o Sguardo Maschile è stato uno spettro nella mia vita, il discorso inquietante attorno alle mie immagini preferite nella storia dell’arte. Mi sono spesso domandata come uccidere quel fantasma che aleggia persistente, una forza onnipresente che mi implora di chiedere: lo Sguardo Maschile è nella stanza con noi in questo momento? Durante un seminario sugli impressionisti al Pratt Institute nel 2013, io e uno sciame di studenti d’arte in hungover siamo stati introdotti a The Male Gaze (TMG), in italiano Lo Sguardo Maschile. Il proiettore mostrava il “capolavoro finale” di Édouard Manet, “Il bar delle Folies-Bergère”, in cui una donna pesantemente vestita guarda senza entusiasmo e leggermente annoiata mentre serve al bar. Noi, il pubblico, siamo dall’altra parte del bancone, la capiamo. A dire la verità, è molto hot. Alle sue spalle c’è un grande specchio e nel suo riflesso, presumibilmente, vediamo chi sta guardando: una folla alla moda di frequentatori da bar. A un ulteriore esame, vediamo il riflesso di un uomo coi baffi ficcato in un angolo, a cui la nostra barista si sta presumibilmente rivolgendo. All’opposto della protagonista, quest’uomo è decisamente prosaico. È ordinario. E sebbene di primo acchito si possa non notarlo, è il punto di vista di quest’uomo il punto di riferimento del nostro seminario. La
EULOGY for the MALE GAZE
Nov 24, 2022
7 minuti
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