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101 luoghi archeologici d'Italia dove andare almeno una volta nella vita
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E-book344 pagine3 ore

101 luoghi archeologici d'Italia dove andare almeno una volta nella vita

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Il Colosseo e Pompei, l’Arena di Verona e i templi greci di Agrigento. Quasi tutti i luoghi dell’Italia antica sono famosi nel mondo. Ma per quanto si sia viaggiato, esplorato e raggiunto ogni anfratto della nostra nazione, il Bel Paese custodisce sempre nuovi siti meravigliosi da scoprire, sia per chi viene dall’estero, sia per noi che siamo nati, cresciuti e che ancora viviamo in Italia.
Tra le Alpi e il Mediterraneo, si nascondono centinaia di mete affascinanti. Santuari sanniti, strade romane e nuraghi, approdi fenici e incisioni rupestri, piccoli e grandi musei offrono molte sorprese a chi vuole scoprire il passato. Insieme ai romani, che hanno eretto monumenti quasi ovunque (anche a Milano, a Torino, a Trieste), questo libro permette di conoscere gli altri popoli antichi che hanno lasciato le loro tracce. I bellicosi sardi, per esempio, e i fenici che si sono scontrati con loro sulla costa occidentale dell’isola. Le raffinate città della Magna Grecia e i rocciosi popoli italici, sanniti e piceni su tutti, insediati sulle rocce dell’Appennino. I camuni con le loro incisioni rupestri, una delle quali è oggi il simbolo della Lombardia. E poi gli etruschi, raffinati e creativi.
Stefano Ardito, escursionista, alpinista e viaggiatore, descrive in questo libro 101 itinerari frutto della sua lunga esperienza sul campo. Percorre l’Italia da nord a sud, attraversando le due isole più misteriose del Mediterraneo, la Sicilia e la Sardegna, alternando luoghi insoliti, segreti e sconosciuti a mete tradizionali.
Un percorso suggestivo nel passato del nostra terra, che ci aiuta a scoprire il Paese di oggi.

Un affascinante viaggio attraverso le tracce lasciate dalla storia
Ecco alcune delle 101 esperienze:

Aosta, la città delle torri
Milano, splendore e segreti di Mediolanum
Altino, l’antenata di Venezia
Aquileia, il foro, la basilica e i mosaici
Grotte di Toirano, orsi delle caverne e Preistoria
Chiusi, i canopi e il mistero di Porsenna
Vulci, gli etruschi sulla rive della Fiora
Veio, la rivale di Roma
Villa Adriana, il grande viaggio dell’imperatore
Pietrabbondante, il santuario dei sanniti
Ercolano, case e affreschi ai piedi del vulcano
Pompei, la vita quotidiana degli antichi
Siracusa, la signora dello Jonio
Tiscali, la Sardegna di pietra


Stefano Ardito
nato a Roma nel 1954, è autore di vari libri sulle montagne d’Italia e del mondo. Ha scritto guide e curato documentari e servizi apparsi su quotidiani e riviste. Escursionista, alpinista e viaggiatore, frequenta con la stessa passione il Gran Sasso, il Monte Bianco, le valli del Nepal e i siti archeologici di tutto il pianeta. Con la Newton Compton ha pubblicato 101 storie di montagna che non ti hanno mai raccontato e 101 luoghi archeologici d'Italia dove andare almeno una volta nella vita.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854156869
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    101 luoghi archeologici d'Italia dove andare almeno una volta nella vita - Stefano Ardito

       1.

    AOSTA, LA CITTÀ DELLE TORRI

    C’è un angolo di Roma ai piedi delle vette più alte delle Alpi. «La vecchia Aosta di cesaree mura / ammantellata, che nel varco alpino / èleva sopra i barbari manieri / l’arco di Augusto», ha scritto Giosuè Carducci nella celebre ode Piemonte.

    Anche oggi l’Arco d’Augusto, che celebra la vittoria del 25 a.C. sui salassi, accoglie i viaggiatori che arrivano dalla pianura. Costruito con scuri blocchi di conglomerato, è stato trasformato nel Medioevo in una casa e poi in un fortilizio. Dal 1449 vi campeggia un crocifisso ligneo, sistemato per proteggere il centro dalle piene del torrente Buthier.

    Secondo la tradizione, Aosta è stata fondata da Cordelo, capo dei salassi, discendente di Saturno e compagno di avventura di Ercole. Secondo gli archeologi il primo insediamento in riva alla Dora è stato creato da genti di cultura megalitica. Ricordano i salassi una necropoli, e un’area di culto nella zona di Saint-Martin-de-Corléans.

    Roma rivolse la sua attenzione alle Alpi dopo la seconda guerra punica, perché i galli, alleati dei cartaginesi, restavano una minaccia. Nel I secolo a.C., la conquista delle Gallie accrebbe l’importanza dei valichi dell’Alpis Graia e del Summus Poeninus, gli odierni Piccolo e Gran San Bernardo. Nel 25 a.C., Augusto inviò in Valle d’Aosta un esercito al comando di Aulo Terenzio Varrone Murena. I salassi furono massacrati. Al bivio delle strade per i valichi venne fondata Augusta Prætoria Salassorum.

    Le sue mura, alte fino a sei metri e mezzo, erano costruite con ciottoli di fiume e malta, e scandite da venti torri a due piani. Il decumano massimo, che coincide con le attuali vie Porta Prætoria, Jean-Baptiste de Tillier ed Édouard Aubert, era in asse con la via consolare delle Gallie, diretta al Piccolo San Bernardo.

    Una passeggiata nel centro storico di Aosta porta al cospetto dei monumenti antichi. Sulla spianata del foro restano la base di un tempio, il Criptoportico forense e la monumentale facciata del teatro, alta 22 metri. L’anfiteatro, nell’angolo nordorientale delle mura, poteva ospitare circa 15.000 spettatori, più della popolazione cittadina.

    Fuori dalle mura si scoprono il Ponte di Pietra, o Pont de Pierre, con un arco di 17 metri, che permetteva alla via consolare di scavalcare il Buthier, e la necropoli, sulla via del Piccolo San Bernardo, con sepolture a pozzetto, a cappuccina, a piccola camera e a inumazione.

    A caratterizzare il paesaggio urbano di Aosta, e a raccontare la sua evoluzione, sono però le porte e le torri. Tra le case compaiono la Torre del Balivo, rimaneggiata nel XII secolo e più tardi adibita a tribunale e a prigione, e la Tour du Fromage, a tre piani, che oggi ospita delle mostre d’arte.

    La Torre di Bramafam, l’antica Porta Principalis Dextera, venne trasformata in fortezza dagli Challant, proprietari dei più bei castelli della Vallée. La Torre del Lebbroso ha ospitato tra il 1773 e il 1803 il lebbroso Pietro Bernardo Guasco, protagonista del romanzo Le lépreux de la cité d’Aoste di Xavier de Maistre. La Tourneuve, oggi cilindrica, fu costruita nel Duecento sul basamento di una torre romana.

    Cuore di Aosta è però la Porta Prætoria, del 25 a.C. Molto ben conservata, è formata da due serie di archi che racchiudono uno slargo. Nell’arco centrale, alto sette metri, passavano i carri, nei due più piccoli i pedoni. Nel Medioevo, sopra all’arco centrale, fu costruita una cappella. Più in basso, come rivelano le pietre scurite dal fumo, era un forno per il pane. I segni della fede, della vita quotidiana e della guerra raccontano duemila anni di storia.

    Museo Archeologico Regionale 0165.31572

    Ufficio Turistico Aosta 0165.236627

    www.regione.vda.it/turismo

       2.

    GRAN SAN BERNARDO, NEL NOME DI GIOVE PENNINO

    Uno dei valichi più ricchi di storia delle Alpi si apre nel cuore della parte più elevata della catena. È stato proprio il Gran San Bernardo, l’Alpis Poenina dei romani, a dare il nome al tratto di Alpi che include il monte Rosa e il Cervino. Oggi, dopo secoli di onorato servizio, i grandi cani capaci di salvare i viandanti nelle tormente sono ridotti a richiamo per turisti. In estate vivono in un canile sul Passo, d’inverno scendono a Martigny, sul versante svizzero. Anche la Morgue, macabra attrazione per i viaggiatori dei secoli scorsi, è stata murata dai monaci dell’Ospizio.

    Tutto il resto c’è ancora. Le «terribili montagne bordate da rocce spezzate», di cui ha scritto Charles Dickens nel 1846, si specchiano ancora nel lago che occupa il pianoro del colle. Il «bastione di picchi tagliati con l’ascia», raccontato da Samivel, continua a fare da sfondo all’Ospizio. Dal Passo il monte Bianco e il monte Rosa non si vedono. Sul versante svizzero, però, si alzano i 4319 metri del Grand Combin.

    Pochi luoghi delle Alpi sono altrettanto ricchi di storia. Bastano cento metri a piedi, dall’albergo nei pressi della dogana italiana, per raggiungere il basamento (11 metri per 7) e i pochi resti del Tempio di Giove Pennino, raso al suolo nel 576 dai longobardi e riportato alla luce nel 1988. Nei pressi erano altri edifici, probabilmente dei rifugi (mansiones). Poco più in basso, sul versante italiano, è un breve tratto di strada romana scavata nella viva roccia.

    Nel sito, insieme alle offerte lasciate da soldati e mercanti arrivati fin quassù dall’Urbe, sono stati ritrovati monete ed ex voto deposti dai salassi. Prima dell’edificio di culto romano, quindi, qui esisteva un tempio celtico dedicato al dio Penn. In tutto, tra il 1760 e il 1893, sono state ritrovate quassù 492 monete galliche, 1625 romane e 22 medievali.

    Utilissimo per Roma antica (offriva la strada più rapida verso Ginevra, la Gallia centrale, la Manica e quindi la Britannia), il Gran San Bernardo ha iniziato a cambiare volto sotto Augusto. Anche se vari eserciti dell’Urbe erano già passati da qui, il Tempio di Giove è stato inaugurato nel 12 a.C. La strada romana, che includeva dei tratti scavati nella roccia, è arrivata una sessantina di anni dopo, sotto l’imperatore Claudio.

    Nei secoli successivi, la storia del Gran San Bernardo è proseguita. Se l’Ospizio attuale risale all’Ottocento, esso ingloba al suo interno dei muri costruiti poco dopo il Mille. Risale al 1273 il primo documento che riconosce i doveri e i privilegi dei marroniers, coloro che accompagnavano i viaggiatori sul Passo. Nel 1627, il loro posto venne preso dai soldats de la neige. Nel maggio del 1800 passò per il Gran San Bernardo Napoleone, diretto alle sue vittorie in Italia e accompagnato da 45.000 soldati.

    Oggi il Traforo del Gran San Bernardo attira il traffico pesante, e la vecchia strada asfaltata, aperta da maggio a fine ottobre, offre un itinerario di grande fascino. L’itinerario a piedi da Bourg-St-Pierre, sul versante svizzero, a St-Rhémy su quello italiano, viene seguito sempre più spesso anche perché fa parte della via Francigena medievale. Salire a piedi al Gran San Bernardo e sostare sul valico prima dell’arrivo delle auto dei turisti consente di riscoprire le atmosfere del passato.

    Ospizio del Gran San Bernardo 0041.27.7871236

    www.gsbernard.ch

       3.

    DONNAZ, LA STRADA NELLA ROCCIA

    Quanti piedi, e quanti zoccoli di cavalli e di muli, ha visto passare Donnaz? Generali romani diretti verso le Gallie. L’arcivescovo Sigerico in marcia da Canterbury a San Pietro lungo la via Francigena. I generali settecenteschi dei Savoia pronti a fermare i francesi al Col du Mont. Napoleone in marcia verso i campi di battaglia italiani. Vittorio Emanuele II diretto alle sue postazioni di caccia sul Gran Paradiso.

    Insieme a loro, per secoli, sono passati migliaia e migliaia di pellegrini, soldati e viandanti, impegnati in un viaggio di qualche ora o di mesi. Da una parte, oltre i valichi alpini, la Francia, la Svizzera, la lontana Inghilterra. Dall’altra la pianura padana, Roma e Firenze, i mercati e le bellezze dell’Italia. In un senso i turisti, nell’altro i valdostani in cerca di lavoro in pianura. Innamorati dei monti e gente che alla povertà montanara cercava di sfuggire emigrando.

    Gli alpinisti dell’Ottocento amavano raggiungere la Vallée dall’alto, traversando il Teodulo o i valichi tra Gressoney e la Valsesia. È invece passato da qui William Brockedon, pittore e amico di Cavour, che nel 1824 annotò che «la parte più bella della valle è sotto Aosta. Essa abbonda di castelli pittoreschi, molti dei quali sono costruiti sulla roccia, accessibili solo con grande difficoltà, e circondati da boschi».

    Donnaz, accanto alla strada che sale da Ivrea verso Aosta, conserva parte delle mura medievali, vecchie case in pietra e legno con affreschi, portali gotici. Fuori dall’abitato, a pochi passi dalla statale moderna (oltre la quale sono la ferrovia e l’autostrada) compare un tratto della Strada delle Gallie romana, scavata nella roccia e sormontata da un arco.

    Donnaz, come altri centri della Vallée, ha visto le battaglie tra le legioni di Roma e i salassi, per il controllo dei valichi – l’Alpis Graia e l’Alpis Poenina, oggi il Piccolo e il Gran San Bernardo, come già detto – che permettono di passare dall’Italia verso la Svizzera e la Francia. Dopo la conquista, per facilitare il transito alle legioni e ai mercanti, fu costruita la Strada delle Gallie. Mentre la strada per Eporedia, l’odierna Ivrea, era già ultimata a metà del II secolo a.C., la prosecuzione per Aosta e i valichi fu completata solo dopo la sottomissione dei salassi.

    Per limitare i rischi in caso di piene della Dora Baltea, la strada correva per lunghi tratti a mezza costa. A Donnaz, dove la valle si restringe e la strada si avvicina al fiume, il tracciato è stato intagliato per 221 metri nella roccia, e arricchito con un arco che celebra la complessità dell’opera. Secondo l’architetto, archeologo e scrittore Carlo Promis, la costruzione della strada ebbe inizio subito dopo la conquista, per concludersi nel 120 a.C. Altri archeologi sostengono che il lavoro sia avvenuto più tardi.

    L’arco, realizzato fra il 31 e il 25 a.C., è alto quattro metri, spesso altrettanto, e ha una luce di tre metri. Nella roccia è stato intagliato anche un miliario, con l’indicazione di XXXVI miglia da Augusta Praetoria, l’odierna Aosta.

    Sotto l’imperatore Augusto, dopo la conquista romana della Vallée, la via, completamente lastricata, poteva essere percorsa dai carri. Sul percorso vennero eretti diciassette ponti, tra i quali spicca il Ponte del Diavolo della vicina Pont-Saint-Martin. I borghi diventarono sedi di fiere e mercati, punti di controllo per l’esazione di pedaggi e gabelle, dotati di ospizi, osterie e stazioni di posta.

    Non si offendano il Colosseo, l’Arena di Verona o Pompei, ma la strada nella roccia di Donnaz, per chi scrive, è uno dei luoghi più affascinanti dell’Italia antica. Non un teatro, un tempio, una residenza imperiale fastosa. Piuttosto il segno di una presenza quotidiana dell’uomo, dell’andirivieni di migliaia di formichine operose. La storia degli umili, per una volta, prende il posto di quella dei potenti.

    APT Porta della Vallée, Pont Saint Martin 0125.804843

    www.laportadellavallee.com

    Donnaz, il tratto più spettacolare della Strada delle Gallie

       4.

    SUSA, LA PORTA D’ITALIA

    I tir che viaggiano verso la Francia come gli sciatori che corrono verso Bardonecchia e il Sestrière non se ne accorgono neppure. Ma Susa, storica cittadina delle montagne piemontesi, ospita uno dei monumenti antichi più eleganti delle Alpi. Si tratta dell’Arco di Augusto, costruito tra il 9 e l’8 a.C. per celebrare l’alleanza (foedus) tra Roma e le popolazioni locali. A dedicarlo all’imperatore fu Marco Giulio Cozio, prefetto dei quattordici popoli che vivevano nel regno dei Cozii.

    Susa, l’antica Segusium, sorge accanto alla Dora Riparia, al bivio tra le vie per i valichi del Moncenisio e del Monginevro. Importante centro dei celti già nel VI secolo a.C., entrata nei possedimenti di Roma al tempo di Augusto, la città continuò a fiorire nei secoli dell’impero.

    Dopo secoli di decadenza, si riprese nell’VIII secolo sotto i franchi. Nel 906 fu occupata dai saraceni, cacciati cinquant’anni dopo da Arduino Glabrione, signore di Torino. Nel 1047 la sua discendente Adelaide portò in dote Susa a Oddone di Savoia. Nel 1174 Federico Barbarossa incendiò la città, risparmiando solo il castello e le chiese. Da allora, salvo due periodi sotto la Francia (dal 1536 al 1559 e dal 1796 al 1814), la città rimase ai Savoia, dei quali seguì i destini fino all’Unità d’Italia.

    L’Arco di Augusto, il monumento più famoso, sorge sull’antica strada per la Gallia, accanto alle rovine del Castrum, il fortilizio che ospitava la sede del comando romano. Sorveglia l’abitato il Rocciamelone, 3588 metri, considerato a lungo sacro.

    L’arco è in marmo bianco di Foresto, un paese a valle di Susa. Dei fori testimoniano dell’asportazione delle graffe di ferro che univano i grossi blocchi di pietra. La sua semplicità e la sua eleganza hanno fatto pensare che il suo progettista, quasi certamente locale, conoscesse le regole di Vitruvio, il grande architetto della Roma augustea.

    Sono stati artisti della valle a realizzare il fregio che decora l’arco, dedicato alle cerimonie che accompagnarono la firma del patto tra Cozio e Augusto. Sul lato settentrionale, rivolto al Rocciamelone, compare il sacrificio di un suino, di un ariete e di un toro.

    Al centro è un altare, a sinistra una figura velata nella quale è stato riconosciuto il re Cozio. A destra compaiono fanti, cavalieri e un magistrato romano. Sul lato rivolto verso il Monginevro due personaggi mostrano la pergamena con i patti. Sul lato orientale si intravede qualche figura umana. Sul lato rivolto a sud un altro sacrificio di animali.

    Ma a Susa non c’è solo l’arco. L’area dell’antico foro è stata sistemata a formare il Parco di Augusto. Vi si trova una statua dell’imperatore, copia dell’Augusto di Prima Porta, il cui originale è nei Musei Vaticani. Da qui si saliva verso il Castrum, la cittadella, traversando la Porta del Castello, affiancata da torri cilindriche e sormontata da un arco.

    Le mura di Susa, alte da quattro a sei metri, sono state costruite tra il III e il IV secolo d.C., come difesa dalle invasioni barbariche in arrivo. Nella loro demolizione sono tornati alla luce iscrizioni, pietre miliari e frammenti di sculture. Le torri superstiti più imponenti sono quelle della Porta Savoia, accanto alla cattedrale.

    A poca distanza dall’Arco di Augusto sorgono altri due archi, che nel Medioevo sono stati inglobati nelle mura. L’anfiteatro è stato costruito nei secoli II e III d.C. Nelle rocce dell’Acropoli sono scolpite centinaia di coppelle, incisioni utilizzate nelle cerimonie religiose dei celti. Al tempo di Augusto, Susa aveva già una lunga storia alle spalle.

    Museo Diocesano, Susa 0122.622640

    www.centroculturalediocesano.it

       5.

    TORINO, TORRI ROMANE IN VISTA DEL MONVISO

    Nessun’altra gran città italiana ha una pianta regolare come Torino, il capoluogo del Piemonte che è stato la prima capitale d’Italia. La pianta ortogonale delle strade del centro ricalca quella della prima urbs romana. È un rettangolo fortificato di circa 700 metri di lato, le cui mura seguivano le odierne vie Giardini Reali, Accademia delle Scienze, Siccardi, Consolata, Santa Teresa e Cernaia.

    Nessuno ci ha raccontato la fondazione della città, avvenuta nel 28 o nel 27 a.C. con il nome di Julia Augusta Taurinorum. L’imperatore Augusto, con quel nome, voleva ricordare il suo ruolo e quello del padre adottivo Giulio Cesare, che lì aveva piazzato un campo militare. Il terzo riferimento, destinato a rimanere nel tempo, era ai taurini, un popolo che ha lasciato poche tracce di sé.

    A renderli famosi fu la decisione, presa quando Annibale invase l’Italia nel 218 a.C., di restare alleati di Roma, cercando di sbarrare il passo ai cartaginesi. Ma Taurasia, la loro capitale, riuscì a resistere solo per tre giorni. Occupata la pianura piemontese, i romani fondarono nel 100 a.C. Eporedia, l’attuale Ivrea. Nel 58, durante la campagna di Gallia, Giulio Cesare fece erigere un castrum nel sito della Torino attuale.

    Julia Augusta Taurinorum ebbe la sua struttura definitiva nel I secolo d.C., con la costruzione delle mura che potevano essere attraversate tramite quattro porte. Il decumano massimo, che collegava la Porta Praetoria con la Porta Decumana sul tracciato dell’attuale via Garibaldi.

    Nei secoli dell’impero romano, Torino restò una città di provincia. Fu devastata da un incendio nel 69 d.C., minacciata dai marcomanni nel 240, mentre nel 312 l’esercito di Costantino vi sconfisse quello di Massenzio in una battaglia combattuta tra la città e l’odierna Rivoli.

    Nei due secoli successivi, Augusta Taurinorum vide l’insediamento di contingenti militari di origine barbara posti a guardia dei confini come i dalmati divitensi, i sarmati e forse anche gli alamanni. La prima epigrafe cristiana risale al 341. Prima della caduta dell’impero d’Occidente la città ospitò un concilio (nel 398), ed ebbe per vescovo Massimo II. Molti monumenti antichi furono cancellati dagli architetti Ascanio Vitozzi e Filippo Juvarra, che ridisegnarono la città sotto i Savoia.

    Oggi il monumento simbolo della Torino romana è la Porta Palatina, in piazza Cesare Augusto, che sorveglia la città con le sue torri alte una trentina di metri. Tra la cattedrale e il Palazzo Reale compare una parte del teatro romano, che aveva un diametro di 120 metri, mentre il resto è stato inglobato nei sotterranei di Palazzo Reale. Come altri teatri posti in regioni fredde, quello di Torino era coperto.

    Ma il rapporto di Torino con l’antichità non passa solo attraverso i monumenti romani. Il Museo Egizio della città, fondato nel 1760 e via via ampliato con nuove collezioni, è uno dei più importanti del mondo.

    Al suo interno emozionano una statua di Ramses II, la Tomba dei coniugi Kha e Mirita proveniente da Deir el Medina e la cosiddetta mensa isiaca, un altare del I secolo d.C. destinato a un Tempio di Iside. Di grande fascino anche il Tempio di Ellesija, del 1450 a.C., donato dall’Egitto all’Italia dopo la nostra partecipazione al salvataggio del Tempio di Abu Simbel. Nella città fondata da Giulio Cesare c’è spazio anche per i faraoni.

    Turismo Torino e Provincia 011.535181

    www.turismotorino.org

    Museo Egizio, Torino 011.5617776

    www.museoegizio.it

       6.

    ALBA, MONUMENTI ROMANI TRA LE VIGNE

    Alba, porta delle colline delle Langhe, deve la sua fama moderna ai vigneti. Settant’anni fa questi luoghi oggi tranquilli hanno visto durissimi scontri tra le formazioni partigiane e i reparti della Wehrmacht e della Repubblica di Salò, di cui hanno raccontato

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