Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Le vie del peccato
Le vie del peccato
Le vie del peccato
E-book184 pagine2 ore

Le vie del peccato

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Letteratura - racconti (141 pagine) - Una mano spietata e mai giudicante spalanca le porte delle case italiane di inizio Novecento per mostrare come la virtù, intesa in senso cattolico-borghese, sia solo una risibile fandonia. Tutti (ma proprio tutti!) sono moralmente riprovevoli, quindi, di conseguenza, nessuno lo è veramente. Forse…


Sedici racconti volti a catalogare i diversi modi di tradire (e di essere traditi). Una sorta di compendio delle scappatelle matrimoniali, raccontato con brio e ironia. Non aspettatevi sferzate moraleggianti. Nessuno, infatti, se lo può permettere, perché il messaggio lanciato da Ojetti in queste frizzanti e agili prose è molto chiaro: in ognuno di noi vive un Casanova, o se preferite un Don Giovanni, coi pantaloni o in gonnella, che aspetta solo il momento opportuno per emergere. Il mondo non si divide in fedifraghi e onesti, anzi questa dicotomia da lezione di catechismo si frantuma nei mille profili dell’infedeltà, facce di un prisma che riflette il buio di ogni anima. Raccontami come (non se) tradisci e ti dirò chi sei. E una volta conclusa la lettura del volume, pensare che esista la fedeltà sembrerà come credere a Babbo Natale, alla Befana e pure al topolino dei denti.


Ugo Ojetti (Roma, 15 luglio 1871 – Fiesole, 1 gennaio 1946), giornalista e critico d’arte, scrisse per lunghi anni sul Corriere della Sera (di cui fu direttore dal 1926 al 1927). Instancabile organizzatore di mostre, fondatore di riviste e ideatore di collane di successo (tra le quali I classici Rizzoli), si distinse come “organizzatore culturale” anche durante la Grande Guerra, alla quale partecipò come volontario. Durante gli anni di conflitto gli fu affidato dal Comando Supremo il delicato compito di tutelare oggetti d’arte e monumenti nelle zone di guerra. Fu membro del consiglio direttivo dell’Enciclopedia Italiana (nonché direttore della sezione Arte fino al 1929) e accademico d’Italia a partire dal 1930. Oltre ai numerosissimi scritti d’argomento artistico, si possono ricordare alcuni romanzi, Il gioco dell’amore (1899), Mio figlio ferroviere (1922), un’opera teatrale, Un garofano (1902), e alcune raccolte di racconti, tra le quali spicca Le vie del peccato (1902).

LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2023
ISBN9788825423136
Le vie del peccato

Correlato a Le vie del peccato

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Recensioni su Le vie del peccato

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Le vie del peccato - Ugo Ojetti

    Introduzione

    Milena Contini

    E il tuo tradir sul tradir d’altri imperni.

    Vittorio Alfieri, Satire, 1777-1798

    La luxure, conçue en dehors de tout concept moral et comme élément essentiel du dynamisme de la vie, est une force.

    Valentine de Saint-Point, Manifeste futuriste de la luxure, 1912

    Qualche tempo fa, tornando in automobile da una gita fuori porta, fui attirata da un gigantesco cartellone pubblicitario in cui si reclamizzava una app per incontri extraconiugali. Ebbi il tempo di godermela per bene perché, ovviamente, eravamo in coda: l’annuncio invitava mariti e mogli (soprattutto mogli) a far fesso il partner servendosi di questo geniale mezzo tecnologico. Il mio commento fu: "Come se alla specie Homo sapiens fosse mai servito un algoritmo per metter le corna! e sono sicura che se Ugo Ojetti avesse occupato il sedile alla mia sinistra mi avrebbe schiacciato un cinque (senza rischiare un incidente, visto che la coda, nel frattempo, si era trasformata in un inamovibile ingorgo). Tutti i personaggi di questa frizzante raccolta dal titolo inequivocabile hanno infatti superato il Rubicone della decenza e qualcuno, temerario, ha deciso addirittura di spingersi oltre le colonne d’Ercole, veleggiando, anche solo con la fantasia, nel mare aperto della lussuria sfrenata: Sognava orge e peccati strani, abbominevoli in confronto al metodico amore casalingo dopo il pranzo e prima del sonno".

    Le vie del peccato (1902) non è quindi una selezione di ‘racconti misti’ – in cui si accorpano varie produzioni brevi dell’autore sotto un titolo solitamente derivato da una delle narrazioni comprese nel pacchetto – ma è una raccolta di novelle legate da un filo rosso, con tanto di titolo originale che avverte subito il lettore in merito alla tematica trattata. L’opera potrebbe quasi essere interpretata come un trattato filosofico sull’infedeltà o come un romanzo in cui il protagonista è appunto la prosopopea del tradimento, ma non si tratta di un romanzo (anche se questa errata informazione si trova ripetuta in certi siti da evitare, se si è a caccia di notizie affidabili). Il frontespizio, invece, potrebbe recare come sottotitolo Astenersi benpensanti, o forse no, perché i benpensanti avrebbero la possibilità di trarre giovamento più di altri da queste pagine, riuscendo così finalmente a mangiare, in un bel panino, il prosciutto che copre i loro occhi.

    Salumi a parte, la lettura di questi scritti, risulta alquanto golosa, non solo per le storie in sé, ma per il modo in cui sono raccontate. E non sto parlando solo dello stile (piacevolissimo e sul quale torneremo più avanti), ma per la sfrontatezza con cui certe tresche vengono narrate. In alcuni passaggi, infatti, le vicende di mogli cerviformi o di mariti sbertucciati sono raccontate come se si descrivesse una placida merenda in campagna in un tiepido pomeriggio di settembre. È il senso di sconcertante normalità che trasuda da queste pagine a lasciarci con la bocca aperta. Ojetti, infatti, come nel suo precedente racconto lungo L’onesta viltà (1897), non veste i panni né del fustigatore di costumi, che con il suo scudiscio sferza bruscamente i cattivi costumi del proprio tempo, né dell’uomo di mondo, che si diverte a sbirciare dal buco della serratura i segretucci delle famiglie italiane, ma racconta le dinamiche sentimental-sessuali del suo tempo come se descrivesse qualunque altro fenomeno di costume. Forse la sua formazione di critico dell’arte, allenato a osservare luci e ombre, lo ha aiutato in questa operazione di censimento scanzonato delle immonde crepe che corrono sulle convezioni sociali della Belle époque, più volte da noi ribattezzata Mauvaise époque.

    Ciò che l’autore fotografa in questi racconti travalica, però, il periodo in cui sono stati scritti, perché i concetti filtrati attraverso le varie vicende peccaminose si adattano alla perfezione anche alla contemporaneità (quantomeno alla contemporaneità del mondo occidentale). Gli aneddoti che snocciola Ojetti potrebbero essere uguali a quelli che si raccontano oggi, tra un risolino d’intesa e l’altro, due amiche sul tapis roulant in palestra o tre signori di mezza età durante l’aperitivo domenicale nel bar davanti alla chiesa. Non è cambiato nulla. Hic et nunc vale lo stesso adagio, ripetuto con sapiente variatio, in tutti i racconti della raccolta: tradire è così facile, sforzarsi di non farlo terribilmente faticoso (e noioso), incistarsi nel rifiutare gli assalti amorosi dei/delle pretendenti puerile e, alla lunga, quasi sciocco. Alla faccia delle frasi da biglietto di san Valentino sull’amore eterno, il nostro narratore si mostra stupefatto se due coniugi provano ancora un barlume di sentimento dopo 3 (sì 3, non 30) anni di matrimonio. Un vero spasso. Ciò che caratterizza tutti i personaggi della raccolta è, inoltre, l’incapacità di sottrarsi al conformismo: nessuno segue sul serio le rigide nonché tediosissime norme comportamentali imposte dalla morale, ma parimenti nessuno, nemmeno i peggiori collezionisti di avventure, è capace di bruciare quelle norme sulla pubblica piazza, dichiarandosi apertamente un outsider. Ciascun personaggio, quindi, non può far altro che consumare le proprie grandi o piccole trasgressioni nell’ombra. Se Diogene di Sinope si aggirasse tra le pagine di questo libro con la sua celebre lanterna non troverebbe nemmeno un Uomo con la u maiuscola, ovvero un uomo legato allo stato di natura, ma solo servi delle apparenze. Lui, Diogene dico, si racconta vivesse in una botte e facesse i propri bisogni in pubblico, loro, i personaggi del nostro libro, hanno materassi che fortunatamente non possono parlare e non fanno che celarsi dietro ipocriti paraventi per salvare quantomeno la forma.

    Nessuna categoria è davvero lasciata in disparte, come a dire che l’immoralità è un’epidemia che non fa prigionieri e contagia tanto i nobili, quanto i borghesi, tanto i poveri quanto i ricchi, tanto gli atei quanto i religiosi. Un prete è per l’appunto forse la figura più laida della raccolta, vittima dei suoi stessi impulsi a lungo repressi e desideroso di allungare le sue sudicie mani sulla malcapitata di turno (Intanto questa aveva posato il bicchiere, s’era aperta il corpetto e si frugava nel petto per cercare i danari. Don Paolo dall’alto guardava, e quando la donna finalmente ebbe trovati i tre biglietti e glieli ebbe offerti con una mano, senza guardarlo, mentre con l’altra si riabbottonava il vestito, egli li prese e mormorò con un po’ di affanno: – Come sono caldi!) che, però, non muove nemmeno un briciolo di compassione, dimostrandosi disposta a vendersi al prevosto pur di ottenere un misero sconto sulle messe per il marito deceduto. Di vera e propria vittima, del resto, non se ne trova nemmeno una ne Le vie del peccato e, di conseguenza, anche gli ipotetici carnefici perdono l’allure mefistofelica riducendosi al limite a squallidi profittatori. Tra una narrazione piccante e l’altra trova spazio anche una non scontata riflessione sullo scarto tra ciò che siamo e come gli altri ci rappresentano, tema che verrà sviscerato da Pirandello anni dopo. La protagonista de La colpa degli altri, ad esempio, decide di ‘farsi l’amante’ per colmare il gap tra la sua irreprensibilità e la sua pessima reputazione: Io, così, ho peccato per volontà mia, risolutamente sapendo quel che volevo, spinta non da un desiderio di amore, ma da un desiderio di equilibrio tra la mia fama così cattiva e la mia vita così onesta.

    E veniamo ora, come promesso, allo stile: Ojetti si conferma un maestro della penna, un vero signore della parola, regalando momenti lirici senza arrestare il flusso della narrazione e sapendosi soffermare su particolari capaci di conferire sapore letterario a prose d’argomento osé. Riesce a insinuarsi nei pensieri dei suoi personaggi, senza però mai svelare troppo e a descrivere in modo emozionante tanto i dettagli (Aveva una voce calda e lenta, appena appena nasale, con certi punteggiamenti d’energia su le prime sillabe delle parole sdrucciole che compensavano l’immobilità delle mani e degli occhi; Anch’io fissai la luna e le lanciai contro ritmicamente il fumo della mia sigaretta perché anche questo gioco d’illusione piace all’uomo, di velar le bellezze con un poco di fumo per goderle meglio quando tornano chiare), quanto gli spazi smisurati (A torno a torno tutti gli Appennini, fino a mezzo costa, avevano i muscoli disegnati da linee di neve resistente al sole giù per tutti i seni, giù per tutti gli anfratti rocciosi … Tutta la valle aveva un aspetto di semplicità e di sincerità come la nudità di una giovanissima donna). Una scelta semantica essenziale, una sintassi misuratissima, senza strepiti né clamori, che denunciano l’inclinazione giornalistica e critica dell’autore, abituato a non dire troppo e nemmeno troppo poco.

    Abbiamo iniziato questa chiacchierata introduttiva facendo riferimento alla nostra specie, l’homo sapiens (quella ‘nata’ nel periodo del Pleistocene in Africa, tanto per intenderci), additandola come geneticamente incline al tradimento, ma non dobbiamo sentirci soli nel mondo animale del quale facciamo parte. Grazie a un documentario, infatti, ho scoperto che nelle comunità di quelli che vengono volgarmente chiamati pinguini Imperatore (in quanto i simpatici uccelli non volatori bianchi e neri dell’emisfero australe dovrebbero essere chiamati sfeniscidi, visto che i legittimi titolari del nome pinguino, Pinguinus impennis, vivevano nell’emisfero boreale e si sono estinti nel 1844…), il tradimento è all’ordine del giorno: le pinguine impegnate non disdegnano sollazzarsi in compagnia di giovani esemplari ancora single e, viceversa, i ‘mariti’, quando vanno a procacciarsi il cibo nelle gelide acque antartiche, si concedono qualche birichinata con amanti assortite già accoppiate con altri… Risultato: i ricercatori, confrontando il DNA dei pulcini con quello dei presunti genitori (quelli che covano l’uovo e nutrono il pargolo), hanno scoperto che il 30% non era figlio del padre ‘legittimo’… nemmeno il freddo, quindi, è capace di spegnere i bollenti spiriti! Ojetti non era un naturalista, ma l’insopprimibile pulsione animale che si annida sotto l’input fedifrago, spesso falsamente ammantato di sentimentalismo, l’aveva compresa benissimo lo stesso. Del resto, se fossero nati figli solo da unioni legittime, non potremmo ammirare la Gioconda

    Sull’Oceano, sotto la luna

    A W. Steed.

    – Gl’italiani sono troppo scettici. Non so perchè le nostre amiche, quando ci imbarchiamo per l’Europa, ci ripetano con tanta ostinazione che voi italiani siete pericolosi perchè siete troppo appassionati.

    Questa definizione era data con molta flemma sul ponte del Kaiser Wilhelm a non so più che grado di latitudine e di longitudine, una sera del settembre scorso, da una piccola americana che aveva freddo e che sdraiata su la lunga sedia di vimini, fasciata da una coperta gialletta soppannata di turchino, col cappuccio della cappa sui capelli biondi, con le braccia conserte sotto la cappa chiusa, parlava fissando la luna. Aveva una voce calda e lenta, appena appena nasale, con certi punteggiamenti d’energia su le prime sillabe delle parole sdrucciole che compensavano l’immobilità delle mani e degli occhi. Io però conoscevo bene le sue mani e i suoi occhi perchè glieli avevo già baciati qualche volta nell’ozio dei quattro giorni d’oceano, dopo aver salpato dallo scalo di Oboken. Le mani erano piccole ed esangui, gli occhi erano grandi e cilestri. E le labbra? Le labbra erano esili e rosee, e, a vederle, crudeli.

    – È stupido l’amore con gli scettici. Non si riesce a farli soffrire.

    La luna faceva un gran tremare su la quieta acqua infinita e nel cielo spegneva quasi tutte le stelle.

    – Ma quanti italiani avete conosciuti, per sentenziare così? – domandai io con prudenza.

    – Quanti bastano – mi rispose la bionda, invisibile immobile sibillina.

    Anch’io fissai la luna e le lanciai contro ritmicamente il fumo della mia sigaretta perchè anche questo gioco d’illusione piace all’uomo – di velar le bellezze con un poco di fumo per goderle meglio quando tornano chiare.

    Fritz, il deck-stewart, passò presso la fila delle sedie lunghe delle quali molte erano già vuote, a mostrarci un pesce volante preso dagli emigranti sotto il castello di prua, sventrato, impagliato e inchiodato a pinne aperte sopra una tavoletta bianca. Miss Ellyn non si mosse. Lo stewart chiuse le lampadine elettriche, una sì, una no. Nella sala del pianoforte qualcuno – forse la figliola minore della messicana coi capelli tinti – tormentava la Serenata di Schubert.

    Poco dopo la luna toccò la linea dell’orizzonte. La via d’argento si spalancò a ventaglio. Per cinque minuti fu tutto un fremere di piccole onde a miriadi, e noi navigammo in un mare di luce candida. Poi il mare divenne nero; le stelle, senza l’emula, tornarono a splendere.

    E Miss Ellyn riaprì bocca:

    – Voi non mi volete dar ragione solo perchè temete che io creda scettico anche voi. Ma di voi, non m’importa se siate scettico o no.

    Viaggiando in America o vivendo con donne americane, non bisogna adombrarsi a certe crudezze. Tant’è vero che, avendo io insinuato una mano sotto la coperta e sotto la cappa per prender la sua, ella me la lasciò accarezzare, placidamente.

    – Vi dirò una mia esperienza italiana, e giudicherete. Voi sapete che questa è la quinta volta che «passo il fosso», cioè questa sarà la mia terza visita all’Italia. La prima volta avevo diciannove anni. A Roma mia madre ed io prendemmo un piccolo appartamento alle Quattro Fontane. L’inverno era una primavera, e avevamo una terrazza che da un lato guardava la villa Barberini e dall’altro, oltre certi orribili muraglioni gialli, i giardini del Quirinale. Io suonavo il pianoforte. Per far pratica, da non so più quale amica mi fu presentato un giovane pianista meridionale, che aveva due grandi occhi neri e una ondulata capellatura precocemente grigia. Suonava bene e mi piacque. Un giorno mi portò un mazzo di violette

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1