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I CAPPERI DI PANTELLERIA

’isola di Pantelleria e la sua città sono state chiamate in vari modi dalle popolazioni che vi hanno stabilito dimora: era , isola degli struzzi o “uccelli starnazzanti” per i Fenici; terra del ramo di mirto per i Greci; l’isola dei figli, , per i Romani; , la figlia del Vento per gli Arabi. Il nome attuale deriva probabilmente dalla fiorente attività di produzione di vasellame che la caratterizzava in età tardo antica: la (“terra produttrice di piatti”) dei Greci-Bizantini nel V secolo d.C., diventa cinquecento anni, nelle carte nautiche pisane e infine si evolve nella forma di , negli archivi della Cancelleria Angioina del 1250-1300. Ognuno di questi nomi testimonia una sfaccettatura di questa terra remota, che affascina per le sue spiagge selvagge e il suo incantevole mare. Ma visitare Pantelleria è molto di più: significa viaggiare tra culture e mondi lontanissimi tra loro. Si può cominciare dal Castello normanno di Pantelleria detto anche Castello Barbacane che accoglie i visitatori sovrastando il vecchio porto. Una buona parte dell’edificio (costituito da un nucleo centrale, due bastioni, un cortile e la torre di San Barnabà) è visitabile. Imperdibili le vecchie segrete del castello e il bastione di sud-ovest, da cui si può godere del panorama sul porto. Si pensa che questa imponente struttura in pietra lavica sorga su delle fortificazioni bizantine, risalenti addirittura al VI secolo, ma il castello che ammiriamo oggi è stato edificato nel XIII secolo durante la dominazione normanna e nel corso del ’900 e ha ricoperto diverse funzioni: sede della Marina e delle milizie fasciste fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, carcere fino al 1975 e, infine, luogo di cultura e sede del Museo archeologico di Pantelleria. Gli appassionati di antichità troveranno pane per i loro denti nel suggestivo luogo da cui proviene gran parte dei reperti conservati al Museo, compresi i magnifici ritratti imperiali di Giulio Cesare, Agrippina e Tito. L’Acropoli di San Marco e Santa Teresa, le due colline che danno il nome al sito raggiungibili spostandosi dal porto verso l’interno dell’isola. Pantelleria è situata al centro del Mediterraneo e questa sua posizione l’ha resa sin da epoche remote un crocevia di culture provenienti dall’Europa e dall’Africa: il sito infatti racchiude sia i resti della civiltà fenicio-punica che quelli, successivi, lasciati dai conquistatori romani, dominatori dell’isola fino alla caduta dell’Impero. Imperdibili la cinta muraria punica e le cisterne comunicanti, testimonianza molto ben conservata dell’efficiente sistema idrico che serviva la città. Lasciata l’Acropoli, si può andare ancora più a ritroso nel tempo spostandosi a soli 5 km dalle colline di San Marco e Santa Teresa. Dopo aver percorso un breve tratto di lungomare, si arriva al Parco archeologico dei Sesi, monumenti funebri megalitici del II millennio a.C. eretti da un popolo proveniente dalle coste dell’Africa settentrionale. Nel parco ci sono numerosi Sesi, ma l’unico ancora integro fino a oggi rinvenuto è il Sese Grande o Sese del Re. Si tratta di una costruzione di più di 5 metri di altezza a pianta ellittica, i cui assi misurano uno più di 10 metri e l’altro 20. È formato da undici ingressi, da dodici celle e da altrettanti corridoi lunghi fino a 7 metri, che conducono verso il centro terminando nella cella principale. Al suo interno sono stati rinvenuti quattro sarcofagi e un corredo funerario costituito da vasellame. Pantelleria è una meta ideale per ammirare spettacoli naturali unici nel loro genere, come quello offerto dalle favare, i panteschi che testimoniano l’attività vulcanica che ribolle nel sottosuolo. Tra queste, la più estesa e “vivace” è senza dubbio la Favara Grande, situata sul versante meridionale della Montagna Grande. Per raggiungerla bisogna percorrere a piedi un tratto di strada accidentato ma, a patto di indossare le scarpe giuste, si viene ricompensati con incredibili scorci su un paesaggio roccioso e aspro che ha i toni del Sublime kantiano. Si giunge infine ad ammirare una crepa che emette getti di vapore acqueo contenenti anidride solforosa e acido solfidrico, esalazioni che raggiungono i 100°C e colorano le rocce circostanti di un peculiare rosso aranciato. È interessante notare come l’uomo abbia saputo sfruttare a suo vantaggio questo fenomeno naturale: il vapore a contatto con l’aria si condensa, infatti, in goccioline d’acqua. Alla Favara Grande, i contadini hanno sfidato i temibili getti bollenti e hanno ricoperto le bocche terminali con canne e rami secchi di alberi per favorire la condensazione del vapore che, con un rudimentale sistema di canalizzazione, viene raccolto in piccole vasche scavate nella roccia ed utilizzato per abbeverare gli animali da allevamento. Le manifestazioni di vulcanesimo secondario del territorio possono assumere anche forme più gentili: rimanendo sulla Montagna Grande e spostandosi in contrada Siba, si trovano le Grotte di Benikulà, una vera e propria sauna naturale. Varcato l’ingresso, contornato da una rigogliosa vegetazione mediterranea, si accede a uno spazio suddiviso in due vani: la parte più esterna è composta da sedili in pietra che possono accogliere comodamente 6 persone, mentre quella più interna è la grotta vera e propria, dalla quale fuoriescono dei getti di vapore a 40°C ricchi di sostanze benefiche per l’organismo. Mentre ci si rilassa in questa “spa” offerta gratuitamente dalla natura, si può ammirare uno splendido panorama sulla piana di Monastero.

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