte di Ariosta. L'Elefantessa inarcò le sopracciglia, fingendo indifferenza aprì piano piano le orecchie e cominciò a roteare gli occhioni, ma si costrinse a non voltarsi. Ora che ci pensava, le era parso da qualche minuto di sentire come un fruscio, una corrente d'aria sopra la sua testa. Chi mai si permetteva di spiarla mentre era a bagno? qualcuno la spiava davvero! Alle spalle di Ariosta, due occhietti, audaci e timorosi allo stesso tempo, continuavano ad ammirarla stando ben nascosti tra i rami a riva. Sotto quegli occhietti, il beccuccio ardito e fiero del pappagallo Evaristo masticava noccioline assieme a parole di ammirazione per le belle forme dell'Elefantessa, altro che quelle pappagallette dipinte, tutte penne e ossa. Alla fine Evaristo si risolse, spiccò il volo e cominciò a planare davanti ad Ariosta.

    ── Mia cara, spero che abbiate gradito il mio lieve omaggio floreale, o forse preferite un mazzetto di germogli freschi?

    Ariosta sorpresa quasi spaventata raccolse a sé le orecchie e la proboscide.

    ── Eravate dunque voi, come avete osato? ── gridò indignata al Pappagallo. Poi furibonda si rialzò dall'acqua e si rifugiò a riva, raggiungendo il placido branco degli Elefanti.

    Tutto questo accadeva in un tardo tiepido mattino di sole sul Lago. Durante tutto il pomeriggio, Ariosta, con grande sorpresa del branco, non fece altro che strofinarsi e lisciarsi sui tronchi degli alberi, specchiarsi sulle pozze d'acqua che ristagnavano sul sentiero del branco, guardare in alto tra i rami al minimo fruscio. Nessuno degli Elefanti disse qualcosa di esplicito al riguardo, e poi non c'era di che preoccuparsi, presto i germogli bassi sulle rive del Lago sarebbero finiti e tutto il branco si sarebbe mosso altrove, lontano e ancora lontano. Ariosta avrebbe seguito, non poteva starsene certo sul nido del Pappagallo. E dunque il branco finse indifferenza e continuò a strappare germogli in silenzio. Ma quando Ariosta prese a sbattere le grandi orecchie, correndo verso il Lago e balzando nell'acqua con una gran spanciata per molte volte di seguito, il branco non poté fare a meno di voltarsi a guardarla con grande curiosità. Cosicché Ariosta si sentì in dovere di dare una spiegazione a voce alta

    ── Avevo bisogno di una rinfrescatina. Cosa pensavate, che volessi imparare a volare per caso?

    Naturalmente anche la tribù dei Pappagalli aveva seguito tutta la scena del primo incontro tra Ariosta e Arcobaleno. Ma se un Elefante è un animale assai serio e riservato, nulla di tutto ciò si può dire dei Pappagalli. La natura ha dotato i Pappagalli di un becco adunco d'acciaio duro, perché possano ben triturare le loro vittime. Da ogni ramo, sulle cime degli alberi, ogni Pappagallo cominciò a spettegolare col dirimpettaio, per farsi sentire da tutti.

    ── Questa di Evaristo ── disse Becco Verde ── è stata sempre una famiglia davvero bizzarra. Vi ricordate di Evarista, la sua prima cugina? Si era messa con un Merlo e andava dicendo che un giudice le veniva dietro. Se poi uno le chiedeva conto del becco piccolo e giallo del Merlo, Evarista diceva con convinzione che era a causa del fatto che il Merlo apparteneva all'Alta Corte.

    Ora era la volta di Narciso Arcobaleno, che dopo essersi ammirate in uno specchietto le penne della coda, si affacciò a dire

    ── E allora che dovremo dire del Beato Cocorito, zio di Evarista, quello che voleva far volare le Scimmie con le preghiere perché divenissero uguali a noi?

    Il professor Penneasciutte benevolo ricordò il dottor Sottilbecco, lontano parente di Evaristo, che aveva studiato all'estero e pubblicato il saggio Pappagalli e Scimmie Insieme per un Futuro nella Imitazione.

    I Pappagalli andarono avanti così, per ore e ore, il battere e lo stridere dei loro becchi pareva una orchestra di acuti martelletti.

    Arrivò il tramonto di quel giorno di sole sul branco degli Elefanti e poi finì anche la tiepida notte che spegne dolcemente i sospiri. A metà del mattino seguente, la ghirlanda di fiori si posò sul capo di Ariosta, ma questa volta non si riscosse sorpresa come il mattino del giorno prima. A bagno nell'acqua, infatti, Ariosta aveva viste riflesse le ali di Evaristo aprirsi da un alto albero e planare lentamente sul suo capo con un cerchio di petali intrecciati tenuto nel becco.

    ── Una corona per voi, mia piccola regina── sussurrò Evaristo a una delle grandi orecchie di Ariosta.

    L'Elefantessa non trovò cosa rispondere, era una situazione davvero insolita, come ci si deve comportare in un caso del genere? Come tutti sanno, gli Elefanti hanno regole precise per ogni circostanza. Nessuno ha mai visto un Elefante improvvisare o comportarsi in modo insolito. Un branco di Elefanti è come un club esclusivo, non ci entra se non si é Elefanti da sempre. Mai si è visto un Elefante correre dietro a un altro animale e neppure salutarlo in verità. Il fatto è però che agli Elefanti succedono sempre le stesse cose, mentre questo intervento di Evaristo era un caso davvero imprevisto, una situazione imbarazzante.

    Che strano comportamento, pensava dunque Ariosta. E poi perché proprio con me? Certo che quel suo corto strascico variopinto gli dà un'aria regale, che sia dunque un principe in incognito?

    L'Elefantessa in verità ancora non sapeva come comportarsi, se tacere e allontanarsi indignata o rispondere con ferma cortesia. Gli Elefanti vengono guidati in ogni circostanza dalle regole dell'istinto loro proprio, ma dove ti può portare l'istinto quando hai a che fare con un Pappagallo? Non c'erano precedenti. Alla fine si disse che doveva tenere un comportamento riservato, si alzò lentamente dall'acqua con tutta la dignità che poté e si diresse a riva. Si era già quasi pentita e stava per voltarsi quando un tremendo barrito la fece sussultare.

    ── Mai che sia una maledetta volta che uno possa restare tranquillo allo stesso posto ── era il capobranco degli Elefanti che imprecava dando una zampata al tronco dal quale aveva strappato l'ultimo germoglio a tiro di proboscide.

    Ariosta rabbrividì nel sentire quel barrito, era dunque tempo che tutto il branco si partisse dal Lago, i germogli da mangiare erano finiti. Il capobranco si mise in marcia per primo, un barrito, due colpi di proboscide nell'aria e via. Poi ad uno ad uno gli Elefanti voltarono le spalle al Lago e si mossero per il bosco dietro al capobranco. Si mosse per ultima Ariosta, ma con uno strano passo, a tratti si fermava e apriva le grandi orecchie a voler cogliere un fruscio. poi si girava fingendo di volersi strofinare su un tronco per asciugarsi la pelle ancora bagnata. Alla fine, per non perdere di vista il branco, Ariosta si rassegnò a trotterellare diritta con la proboscide a terra. L'Elefantessa procedeva in silenzio, quando un germoglio, riscaldato dalla luce del sole caldo, si posò sulla sua schiena e le diede un brivido di piacere. Poi un altro germoglio seguì il primo e altri ancora e altri ancora: Evaristo l'aveva seguita e spezzava i germogli in cima agli alberi, dove il sole e più caldo, per deporli sulla schiena di Ariosta. All'inizio Ariosta sorrideva in silenzio e questo fu sufficiente, ma poi l'Elefantessa non seppe resistere e volta ad Arcobaleno, che le era davanti appollaiato su un ramo, queste parole gli disse:

    ── Signor mio Pappagallo, vedo che insistete a seguirmi, non vorreste togliermi questo insetto conficcato tra le pieghe della pelle dietro il mio orecchio sinistro?

    Il Pappagallo volò dolcemente dietro l'orecchia di Ariosta fino a sparirvi. Ariosta sentiva le morbide piume e il becco sottile sulla sua pelle e sospirò per una sensazione di lievi brividi. La prossima volta devo asciugarmi meglio dopo il bagno, si rimproverò.

    Il Pappagallo uscì da dietro l'orecchia di Ariosta non senza qualche rimpianto. Ariosta lo vedeva volteggiare sulla sua testa fingendo indifferenza, ma alla fine si risolse a parlargli ancora.

    ── Ora con questo non vorrei che pensaste che ho una qualche inclinazione per voi, signor mio cocorito, purtuttavia poiché vedo che vi compiacete di girellarmi attorno e riempirmi la testa di gusci di noccioline, non vi parrebbe di usare meglio il vostro tempo se mi spezzaste una mezza noce di cocco, con la quale io potrei rasparmi un poco le pieghe della pelle?

    ── Oh ── le rispose il Pappagallo ── vi rassoderò ben bene mia signora, lasciate fare a me ogni cosa.── E così detto il Pappagallo spezzò una noce di cocco e con un pezzetto tagliente nel becco prese a rasare e raspare la pelle dell'Elefantessa, girandole attorno in cerchi verticali sulla schiena e sulla pancia, con questo provocandole ancora più di un brivido sottile e una consunzione simile a quella che deve provare il formaggio sulla grattugia.

    Da allora in poi, quando Ariosta si lamentava per il caldo, Evaristo volava alto e soffiava su una piccola nuvola fino a portarla sopra l'Elefantessa per farle ombra. Gli altri Elefanti del branco per qualche tempo non fecero che lamentarsi, perché non si capiva dove finissero le noccioline che sparivano, ma poi lasciarono correre.

    La tribù dei Pappagalli prese la partenza di Evaristo con spirito pratico. Meno Pappagalli siamo più noccioline ci sono, fu il commento di tutti. E questo pose fine al loro spettegolare per il momento.

    Una noce di cocco tira l’altra.

    Una noce di cocco tira l’altra, un mese è passato dal primo incontro tra Evaristo e Ariosta, i due sono sulla riva di un placido ruscello. Ariosta è nervosa, immerge di tanto in tanto una zampotta nell’acqua, Evaristo silenzioso le gira intorno alle grandi orecchie. E’ Ariosta per prima a rompere il silenzio.

    ── Evaristo, fosse per me non vi direi nulla, sapete, ma le mie amiche continuano a tormentarmi con mille domande, le loro insinuazioni mi mettono in grande imbarazzo. Insomma, signor mio credo sia giunto il momento di dirmi che intenzioni avete nei miei confronti.

    Evaristo fa un giro e un secondo giro.

    ── Verrò a chiedere il permesso di sposarvi, oggi stesso.

    Ariosta è sconvolta, ma immensamente felice.

    ── Non credo che sia possibile, siete un pazzo come al solito, credo che ne dovrò parlare prima al capobranco e voi dovreste preparare la vostra tribù.

    ── A presto, mia signora.

    La voce di Evaristo è ferma, quasi risentita.

    ── A presto mio adorato, perdonatemi se ho dubitato di voi.

    La sera stessa dove il ruscello rallenta e forma un laghetto, il branco degli elefanti è venuto a prendere il fresco, a sentire cosa c’è di nuovo. Il capobranco manda a chiamare Ariosta che arriva a testa basta, trotterellando, con il cuore in palpito.

    ── E così Ariosta vorresti sposare un pappagallo ── chiede il capobranco.── E cosa farebbe questo signor pappagallo?

    ── Vola ── bisbiglia Ariosta in risposta.

    ── Ah, vola── supponevo che strisciasse o andasse al galoppo, invece vola ── sogghigna il capobranco verso gli altri elefanti, cercando e trovando compiacimento alla sua battuta.

    ── Voglio dire che fa il pilota signore, il pilota antincendi, signore. Pensate a come sono pericolosi gli incendi nei boschi per noi elefanti. Probabilmente ci avrà salvato la vita molte volte── conclude Ariosta di un fiato, fiera della sua bugia.

    ── Oh, il pappagallo ci ha salvato la vita── sorride mestamente il capobranco── suppongo che dovremo dargli una medaglia.

    ── Oh, signor capobranco ── si fa coraggio Ariosta── naturalmente quando l’incendio è di notevoli proporzioni migliaia di pappagalli si levano in volo. Tutte le squadriglie, capite.

    ── Tutte le squadriglie ── le fa eco il capobranco, sempre più mesto── bene, bene. Suppongo che prima o poi vedremo in azione il tuo pappagallo pompiere.

    ── Aviatore, signore, vola.

    Queste parole furono dette e non vi era null’altro da aggiungere. Il capobranco prese a destra, convinto di essersi tolto dalle zampe questa storia. Ariosta prese a sinistra, verso il bosco, in direzione di un certo signorino che avrebbe fatto bene a darsi da fare d’ora in poi. Meglio per lui. Ma Ariosta non è la sola ad avere problemi, infatti, nello stesso momento Evaristo, tornato al lago dei pappagalli, è immerso in una conversazione spinosa sui rami fitti degli alberi

    ── Evaristo, devo parlarti.

    ── Anche io , Filomena.

    ── Gira voce che vorresti sposare una elefantessa── dice a becco stretto Filomena, la matriarca dei pappagalli ── e dove diavolo pensi di metterla questa elefantessa, su un rametto, su una fogliolina?

    ── Noi si pensava di mettere su casa a terra.

    ── Scordatelo── sibila Filomena, ficcandogli il becco negli occhi. Qui tra noi Pappagalli la moglie segue il marito. Punto.

    Il giorno dopo, come attirati da un filo invisibile, Ariosta ed Evaristo si ritrovano.

    ── Avete parlato di noi alla vostra tribù, Evaristo? Suppongo vi sarà stato frapposto qualche ostacolo.

    Evaristo si bagna il becco con la lingua, come per lubrificare il discorso.

    ── Oh, si certo, abbiamo parlato. I pappagalli sono molto orgogliosi di averti fra noi. Ci sarebbe solo una questione. Niente di sostanziale, ma mi è stata ricordata la nostra consuetudine.

    ── Consuetudine, caro?

    ── Consuetudine, mia signora. La moglie di un pappagallo segue il marito. Mettiamo casa sugli alberi.

    Pronunciando quest’ultima frase Evaristo guarda su in alto, molto in alto.

    ── Non vorrete dire sui rami?── geme Ariosta.

    ── Sui rami── conferma Evaristo mettendosi le ali dietro la schiena per darsi un tono di autorità. E poi prosegue a dire.

    ── Qui da noi Pappagalli si usa da sempre, la moglie segue il marito intendo dire, e d’altra parte mia cara dovrò pure presentarti ai miei, alla mia famiglia, non penserai che li faccia scendere a terra.

    Ariosta spalanca gli occhioni velati di lacrime, guarda all’insù tra i rami alla ricerca di appigli capaci di sostenerla, sospira e soffia aria con la proboscide cercando un improbabile varco per salire in alto.

    ── Inoltre ── prosegue Evaristo implacabile, senza rendersi conto dello stato di angoscia della sua compagna── inoltre, dovreste imparare a volare. Come moglie di un pappagallo, avrete certi obblighi sociali.

    Ariosta nasconde a stento i singhiozzi.

    ── Dovrei imparare a volare? Oh, si capisco. Ma anche io ho da dirvi qualcosa, signor mio Evaristo, ho parlato di noi al capobranco. Ho da dirvi qualcosa al riguardo.

    ── So quello che state per dirmi, il branco degli Elefanti si oppone al nostro matrimonio.

    ── Non esattamente. E’ che ci sono, come dire, impedimenti superabili. Insomma ho detto di voi che siete un aviatore pompiere. Dovreste spegnere un fuoco, ecco.

    ── Ah, e che altro vorrebbe quel branco di palloni gonfiati?

    ── Se veramente avete per me quell’affezione che dite, spegnerete un incendio. E non state a parlar male del mio branco.

    Evaristo ascolta perplesso le parole della sua amata, ma Ariosta appare assai ferma e continua ad ammonirlo con la proboscide. Alla fine i due si lasciano, non senza essersi scambiata qualche tenerezza.

    Noci di cocco cadono durante la notte e strane cose accadono attorno al laghetto del ruscello dal mattino seguente. Ci sono problemi da risolvere. Nascosto tra i giunchi, non visto dal branco degli elefanti, Evaristo accende le noci di cocco e prende a gridare

    ── Al fuoco, soccorso, al fuoco.

    Quindi si allontana a testa bassa. Arrivato poi a una piccola radura si cinge il capo di una fascetta di fiori bianchi e spicca il volo, per planare infine nel ruscello davanti al branco degli elefanti. Durante il lungo ammaraggio Evaristo si riempie del tutto il becco d’acqua, si risolleva con vigore per virare di nuovo verso la radura. Ivi giunto si china a versare l’acqua dal becco a terra, come per spegnere un piccolo incendio sul nascere, ma badando bene a rimanere abbastanza in alto da essere visto dal branco degli elefanti. Evaristo pappagallo pilota si ripete volentieri. Gli Elefanti devono sopportare questi voli per tutta la mattina.

    Ma non è finita, al pomeriggio le cose vanno peggio.

    Un tonfo nell’acqua, il laghetto è scosso da un’onda terribile. Un maremoto per i piccoli abitanti del lago, rane, piccoli pesci, uccelli acquatici. Ariosta si è tuffata dopo una lunga rincorsa, dimenando le grandi orecchie. Ariosta cerca di imparare a volare.

    ── Maledizione Ariosta, questo adesso è troppo ── barrisce il capobranco.── Dove si è cacciata tua madre? A grattarsi la schiena su qualche corteccia come al solito, suppongo.

    Alla fine si trova sempre una soluzione.

    Alla fine si trova sempre una soluzione, i promessi sposi misero casa su un albero, Ariosta occupava il piano terra, Evaristo i piani superiori. Tutto bene dunque? Non ci sono problemi? Per arrivare alla loro casa basta seguire l’odore del tabacco. Cosa mai può essere questo odore acre e dolce, che pervade la giungla? Diamine, è il fumo del sigaro di Evaristo, felice sposo di Ariosta da un anno.

    ──Cara, avete raccolto le noccioline fresche?

    ── Mi sono alzata all’alba apposta, prima di fare il bucato.

    Evaristo dondola su un rametto bene in alto, per prendere l’aria fresca, la schiena appoggiata al tronco, di tanto in tanto scrolla la cenere del sigaro che sta fumando beato, legge con attenzione il suo giornale. L’occhio di Evaristo è caduto su un articolo molto interessante, che assorbe al momento tutta la sua attenzione. Il titolo dell’articolo è ‘Come mantenere il becco sempre lucido ’. Ariosta nota l’improvviso interesse di Evaristo e si incuriosisce.

    ── Cosa state leggendo, caro?

    Evaristo sobbalza, è seccato per essere stato distratto dalla lettura, sbuffa nascosto dalle foglie.

    ── Oh, cara, questioni di finanza internazionale, continuate pure il vostro lavoro.

    Ariosta sta facendo diligentemente il bucato. Sbatte i panni con la proboscide su una pietra, li stende a terra, vi passa sopra con le zampotte per strizzarli e stirarli. Evaristo nota con soppunto che i fianchi di Ariosta sembrano ingrossati. Dio mio, pensa Evaristo, già che non è un giunco se poi ha la tendenza a ingrassare.

    ── Mi chiedo, signora mia, se non dovreste fare del nuoto, che so uno sport. Voi elefanti giocate a golf?

    E nel dire il pappagallo scrolla ancora la cenere del sigaro, la cenere si disperde al vento, penetra nella proboscide di Ariosta, finisce sui panni lavati.

    L’Elefantessa comincia a fremere.

    ──Mi chiedo, signor mio, se non vi annoiate a star tutto il tempo su un ramo. Forse trarreste giovamento da un impiego, un lavoro.

    Evaristo inarca le sopracciglia, ha un impercettibile moto di stizza, serra il becco, dispiega con uno scatto il giornale.

    ── Mia cara, voi non vi rendete conto della situazione internazionale. C’è la grande crisi finanziaria in arrivo. Ogni difficoltà si frappone a trovare un impiego adeguato Stavo giusto leggendo di questo, problemi internazionali.

    Ariosta ha ascoltato attenta.

    ── Ho giustappunto parlato ieri di questi problemi con mia madre, una elefantessa che ha visto e conosciuto molti posti.

    Al sentir parlare della suocera, la ben nota Scorza di Cocomero, Evaristo ha una fitta all’ala sinistra. Evitare le forti emozioni gli hanno consigliato i medici, evitare le correnti di aria umida quando si vola.

    ──Non vorreste lasciarmi alla lettura del giornale, mia cara.

    Ma tutti sanno nella giungla che nulla ferma la corsa di una elefantessa irritata. Non gli alberi di banane la fermano, non di certo il sarcasmo sottile di un pappagallo.

    ── Mia mamma e certe sue amiche soffrono di pruriti, strani insetti si sono stabiliti tra le pieghe rugose della loro pelle.

    ──Pulci selvatiche, ne sono sicuro.

    ──E’ un problema che va risolto. E’ davvero imbarazzante. Specie all’ora del tè. La mamma e le sue amiche si riuniscono a parlare, mangiano un pasticcino e cominciano a grattarsi.

    In effetti l’avvenimento cominciava a godere di qualche meritata fama. Il tè delle elefantesse con concertino era diventato qualcosa assolutamente da non perdere. Pappagallette e scimmiette si muovevano d’ogni parte per raggiungere la radura delle elefantesse alle cinque della sera. Una noce di cocco ben piazzata poteva volare dall’alto sulla testa di una rispettabile dama con fiocchetto alla proboscide mentre si grattava disperata.

    ── Ehi bella, cosa abbiamo in programma oggi? Quartetto d’archi?

    Insultate da una scimmietta, inaudito. Le elefantesse al tè avevano fatto finta finora di nulla, ma la situazione diventava di giorno in giorno insostenibile. Ma Ariosta è sicuro di poter contare su Evaristo nelle situazioni difficili.

    ── Pensavo che potresti dare una mano alla mamma e alle sue amiche. Il tuo becco lungo e affilato sarebbe l’ideale per togliere quegli insetti molesti dalle pieghe della loro pelle. In specie sotto la pancia, dove per loro è più difficile grattarsi. Naturalmente saresti compensato, noccioline, cocco tritato, germogli calpestati, ogni cosa.

    Una piega amara appare ai lati del becco di Evaristo. Egli vorrebbe non aver udito.

    ── Dovrei portare il mio becco onorato sotto la pancia di quelle palle di lardo?. Questo stesso becco che partecipò alle crociate, portato da Fierobecco di Biancapiuma, mi chiedo se non siete impazzita.

    ── Vedo che il signor Evaristo Fierobecco preferisce passare il tempo a dondolarsi. Mentre sua moglie qua sotto si spezza la schiena tutto il giorno.

    ── Io non mi dondolo, porto le notizie dal basso verso l’alto. I pappagalli hanno bisogno di sapere. Io porto su le notizie e loro le riportano di albero in albero. I pappagalli hanno un alto grado di partecipazione. E poi suvvia non esageriamo con questi mi spezzo la schiena, nessuno vi ha messo una catena al collo e vi ha detto di trasportare tronchi d’albero.

    Questa allusione fa infuriare Ariosta.

    L’elefantessa barrisce in preda al furore, sbatte la testa impotente contro il largo e forte tronco ove si trova appollaiato Evaristo, spacca tutto quello che le capita tra le zampe.

    ── E’ la vostra ultima parola, signor pappagallo?

    ── Direi di sì.

    ── Benissimo, ritorno al mio branco.

    ── Servo di vostra grazia, fatemi sapere dove devo mandarvi la posta.

    Evaristo prende un altro sigaro dalla cassetta che i beneamati confratelli gli mandano ogni anno d’oltremare, lo spunta con cura, lo accende. In queste guerre di famiglia non si sa mai chi vince e chi perde ── dice a se stesso il pappagallo ── intanto fumiamoci sopra.

    Passa qualche minuto,

    Un cerchio di fumo esce dal becco di Evaristo, che lo guarda con tenero affetto, poi vi infila una zampetta, lo fa roteare vorticosamente, infine con uno scatto deciso spinge l’anello in giù. Ma con grande stupore di Evaristo l’anello risale velocemente all’indietro. Evaristo spalanca gli occhi e senza nemmeno fermarsi a riflettere soffia più forte che può per rimandare in basso l’anello di fumo. Ma come richiamato da una molla l’anello gli ritorna ancora indietro. Tra la sorpresa e la paura Evaristo comincia ad avanzare cauto sul ramo, una zampetta dietro l’altra, poi allunga il collo dietro una foglia, guarda guarda, la proboscide di Ariosta è lì pronta a risoffiare indietro il fumo del sigaro di Evaristo. Evaristo ora arretra lentamente, cerca un varco, scende in picchiata, affonda il becco nel sederotto di Ariosta. Un grido acuto di dolore e terrore rimbomba nella foresta.

    ── Come osate, volete dunque uccidermi, signor mio?

    ── Cosa facevate qui nascosta, signora mia?

    ── Ho dimenticato di prendere una cosa.

    ── Ah, una cosa. Ebbene, fate con comodo.

    ── Vi state perdendo un bottone del panciotto, signor mio, difficile poi trovarne uno uguale.

    ── Vi ho fatto davvero così male? Lasciate che guardi.

    ── Non c’è niente da guardare, signor Evaristo, vado a prendere ago e filo.

    Ariosta ha un problema, un grosso problema

    Il recinto di rametti spinosi attorno al giardino è completato; ci sono voluti giorni di lavoro, becco e proboscide.

    Ammirati e soddisfatti, Evaristo e Ariosta guardano la recinzione che circonda il loro giardinetto e protegge dagli intrusi l’albero dove abitano. Lo stretto passaggio tra due alberi, a piccola distanza l’uno dall’altro, fa da cancello di entrata. Ariosta gioconda si diverte a entrare a uscire di corsa tra i due alberi. Ahimè, come accade a tutte le signore maritate, i fianchi di Ariosta si vanno allargando

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1