Il mare Mediterraneo conserva i resti di un numero notevole di imbarcazioni romane. Spesso, tuttavia, quello che gli archeologi ritrovano sui fondali è solo qualche pezzo informe di fasciame o di chiglia, elementi che non si prestano a una facile lettura da parte dei profani. Molti siti di antichi naufragi presentano così l’aspetto di ammassi di anfore, contenitori “tuttofare” che dovevano rispondere a precisi requisiti per il trasporto e che obbedivano a criteri di produzione di massa e di standardizzazione(1). Il loro studio, tuttavia, se da una parte offre interessanti indicazioni sul carico della nave e sulla sua provenienza, dall’altra non ci dice molto sulle forme e sulle caratteristiche degli scafi.
Ecco, dunque, che un primo approccio al tema della navigazione romana è costituito dalle collezioni di navi presenti in alcuni musei di Germania, Francia e Italia. La conservazione relativamente buona delle essenze lignee dei loro scafi è dovuta al fatto che non sono stati ritrovati in fondo al mare o al fiume, bensì sepolti sotto terra. Ciò ha permesso di salvare dalle ingiurie del tempo non solo il fondo e le chiglie, come avviene comunemente per le imbarcazioni antiche recuperate in mare, ma anche alcuni elementi delle fiancate e