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salvatore ESPOSITO

La storia di Salvatore Esposito inizia a Napoli, la città in cui è nato (il 2 febbraio 1986) e che è stata il set – reale e nella finzione televisiva – di “Gomorra”, la fortunata serie tratta dal romanzo di Roberto Saviano. «Sono nato a Mugnano, zona Nord, non lontano dai luoghi dove è stata ambientata, Secondigliano e Scampia, che conosco fin da piccolo. La mia, però, è una famiglia con valori forti, mi ha supportato e aiutato a realizzare il mio sogno», aggiunge definendo subito la lontananza tra lui e il personaggio che lo ha fatto conoscere nei 150 Paesiinterpretare molti personaggi». A ventiquattro anni si trasferisce a Roma, frequenta l’Accademia di Beatrice Bracco e inizia a fare provini. Ottiene i primi ruoli, tutti da malavitoso: dalla serie “Il clan dei Camorristi” ispirato alla storia dei Casalesi, al già citato “Gomorra”, al cameo in “Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti. «All’inizio il mondo del cinema semplifica, se sei un ragazzo campano ti fanno fare il camorrista, se sei siciliano il mafioso», uno spunto che ha dato il titolo anche al suo primo libro, “Non volevo diventare un boss”, che racconta come con volontà, umiltà e spirito di sacrificio si posso realizzare i propri sogni senza cedere alle sirene dei facili guadagni promessi della malavita. Come quelli rincorsi dai protagonisti di “Gomorra”, che gli hanno dato il successo con il personaggio di Genny Savastano, «che mi ha cambiato la vita», il figlio del boss di Secondigliano. Un ruolo complesso, perché subisce nelle stagioni – l’ultima quest’anno con lo spin-off della serie “L’Immortale”, per la regia di Marco D’Amore (inizialmente attore, ha diretto la quarta e quinta stagione) – una trasformazione profonda, radicale mano a mano che la serie evolve. «Il ruolo partiva da due presupposti: il primo che per indole se Genny non fosse nato in quella famiglia, probabilmente non sarebbe diventato quello che è diventato. E poi che la prova, quella di andare in Honduras a trattare con i narcotrafficanti, poteva avere solo due soluzioni: portarlo al suicidio o trasformarlo definitivamente, farlo diventare peggiore delle persone che lo avevano mandato là», cosa che accade, anche se nello spettatore rimane sempre, seppur sottile, fino alla fine il dubbio. Tra una stagione e l’altra della serie, Salvatore si è cimentato in altri lavori, come “Taxxi 5” di Luc Besson, “Puoi baciare lo sposo”, di Alessandro Genovesi, che racconta la storia di una coppia omosessuale, o “L’Eroe”, di Cristiano Anania, dove interpreta un giornalista. «Gli orizzonti si stanno allargando. Cerco e voglio che mi diano la possibilità di raccontare delle storie, spesso sono opere prime, ma per me sono importanti. Tra i prossimi progetti in uscita ho due film:” L’Ultima cena” di Davide Minnella, un film leggero, una storia d’amore moderna, e “Rosanero” di Andrea Porporati, che è una fiaba contemporanea». Ma ha anche progetti come autore. «E questa è stata un’altra scoperta, volevo scrivere un soggetto cinematografico ed è nato il mio primo romanzo, “Lo Sciamano” (il cui protagonista Christian Costa è un profiler esperto di delitti rituali, nda), a giugno dovrebbe uscire il secondo capitolo, sarà una trilogia. E diventerà una serie televisiva ambientata tra Benevento – città tradizionalmente di streghe – Roma, Napoli… e l’estero». Salvatore è appena rientrato dagli Stati Uniti, da Los Angeles, dove gli hanno consegnato il Best Movie Award. E se gli si chiede di sognare un ruolo, anche all’estero, si immagina in un supereroe, e dei registi con cui vorrebbe lavorare, risponde «Tarantino e Scorsese», ma si sente che ha i piedi ben piantati per terra e un talento raro, la gratitudine: «ho sempre cercato di ottenere il massimo da quello che mi veniva donato, so che in questi otto anni ho ottenuto tanto, fatto tanto, voglio continuare a impegnarmi verso obiettivi sempre più importanti». E sperimentare. Un rapporto che lo mette spesso di fronte a se stesso: «per il mio mestiere ho imposto stravolgimenti al mio corpo, tali che a volte provocano disturbi; in poco tempo devi dimagrire, ingrassare, mettere massa muscolare, toglierla… Cose che non fanno molto bene. Ma un attore è la sua mente, il suo corpo, la sua voce». E così racconta anche il suo rapporto con la moda, «la mia città ha grandi sartorie storiche, ha artigiani di livello che hanno dettato stili; io non ho un rapporto maniacale con i vestiti, cerco ciò che mi fa stare bene, sentire a mio agio. Indosso Zegna, e mi fa molto piacere, credo che Alessandro Sartori abbia portato il brand ad altissimi livelli. In generale mi piace la moda italiana, Gucci, Versace, Dolce & Gabbana. Personalmente non ho un unico stile, mi piace variare, stare bene con quello che indosso». Come deve sentirsi bene nei luoghi che frequenta: «anni fa mi sono trasferito a Roma per studiare e perché la città dà più opportunità di lavoro, ma per me… Napoli tutta la vita! Spesso ci si concentra sulle sue zone d’ombra, ma è un luogo meraviglioso, è una città ricca di luci, colori. Mi piacerebbe poter raccontare le bellezze della mia terra, l’arte, la musica, l’amore». E se portassi idealmente a spasso con te qualcuno, dove lo condurresti? «Nei vicoli della città, tra gli artigiani dei presepi di via San Gregorio Armeno, aprirei la porta di una chiesa per far scoprire un’opera del Caravaggio, e ancora la poesia del Cristo Velato nella cappella di San Severo».

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