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Breve storia di Venezia
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E-book427 pagine5 ore

Breve storia di Venezia

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Info su questo ebook

Un grande viaggio nell’avvincente storia della Serenissima

Quando si parla di Venezia, è sempre difficile scindere la realtà dal mito. Questa città è infatti circondata da una sorta di alone leggendario, alimentato nel corso di secoli di dominio marittimo, culturale ed economico. Questo libro narra la storia della Serenissima separandola dalla fama mitica che la accompagna. Dalle origini romane della città all’inizio della supremazia sui mari, dalla Repubblica all’annessione al Regno d’Italia, fino ai giorni nostri. Di ogni particolare periodo vengono presentate anche le evoluzioni sociali, culturali e urbanistiche, oltre a una carrellata dei personaggi più famosi e importanti come Francesco Morosini, Giacomo Casanova e Giustina Renier Michiel. Luca Colferai ripercorre tutta la lunga vita della città di mare più famosa del mondo, una vita ricca di avvenimenti e rivoluzioni che hanno influito sul destino di tutta l’Italia e non solo.

La vita di una città unica, dalla nascita al dominio dei mari, fino ai giorni nostri

Tra gli argomenti trattati:

Venezia prima di Venezia
L’impero bizantino
La forma della città. Arcipelago lagunare
La conquista dell’Adriatico. Pietro Orseolo II
Il commercio. Pellegrini in Terrasanta
Il Trecento, il secolo delle congiure
Un segno dal cielo
La battaglia di Lepanto
L’interdetto a Venezia
La peste del Seicento
La congiura Bedmar
La capitale del Grand Tour
Tra francesi e austriaci
La repubblica di San Marco
La grande guerra
Sei donne del Novecento
Emergenza demografica
Luca Colferai
È nato a Venezia nel 1962, ha conseguito maturità classica e laurea magistrale in Lettere ed è giornalista pubblicista dal 1985, scrittore, editore, direttore responsabile della rivista in rete «Il Ridotto di Venezia» e art director editoriale. È Gran Priore dell’associazione culturale Compagnia de Calza «I Antichi», la più antica associazione del Carnevale di Venezia, per cui ha organizzato, diretto e interpretato feste e spettacoli a Venezia e in altre città d’Europa e del mondo. Vive e lavora a Venezia.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2021
ISBN9788822754370
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    Anteprima del libro

    Breve storia di Venezia - Luca Colferai

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    761

    Prima edizione ebook: ottobre 2021

    © 2021 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-5437-0

    www.newtoncompton.com

    Edizione elettronica a cura di Punto a Capo, Roma

    Luca Colferai

    Breve storia di Venezia

    Un grande viaggio nell’avvincente storia della Serenissima

    marchio-front.tif

    Newton Compton editori

    Indice

    Introduzione

    Venezia prima di Venezia

    Le invasioni barbariche

    L’Impero bizantino

    I longobardi

    La forma della città. Arcipelago lagunare

    Il Medioevo

    L’evento. La conquista dell’Adriatico. Pietro Orseolo ii

    La forma della città. I tre poli di Venezia

    Il personaggio. La dogaressa bizantina

    L’inarrestabile ascesa

    Duecento

    Signora della quarta parte e mezzo dell’Impero romano

    Il commercio. Pellegrini in Terrasanta

    L’evento. La serrata del Maggior Consiglio

    L’ordinamento statale

    Il Trecento

    Il secolo delle congiure

    L’evento. La Morte Nera

    La forma della città. Costruire sull’acqua

    Il Quattrocento

    Un segno dal cielo

    I discorsi del doge

    Capitani di ventura

    Il personaggio. Eufemia Giustinian la badessa beata

    Il Cinquecento

    L’evento. La battaglia di Lepanto

    La forma della città. Le ville

    Il personaggio. Veronica Franco la cortigiana onesta

    Il Seicento

    Contro la Chiesa

    L’interdetto a Venezia

    L’ultimo conflitto di terra

    La peste del Seicento

    La guerra di Candia

    Patrizi per merito e per soldi

    L’ultima conquista

    Il gran teatro

    Gioco d’azzardo e caffè

    L’evento. La congiura Bedmar

    Il destino delle donne

    Il Settecento

    Contro i corsari di Barberia

    Tra conservazione e cambiamento

    Il caso Querini

    Piccoli contro grandi

    Difficili riforme

    La capitale del Grand Tour

    Giornali e riviste

    Avventurieri

    Un poeta eccentrico

    Una caduta inevitabile

    Il Carnevale

    Il personaggio. Rosalba Carriera

    L’evento. La caduta

    L’Ottocento

    Tra francesi e austriaci

    Crollo della popolazione cittadina

    Una debole ripresa

    La Repubblica di San Marco

    La terza dominazione austriaca

    Venezia italiana

    Visitatori illustri

    L’evento. La Repubblica di San Marco

    Il personaggio. Giustina Renier la signora delle feste

    La forma della città. Sventramenti e sanificazioni

    La rinascita del vetro

    Il Novecento

    Le due metà

    Novecento i

    La grande guerra

    Novecento ii

    La seconda guerra mondiale

    Novecento iii

    Novecento iv

    La forma della città. Il Novecento

    Sei donne del Novecento

    Emergenza demografica

    Bibliografia

    Introduzione

    Un’altra storia di Venezia. Uguale ma diversa. Sono state scritte centinaia di storie di e su Venezia. Alcune monumentali, altre preziose, alcune valide. Moltissime curiose, vista l’immensa mole di fatti e personaggi, eventi e invenzioni, leggende e verità che si sono accumulate nel tempo, favorite fin dall’inizio dagli stessi antichi veneziani, abili sostenitori e inventori del mito della propria singolarità e diversità (geografica, storica, culturale, economica).

    Questa storia di Venezia è una storia della città e degli uomini e delle donne che vi hanno vissuto (alcuni ancora ci vivono). Comincia nel lontano passato, un poco prima dell’inizio, e finisce molto dopo la fine, al termine del Novecento. In qualche modo crede di essere una storia non finita, in modo che ci sia un futuro.

    Coincidenza vuole che sia stata scritta nel milleseicentesimo anno dalla leggendaria favolosa fondazione della città (il 25 marzo del 421, giorno dell’Annunciazione, a mezzogiorno) e in un momento (la pandemia del 2019-2021) in cui la città ha subito un altro dei molti duri colpi della sua plurisecolare esistenza. Gli ultimi vent’anni, i primi del Duemila, non sono compresi: troppo vicini e troppo difficili per essere raccontati con equanimità.

    Venezia è una città da sempre in bilico tra l’acqua e la terra, tra Oriente e Occidente, tra il mito e la storia, tra la fantasia e la realtà. Tra passato e futuro. È sempre stata una città difficile.

    Venezia prima di Venezia

    In epoca romana il territorio lagunare dove ora sorge Venezia era al centro di un’importante doppia rete di commerci che collegava direttamente Ravenna ad Aquileia, le più importanti città romane sulla costa adriatica. Da una parte le strade terrestri (la Via Popilia da Rimini a Adria; la Via Annia da qui ad Aquileia), dall’altra le tranquille rotte lagunari attraverso i Sette Mari (i Septem Maria di Plinio il Vecchio). Entrambi i percorsi erano collegati e interscambiabili. L’Itinerarium Antonini (un elenco dei percorsi e delle stazioni di viaggio lungo le strade dell’Impero romano nel iii secolo) ricorda che, raggiunta Ravenna, il viaggio continuava sull’acqua fino ad Altino, per poi riprendere via terra per Concordia e quindi Aquileia. Dall’estuario del Po fino alla foce del Livenza, i Sette Mari erano una catena di lagune, protette da sottili strisce di terra, e foci di fiumi, intersecate da canali naturali o artificiali (fossae), scavati per favorire la navigazione. La fossa Augusta collegava Ravenna al delta del Po, tagliato dalla fossa Flavia, tramite le Valli di Comacchio; e quindi alle lagune di Adria. La fossa Philistina portava a Chioggia. Da qui, l’interno della laguna con i vari scali di Malamocco (sul mare), di Vallonga e Porto Menai (sulla terraferma) e poi Torcello, quindi Altino. Forse anche le isole interne dove oggi sorgono Venezia, Murano e Burano. La navigazione interna continuava poi con tappe sull’antica foce del Livenza (portus Liquentiae), vicino a Caorle (portus Reatinum), a Grado e, lungo il Natisone o il canale Anfora, fino ad Aquileia. La geografia dell’epoca era diversa da oggi: le lagune più vaste e paludose, le foci dei fiumi minori. Molti rivolgimenti ambientali in epoca medievale, e l’intervento dell’uomo in periodi più recenti, hanno modificato molti corsi e specchi d’acqua.

    Su queste rotte interne i trasporti erano più costosi ma molto più sicuri e, soprattutto d’inverno, più regolari. Come ricorda Cassiodoro nella sua lettera: «quando la furia dei venti impedisce di andare per mare, avete dinanzi il comodo e piacevole percorso fluviale. Le vostre navi non hanno da temere la forza dei venti: raggiungono la terra sane e salve e non possono affondare, esse che spesso si incagliano. Da lontano sembra quasi che siano condotte in mezzo ai prati, perché non se ne vede lo scafo. Avanzano tirate da funi, esse che solitamente sono trattenute dalle gomene e, mutata condizione, gli uomini favoriscono la navigazione camminando. Le navi da carico procedono senza fatica e, invece dell’incertezza della navigazione a vela, si giovano del passo saldo dei marinai».

    Le città romane unite dalla duplice rete, terrestre e lagunare, sono ricche e floride. A sud, l’antica Ravenna, costruita su palafitte, che fino al Medioevo poteva essere raggiunta solo via acqua, contava diecimila abitanti ed era collegata al potente porto di Classe (Civitas Classis), sede della flotta militare a guardia del Mare nostrum orientale. A nord Aquileia era la città fortificata, fondata per impedire l’accesso ai barbari orientali, poi divenuta base dell’espansione verso l’Istria e la Germania e quindi capitale della decima Regione augustea (Venetia et Histria): nodo cruciale di strade verso settentrione (fino al Baltico, con la via dell’ambra) e verso occidente (la via Postumia arrivava fino a Genova) e di rotte navali verso oriente. Complementare ad Aquileia è Altino: centro residenziale, logistico e amministrativo, residenza di nobili e funzionari, sede di depositi e magazzini, e di tutti i numerosi addetti alle attività militari; costruita su una rete di canali, prosperò fino a raggiungere i centomila abitanti, ricca di splendide ville e palazzi. Attraverso la Via Claudia Augusta, Altino era collegata fino al Danubio («usque ad flumen Danuvium»): la strada saliva lungo la valle del Piave, verso Feltre e quindi a Trento (dove si univa alla via dell’Adige, proveniente da Verona) per raggiungere Bolzano e Merano, passare le Alpi al valico di Resia e arrivare ad Augusta in Baviera (Augusta Vindelicorum) e al corso del Danubio. Tra Altino e Aquileia la colonia militare di Concordia, importante sede di produzione di frecce (da cui il toponimo moderno di Concordia Sagittaria). Quindi Grado, in origine scalo (gradus) marittimo di Aquileia. Nell’entroterra, vicinissime erano: l’antichissima e quasi leggendaria Padova, sorta sul Brenta (un tempo Medoacus Major), circondata da fertili terre, ricca per i prodotti dell’agricoltura, dell’allevamento e della manifattura (lavorazione della lana dai pascoli dell’altopiano di Asiago); e la ricca Oderzo, con una popolazione di cinquantamila abitanti (i-ii secolo). Sulla costa, da ricordare Equilium (oggi Jesolo) noto nell’antichità per l’allevamento di cavalli, una delle prerogative degli antichi Veneti.

    Le invasioni barbariche

    Mentre l’Impero romano d’Occidente si dibatte negli ultimi caotici sussulti, tra ripetute invasioni sempre più inarrestabili (non solo in Italia, ma anche in Gallia, in Africa e nella penisola iberica), con usurpatori del trono imperiale, e imperatori legittimi imposti e deposti dai generali (di stirpe germanica), e una generale irrimediabile disgregazione; nell’Impero d’Oriente fazioni opposte si affrontano in ripetuti concili ecumenici con lunghe lotte di potere tra fazioni religiose opposte, divise apparentemente solo da argomenti dottrinali (la natura divina o umana di Cristo).

    Primi di tutti i barbari invasori: i visigoti di Alarico nel 401 (nel 410 metteranno a sacco Roma segnando definitivamente il declino dell’Impero). Se gli ostrogoti di Radagaiso (nel 405) furono fermati a Fiesole; i vandali, alani, svevi e burgundi entrarono in Gallia per rimanerci, e gli unni di Uldino occuparono la Tracia. Vandali, alani e svevi giunsero in Spagna nel 409 e da lì raggiunsero il Nord Africa (429) conquistando Cartagine nel 439 e usandola come base per impadronirsi di Sicilia, Sardegna, Corsica e Baleari. La lontana Britannia, abbandonata dai romani tra il 407 e il 409, fu invasa da sassoni, angli e juti. Tutti questi popoli erano spinti ad invadere l’Impero romano d’Occidente dall’espansione degli Unni, temibile popolo guerriero nomade che dopo aver tentato inutilmente di invadere la Cina si era spostato dalla Siberia meridionale verso l’Europa, calando su Ucraina e Bielorussia tra il 374 e 376. Un gruppo di unni e altre tribù di avari, turchi e bulgari si era contemporaneamente espanso verso est, travolgendo l’Impero sasanide di Persia, giungendo fino all’India.

    Attila

    Quando Attila (406-453) divenne re degli unni (per fratricidio, nel 434) si trovò a guidare un impero vastissimo, dall’Europa centrale al Mar Caspio, dal Danubio al Mar Baltico. Anche se tutto si dissolse alla sua morte, il suo regno unificava la maggior parte dei popoli barbarici dell’Eurasia settentrionale (dai Germani orientali agli slavi agli ugro-finni). Considerato il più irriducibile nemico dei Romani e dei cristiani (il flagello di Dio) invase due volte i Balcani, assediò Costantinopoli, raggiunse il cuore delle Gallie dove fu fermato da un esercito di romani germani e visigoti, ed invase l’Italia (452) devastando l’invitta Aquileia dopo un assedio di tre mesi, attaccando Padova, e arrivando fino a Milano. Raggiunto il fiume Mincio, si ritirò non per intercessione del papa Leone i, come vuole la leggenda, ma per le difficoltà di tenere un impero così vasto: carestie, pestilenze, gli attacchi dell’Impero d’Oriente nei Balcani orientali. Poco dopo, nei primi mesi del 453, tornato nella città fortificata che gli unni consideravano la propria capitale sulla riva sinistra del Danubio, in Pannonia (Ungheria), Attila morì improvvisamente e misteriosamente (di epistassi durante un banchetto per le sue nozze, riferisce lo storico più attendibile, Prisco di Panion).

    Attila in un'incisione 

    ottocentesca.

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    L’arrivo di Attila segna la fine della prima Venetia, romana e di terraferma, e simbolicamente l’inizio della seconda Venetia, venetica e marittima. Scrive lo storico Martino da Canal: «Ora avvenne che per quella distruzione la nobiltà degli uomini e delle donne si fuggisse […] in verso il mare e trovasse di sopra la marina monticelli di terra, e facesse sopra quelli molte belle città. Essi condussero con loro oro ed argento a massa […] e fecero nella mastra città settanta chiese a grandi torri e campane, e per mezzo l’acqua salata levarono li Conventi di religiosi a gran numero».

    Perdute le regioni europee e africane, all’Impero d’Occidente non bastano le città della penisola italica, già devastate dagli unni, per sostenere spese civili e militari. Nel 455 Genserico, il potente re dei vandali e degli alani, che governò il Mediterraneo occidentale da Gibilterra alla Sicilia, partito dalla capitale del regno, Cartagine, mette a sacco Roma impadronendosi di tesori e denaro. Altri profughi abbienti raggiunsero le isole della laguna.

    Con molta accortezza la tradizione leggendaria della fondazione della città fissa una data di molto antecedente alle invasioni barbariche: nell’anno 421, il 25 marzo (giorno dell’Annunciazione a Maria e della crocifissione di Cristo) a mezzogiorno, per volontà divina e con favorevolissima congiunzione di stelle e pianeti. Come a rendere chiaro che trent’anni prima dell’arrivo di Attila, Venezia esisteva già, in un luogo dove prima nulla esisteva.

    Nel 466, mentre il generale goto Ricimero (per metà goto e per metà svevo) decideva della sorte di un imperatore dopo l’altro, i rappresentanti delle varie comunità delle isole si riuniscono a Grado nel tentativo di governarsi tramite l’elezione di tribuni: l’Arengo, o Concio generalis, o Concione. Assemblea che nel secolo viii verrà ripresa per l’elezione dei dogi.

    Gli ostrogoti

    Nel 476 il generale Odoacre, patrizio dei Romani di origine germanica (sciro o unno), s’impadronì di ciò che restava dell’Impero, depose l’ultimo imperatore (Romolo Augustolo, nato nel 461) e si autonominò re d’Italia. Si usa fissare a questa data l’inizio del Medioevo. Nel 488 l’imperatore d’Oriente Zenone offrì a Teodorico, re degli ostrogoti, la possibilità di insediarsi in Italia (488) in cambio dell’eliminazione di Odoacre. La guerra si concluse nel 493: Teodorico venne subito meno ai patti sottoscritti con Odoacre per un regno congiunto e lo uccise durante un banchetto. Al servizio dell’Impero d’Oriente, Teodorico il Grande regnò da Ravenna su tutta la penisola italica, una parte della Gallia meridionale a ovest e gran parte della Dalmazia, della Rezia e della Pannonia a est, per un trentennio di prosperità. Invitò anche con successo gli esuli lagunari a ritornare in terraferma.

    L’Impero bizantino

    Alla morte di Teodorico (526) il regno ostrogoto iniziò a indebolirsi: il potere passò nelle mani della figlia Amalasunta, donna di grande cultura e saggia politica, che governava per conto del figlio Atalarico, e poi come regina alla morte di questo (534). Amalasunta fu fatta uccidere dal cugino Teodato (strangolata nel bagno, 535) che ella, considerata troppo influenzata dalla cultura romana, aveva associato al trono per ingraziarsi la nobiltà gota.

    Il colpo di mano di Teodato fu il pretesto per il nuovo imperatore d’Oriente (527) Giustiniano i (482-565) per conquistare la penisola italica. Considerato uno dei più grandi sovrani di età tardo-antica e altomedievale, Giustiniano il Grande aveva intrapreso con i suoi esperti generali Belisario e Narsete una serie di campagne militari per riconquistare i territori dell’Impero romano, la Restauratio Imperii (o anche Renovatio, o Restitutio).

    Fermati i Persiani a est (532), il generalissimo Belisario sconfisse i vandali (534) annettendo il Nord Africa (con la Sardegna, la Corsica e le Baleari), da cui si spostò (535) in Sicilia per conquistare Napoli e poi Roma e tutto il sud (536). Fu l’inizio di un ventennio di devastazioni. Eliminato Teodato i goti tentarono per un anno l’assedio di Roma sotto il comando del re Vitige, ma furono messi in fuga dall’esercito di Belisario, inseguiti fino a Ravenna (540) e sconfitti (Vitige e il tesoro dei goti catturati e spediti a Costantinopoli).

    Per una somma di catastrofi, la riconquista bizantina fu temporanea. Di recente si sono avute le prove dell’inizio in quegli anni (535-536) della Piccola era glaciale tardoantica, un periodo di cento anni di raffreddamento del clima causato dalle ceneri proiettate nell’atmosfera da una serie di potenti eruzioni vulcaniche. L’oscuramento provocò la perdita dei raccolti, freddo intenso, debilitazione fisica, fatali per popolazioni già in condizioni misere e in più provate dalla guerra, difficili per la gestione di un impero. Forse è proprio la penuria di cibo, che spinse nel 537 il senatore Cassiodoro, prefetto di Vitige, a implorare l’aiuto dei Veneziani per il trasporto via acqua di cibo e vettovaglie. Ed è probabile che fu proprio per le difficili condizioni che i longobardi decisero di abbandonare la Pannonia per stabilirsi in Italia. Negli stessi anni, nei territori dell’Impero e principalmente nella popolosa Costantinopoli si scatenò un’epidemia di peste bubbonica (541-42, la prima certamente causata dal batterio Yersinia Pestis) portata probabilmente dai topi che infestavano i carichi di grano e gli altri generi alimentari provenienti dall’Egitto e dall’Etiopia.

    Messo alle strette dalla difficile situazione, Giustiniano dovette inoltre affrontare l’invasione persiana della Siria (540-45) che costrinse Belisario a spostarsi a oriente. Le province italiche furono presto riconquistate dai goti guidati dal giovane re Totila (516-552) che si muovevano dai territori a nord del Po rimasti in loro mano. Una seconda spedizione bizantina guidata da Belisario (544-48), con pochi uomini e pochi denari, non riuscì a impedire la conquista gota di Roma per due volte (546 e 550).

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    Francesco Salviati, Totila

    (Como, Musei Civici).

    Decisiva la nomina del generalissimo Narsete (551) che, con un esercito composito di trentamila uomini (unni, gepidi, eruli, longobardi e persiani) risalì i Balcani lungo la costa dalmata e istriana, entrò nelle Venezie e per evitare le fortezze dei Franchi in terraferma, proseguì verso Ravenna attraversando le lagune con le barche (e i ponti con queste costruite se necessario) dei Veneziani. Narsete sconfisse i goti (Totila, 552; Teja, 553) e riconquistò all’Impero la penisola, la Sicilia, la Sardegna e la Corsica. Nel 555 la guerra era terminata, ma le città spopolate e in rovina, le campagne devastate.

    I longobardi

    La spedizione di Narsete aveva rafforzato i tenui ma persistenti legami dei venetici con l’Impero d’Oriente. I danni della guerra goto-bizantina e la successiva invasione dei longobardi resero definitivo il trasferimento delle popolazioni dalla terraferma alle lagune.

    I longobardi erano venuti per restare, e il loro regno, con alterne vicende, durò quasi due secoli. Nel 568 varcarono l’Isonzo, guidati dal re Alboino. Conquistarono e saccheggiarono senza pietà: subito Forum Iulii (Cividale del Friuli) poi rapidamente Aquileia, Vicenza, Verona, Brescia e le altre città del nord-est. Nel 569 si arresero Milano e Lucca. Nel 572, dopo tre anni di assedio, cadde Pavia, che divenne capitale del regno. Negli anni successivi si espansero nel centro-sud. Ai bizantini restarono le zone costiere: l’Esarcato con capitale Ravenna; la Pentapoli (le cinque città di Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona); gran parte del Lazio inclusa Roma; le città della costa campana (esclusa Salerno), la Puglia e la Calabria.

    I longobardi governarono i territori conquistati con sempre minore durezza, assimilandosi alla cultura dei romani sottomessi, raggiungendo il loro periodo migliore sotto il lungo regno di Liutprando (712-744). Tra il 750 e 751, sotto la guida di Astolfo i longobardi conquistarono gran parte dei territori bizantini nella penisola (ad esclusione del Lazio con Roma e della Calabria). Quando Astolfo cominciò a pretendere tasse e imposizioni da papa Stefano ii, questi chiamò in difesa i Franchi di Pipino il Breve, scatenando una lunga guerra che terminò nel 774 con l’arrivo di Carlo Magno. Il figlio di Pipino conquistò la Langobardia Maior (il Nord Italia) assumendo il titolo di Rex Francorum et Langobardorum.

    La forma della città. Arcipelago lagunare

    Nei primi secoli un arcipelago di piccoli centri, abitati e fortificati, disseminati tra le isole della laguna, il bordo della terraferma e i lidi, compone l’insieme molteplice che anticamente si indicava al plurale come Venetiae. Molti di questi piccoli abitati scomparvero perché abbandonati, o sommersi nei vari rivolgimenti idrologici del passato: gran parte dei materiali con cui erano stati costruiti vennero riciclati nei nuovi centri, cancellandoli dalla storia; alcuni sono probabilmente leggendari, frutto della fervida fantasia di alcuni storici ottocenteschi.

    Sul limite dell’entroterra, a settentrione, era Civitas Nova (Cittanova), la prima sede ducale fondata nell’isola prospiciente l’antica città di Altino, già sede del governo provinciale. All’inizio è un’isola senza nome, poi Civitas Nova, in seguito Eracliana, quindi Eraclea (toponimo assunto dal vicino comune di Grisolera nel 1950); Cittanova scomparve nel 1110 per il mutamento del corso del Piave, come cinquecento anni prima era scomparsa Melidissa, la primeva Civitas Heracliana. La vicina Torricellum (Torcello), sorta tra il iv e il v secolo, fu a lungo un attivo mercato, posta com’è ancor oggi sulla linea che dal mare porta ad Altino, ma declinò rapidamente, progressivamente superata dagli altri centri lagunari: Cittanova, poi Metamauco, infine Rialto.

    Vicine a Cittanova erano Ammiana e Costantiaca, scomparse nelle attuali barene della laguna a nord di Torcello. Proseguendo verso sud i centri abitati di Maiurbo (Mazzorbo), Mureana (Murano); sulla costa Equilium (poi Cavazuccherina e oggi Jesolo).

    Dall’viii secolo la sede ducale viene spostata a Metamauco (ora Malamocco) sul litorale lagunare che oggi è detto Lido, a cui era vicinissima Popilia (oggi la disabitata Poveglia). Sulla stessa linea mediana, verso la foce antica del Brenta si trovava Vigilia, detta anche Abbondia, distrutta nell’831 per punire la fallita ribellione del deposto doge Obelerio Antenoreo (9. 803-810) al regnante Giovanni i Partecipazio (12°, 829-833). Ancora più a sud, verso Clodia (Chioggia) il lido di Pastene (Pellestrina).

    Agli insediamenti civili vanno aggiunti anche i numerosi conventi dei benedettini che, dapprima sul margine della laguna alle foci dei fiumi, sorsero quindi in laguna, in luoghi spesso strategici: all’incrocio dei canali navigabili, come il fondamentale San Giorgio Maggiore di fronte a San Marco, o l’importante San Nicolò di Lido, alla bocca di porto.

    Le isole su cui sorse la presente Venezia erano allora disposte lungo il sinuoso percorso di un antico ramo della foce del Brenta, che oggi è il Canal Grande: al centro Rivoalto (Rialto) e poco più a est i lembi di terra ove oggi sorge San Marco; a oriente Olivolo (primo nucleo dell’odierno sestiere di Castello); a meridione Spinalonga (la Giudecca); all’estremità occidentale la piccola isola di Mendigola (oggi San Nicolò dei Mendicoli).

    Una preziosa testimonianza di come doveva essere l’ambiente e la vita sulle isole e nella laguna dei primi secoli è la lettera di Cassiodoro, senatore (485-580), politico e letterato, consigliere del re goto Teodorico il Grande, scritta nel 537 per ottenere dai veneziani il trasporto via mare di derrate alimentari.

    Da lontano [le vostre navi, n.d.r.] sembrano camminare sui prati, quando accade di non vedere il corso del canale, avanzano tirate da corde, le quali di solito servono a tenerle ferme e, capovolte le condizioni, la ciurma aiuta le proprie navi con i piedi: senza sforzo trascinano le loro portatrici e, invece delle pavide vele, adoperano il passo dei marinai, che è più sicuro. Ci piace parlarvi di come abbiamo visto l’ubicazione delle vostre case. […] l’alternarsi delle maree ora copre, ora lascia in secco la superficie dei campi con una reciproca inondazione di acqua o di asciutto. Qui voi, alla maniera degli uccelli acquatici, avete la vostra casa. Infatti una persona ora si vede stare sulla terraferma, ora su un’isola […] le case appaiono sparse in mezzo ad ampi tratti di mare: e non le ha prodotte la natura, ma le ha create il lavoro umano. Infatti all’intreccio dei vimini flessibili si aggiunge la solidità della terra e non si teme affatto di opporre alle onde marine una difesa tanto fragile: si fa così perché il litorale basso non può scagliare a terra grandi onde, e queste vengono senza forza non avendo l’aiuto della profondità. Un’unica risorsa hanno gli abitanti, quella di mangiare solo pesci a sazietà. Ivi poveri e ricchi vivono allo stesso modo. Un solo cibo sostenta tutti, uno stesso tipo di abitazione rinserra ogni cosa, non conoscono l’invidia riguardante le case e, vivendo con questo tenore, stanno fuori del vizio, al quale, come si sa, tutto il mondo soggiace.

    La lettera si chiude con l’esortazione a una solerte adesione alla richiesta:

    Perciò con cura diligente mettete in sesto le navi, che legate alle vostre pareti, come fossero animali, affinché […] vi affrettiate a correre per non ritardare con alcuna difficoltà a portarci gli acquisti a noi necessari, tanto più che potete scegliere, secondo le condizioni del tempo, il tragitto che vi è più vantaggioso.

    Il commercio. Sale e legname

    Nel suo elogio Cassiodoro non mancava di sottolineare la principale attività dei veneziani: «Tutto il loro sforzo è rivolto alla produzione del sale: invece di aratri e di falci fate rotolare dei rulli: di qui viene ogni vostro provento, dal momento che possedete in essi anche gli altri generi che non producete; in un certo qual senso lì si conia la moneta per il proprio sostentamento. Ogni onda sottostà al vostro trattamento. È possibile che qualcuno non vada in cerca d’oro, ma invece non ce n’è uno che non desideri trovare il sale, e giustamente dal momento che ad esso ogni cibo deve il potere di essere graditissimo […]».

    Le zone in cui si concentrava la produzione del sale erano la parte settentrionale della laguna, verso e dopo Torcello, e a sud attorno a Chioggia, che divenne poi la più importante. Il sale era indispensabile per acquistare grano e derrate alimentari lungo il Po, l’Adige e gli altri fiumi. Quando la produzione locale iniziò a essere inferiore alle necessità del commercio, il monopolio commerciale ormai saldo consentiva di esportare il sale dalle coste adriatiche dell’Emilia, dalla Puglia; dalla Sicilia e dalla Sardegna; dalle isole Baleari, da Cipro e dalle coste della Libia.

    Il legname era in gran parte destinato all’uso locale. Era necessario al consolidamento dei terreni edificabili e alla costruzione degli edifici (soprattutto conifere dal Bellunese e dalla Carnia); alla costruzione delle imbarcazioni e del loro equipaggiamento (principalmente rovere dal Montello nel Trevigiano e di Montona in Croazia per gli scafi; faggio dal Cansiglio per i remi) e come combustibile (dall’Istria e dalla Terraferma). Il controllo dello sfruttamento dei boschi era affidato ai patroni e ai provveditori dell’Arsenale, tramite un provveditore sopra i boschi; la Repubblica si dotò di leggi severe per evitare il disboscamento e di tecniche di coltura, ma il consumo fu sempre superiore alle possibilità naturali.

    Il Medioevo

    L’instaurazione del Regno longobardo (568) causò la separazione tra i centri di terraferma e gli insediamenti sulle isole lagunari e sulle coste adriatiche, con importanti conseguenze politiche, sociali ed economiche che segnarono la storia successiva.Il dominio dei longobardi favorì un’ulteriore e definitiva migrazione nelle lagune e sulle coste. Nacque di fatto una nuova società, unita dalla consapevolezza di una permanenza indefinita nei nuovi territori; con una diversa appartenenza, geografica e politica. Secondo molti storici in questa nuova diversità è anche l’origine del patto sociale di mutuo rispetto e impegno reciproco tra nobiltà e popolo che avrebbe poi caratterizzato tutta la storia cittadina.

    I venetici rimasero nella sfera di controllo dell’Impero bizantino e furono presto (584) separati amministrativamente dalla provincia (eparchia) annonaria controllata da Ravenna, organizzati nella Venetikà, il Distretto della Venezia marittima con capitale Eracliana, che fu poi eretto in Ducato di Venezia (697) all’origine della città e dello Stato di Venezia. Secondo la tradizione, su convocazione del patriarca di Grado gli abitanti decisero di eleggere in assemblea, a Eracliana, un dux incaricato a vita del governo (il quasi leggendario Paoluccio Anafesto, primo doge 697-717) per difendere autonomamente il territorio dalle minacce dei pirati dal mare e dei longobardi da terra, in sostituzione dei magistrati (tribuni marittimi) designati annualmente da Ravenna, ma sembra sempre con autorizzazione imperiale.

    L’avversione verso i nuovi conquistatori fu inizialmente aumentata da ragioni religiose. I longobardi, prima della definitiva conversione in massa al cattolicesimo (attorno al 700) erano pagani o ariani e, soprattutto nei ducati nord-orientali, duramente nemici dei cattolici. I venetici divennero così in qualche modo custodi e continuatori della Chiesa, conservando e difendendone le istituzioni, creando un intreccio particolare e indissolubile tra Stato e Chiesa con una specifica autonomia locale.

    Verso oriente, la separazione dal Regno longobardo spinse a rafforzare i traffici marittimi con l’Impero bizantino e a consolidare gradualmente la funzione di forza militare navale del Ducato di Venezia nell’Adriatico; verso occidente influì sull’aumento del commercio fluviale, da e per le lagune, ponendo le basi su cui si sviluppò la storia economica di Venezia.

    Anche se i venetici trovano un incerto equilibrio all’esterno, gli interessi conflittuali dei longobardi, del papato, dell’Impero bizantino, coinvolsero per molti decenni la molteplice comunità di isole e centri costieri. L’influenza delle potenze esterne provocò forti tensioni tra la fazione a favore dei longobardi e gli alleati dei bizantini. Ad aumentare la divisione si aggiunsero questioni religiose: l’imperatore Leone iii Isaurico (717-741) diede avvio (726) ad una vasta campagna di distruzione delle immagini sacre (iconoclastia) considerate empie, con l’intenzione di placare l’ira divina che a suo parere era causa di continue calamità (l’assedio musulmano del 717, e in seguito eruzioni vulcaniche e maremoti), attirandosi invece l’odio della Chiesa.

    Le tensioni culminarono (737) in un feroce scontro (battaglia del Canale dell’Arco, poi detto homicidiale per il massacro avvenuto) tra i filobizantini di Eraclea guidati dal doge

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