Tra iperrealismo e VIOLENZA
uesto mese parliamo di un film che ha sconvolto il Festival di Cannes nel 2004, definito «incubo allucinatorio di un mondo torbido e violento». La vera sorpresa è che sedici anni dopo aver torna al cinema in versione restaurata. Per gli amanti del genere un film impossibile da perdere, una grandissima fortuna poterlo riapprezzare su maxischermo. Nel 2004 fu Gran Premio della Giuria al Festival di Cannes, il resto è scritto in pagine di letteratura filmica. Il capolavoro di Park Chan-wook è unione di iperrealismo, violenza, sangue e disperazione allo stadio primordiale. Il regista coreano scava nelle pulsioni ancestrali dell’animo umano, per violentarle senza filtro, in 120 minuti di cinema d’autore di livello considerevole. È la storia di un uomo, Daesu, sposato e padre di una bimba. Bloccato in uno stile di vita torbido, caratterizzato da amanti e alcol, viene arrestato per ubriachezza. Dopo il suo rilascio Dae-su scompare nel nulla, per risvegliarsi prigioniero in una stanza sudicia. In questa situazione claustrofobica l’uomo scopre che sua moglie è stata assassinata, e con grande disperazione realizza di essere lui il principale indiziato. La sua reclusione durerà quindici lunghissimi anni, in cui gli unici sentimenti che non perderanno mai violenza, anzi, cresceranno in modo spasmodico e malato, sono odio e voglia di vendetta verso il suo sconosciuto aguzzino. Dopo la reclusione apparentemente immotivata al limite della pazzia, qual è l’ordine di priorità una volta riacquistata la libertà? Cercare vendetta o scavare per far emergere la verità? E se la verità fosse incredibilmente più drammatica del torto subito? Benvenuti nell’incubo visionario di Park Chan-wook. Il regista di spicco della Nouvelle Vague del cinema coreano supera il concetto di violenza, raggiungendo un livello di crudo cinismo in cui l’essere umano non trova redenzione e tutto assume tinte scure, impenetrabili. è il secondo capitolo del trittico sulla vendetta iniziato dal regista con e che si conclude con . È tratto da un manga giapponese, creato nel 1997 da Tsuchiya Garon e disegnato da Minegishi Nobuaki. Il film restituisce tutta l’angoscia e il senso di claustrofobia condiviso con il protagonista, un immenso Choi Min-sik, che aiutato da uno stile di ripresa asfissiante imprime alla pellicola un senso di prigionia latente nonostante l’apparente libertà ottenuta. Imperdibile.
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