Quello che sapevamo di Eliana
Di AA. VV.
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Anteprima del libro
Quello che sapevamo di Eliana - AA. VV.
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Marco Castiglione
Sea Princess Blues
Milano, Martedì 26 ottobre 2010; ore 22:50
Che rottura di cazzo
penso.
Perché ho chiesto l’ingaggio?
Pareva un club elegante, il Tattoo. Appena aperto. Gli ho chiesto: «Vi interessa un po’ di jazz per cena?» «Sì.»
Ovviamente speravo in un pubblico decente. Non chiedo l'applauso, nemmeno troppa attenzione. L'attenzione mi sbarella, meglio che se la chiacchierino.
Però almeno un ambiente soft, parlottio quieto, qualcuno che possa ascoltarmi, ogni tanto.
Invece sentili...
A quel tavolo dieci dementi con la pelata festeggiano un altro pelato coi denti sparsi. Brindisi, grida, ululati (già ubriachi all'antipasto).
Bestie: sto suonando How High the Moon, qualcuno la riconosce?
Là a destra due marpioni con troiette slave.
Qui davanti quattro ragazzini con gli ormoni alle stelle.
Taci che forse cala il casino. Ecco, ora infilo quel passaggio cromatico un po’ difficile... vediamo come viene.
A metà del cromatismo la tavolata è ripartita con altri brindisi e coretti: «DISCORSO! DISCORSOO! »
Del mio passaggio (anche venuto bene) nessuno s’è accorto.
Ma vaffanculo.
Sto valutando se alzarmi e andarmene
Invece entra lei.
Distinta, spigliata, falcata e sorriso assassini. Copricapo tuareg. Non è sola: c’è un’amica e un pelato elegante. Vengono a sedersi qui vicino. Non mi pare vero. Lei, proprio lei a due passi da me.
Attacco These Foolish Things. Che donna, ragazzi.
L’unica giornalista di cui sappia il nome. Compro il Corriere
tutti i giorni per non perdermi un articolo. Mi ero messo anche a collezionarli.
E, se è per questo, i libri di Eliana Cascia li ho tutti. A partire da Un piccolo gesto d’amore. E poi i diari di viaggio, le corrispondenze di guerra, la serie del Commissario Mazzi (quanto ti sei divertita, Eliana, a prendere per il culo il pubblico e accumulare milioni?).
Le sorrido, non mi guarda.
Eliana
penso "ora solo per te. Ecco My Funny Valentine."
Attacco. Forse mi guarda. Il baccano pare sedato, che sia rispetto per lei?
Mi pareva che finalmente guardasse qui; invece se la racconta col pelato. Meglio.
È anche bella, non una velina ma bella. Come fa quel cervello perfetto ad abitare tutto lì dentro? Dovrebbe avere una cinquantina d’anni. Forse sessanta. Sull’età della Cascia glissano tutti. Potrebbe essere mia madre. Chi se ne frega. Ne avesse anche settanta, è una figa (in senso olistico) da guerra.
Oddio, forse ho pensato a volume troppo alto. Mi pare che abbia guardato qui. Come per rimproverarmi. Butto giù lo sguardo e mi concentro sulla tastiera. Rientrerò in La minore con un virtuosismo che so solo io.
Guarda che belle mani, Giacomo.
Peccato che in faccia sei un mostro.
Malpensa, Venerdì 29 ottobre 2010; ore 17:40
L’hostess greca ci accoglie con un sorriso. Su di me, però, solo uno sguardo svelto. Succede a tutte. Non hanno il coraggio di guardarmi. Hanno paura di mostrare la reazione. Così si voltano altrove, per rispetto. Si voltano per pena.
Sono abituato. Passo via con lo sguardo a terra, così evito altra pena ad altre donne.
Attraverso la prima classe. Fammi dare una sbirciatina.
Quasi vado a terra.
È lei. Ancora lei.
Eliana Cascia in carne, ossa e occhi da sogno. Di nuovo qui, a due passi da me.
Quante cose si pensano nel secondo che ci vuole a fare un metro?
Tengo la faccia in giù
penso le evito la pena.
No, la guardo: magari mi riconosce da sabato sera.
Se ti riconosce scappa via dall’aereo.
Vaffanculo, Giacomo, su la testa, PERDIO.
Le parole del nonno, il vecchio Generale, mi tornano in mente e mi fanno scattare. La sto guardando e me la faccio in mano. Tutto questo nella frazione di tempo che ci vuole per mezzo metro.
Lei è voltata verso il finestrino. Due grossi greci mi spintonano avanti.
Le due ore del volo per Atene sembrano un secolo.
Penso a lei, cerco di distrarmi, ripenso a lei.
Sabato sera ho troncato il crescendo di My Funny Valentine con un finale pianissimo. Poi mi sono deciso ad alzare lo sguardo e lei non c’era più.
Mi rannicchio nel sedile duro della fila 26, metto le cuffie e mi sparo tutto Alone di Bill Evans. Anche lui era brutto, però confronto a me, un angelo.
Atterrati. Mezz’ora di fila in piedi per uscire dall’aereo. Appena prima di sbarcare passo accanto alla sua poltrona vuota. C’è un portatile dimenticato: un Mac grigio, mimetizzato sul grigio del sedile.
Scatto. Lo raccolgo al volo, spintono tutti come un selvaggio e mi butto fuori. Corro al ritiro bagagli.
Il nastro da Milano è ancora vuoto. Lei non c’è.
Cazzo.
Aeroporto di Atene, Venerdì 29 ottobre 2010; ore 21:10
Che faccio? Si sarà attardata? Impossibile: mezz’ora per svuotare l’aereo.
Sarà già uscita, viaggia senza bagaglio.
Che faccio?!? Mi butto fuori e le corro dietro? E la sacca: l’abbandono qui? Fra mezz’ora ho la coincidenza per Cipro. Cazzo, cazzo, cazzo.
Guardo sconsolato il Mac. Ha sotto una striscia adesiva, c’è il cellulare e la sua email personale. Chiamo.
Brrr brrr.
«Pronto?»
Risponde!
Arrota un po’ la erre, il tono è guardingo.
«Pronto-buonasÈ-michiamo Giacomo-Di-Tanno-ho-trova’-il-suo Mac-sul-sedile-d’l’aereo. Mi-son -permss-di...-cercato-diraggiun gerla. Lei-percaso-è-qui-fuori? Lo-viene-a-prend?»
M’è uscito tutto d’un fiato, tutto incollato, non avrà capito una mazza, poveretta.
«Pronto? Il mio cosa? Oh dio! Il portatile nuovo. In aereo...»
Esita. (Dio che voce calda, oscilla fra un la maggiore e un la settima aumentata, ti avvolge.)
«Lei è dell’Alitalia?» chiede.
«No, veramente no. Un passeggero. Giacomo Di Tanno. Piacere. L’ho preso e gliel’ho portato di corsa qui ai bagagli ma non la vedo. Come faccio a darglielo?»
Il tono torna guardingo: «Lei mi conosce?».
«Signora Cascia, come si fa a non conoscerla.» La sola idea che qualche stordito possa non conoscerla mi fa ridere. E rido.
Chissà perché ride anche lei. «Beh, molto gentile, signor Di Tanno.»
«Ma le pare. Guardi, non l’ho aperto. Tranquilla. Viene a prenderlo?»
«Sì. Aspetti, ora fermo il taxi. Una mezz’oretta. Dov’è lei?»
«Al ritiro bagagli. Ma devo correre al check-in per Cipro.»
«Può lasciarlo a un poliziotto?»
«Certo signora. Subito. Poi richiamo.»
Una trafila pazzesca. Mai avere a che fare con la burocrazia greca. Quasi un’altra mezz’ora.
«Si-signora Cascia? Sono Di Tanno. Allò-ilMac-è-alposto-polìz. Piàn-terra-uffì’ò54!»
«Giacomo! Grazie davvero. Un gentiluomo.»
«Ma le pare... dovere…»
«Non si ferma proprio, vero? Ne ho ancora per una diecina di minuti.»
(Cazzo, se me lo chiedi così, mollo Cipro e l’imbarco. Mollo tutto e ti aspetto qui.)
«N-non posso signora. Ho il volo fra due minuti, devo fare il check-in.»
«Ancora?» si interroga «Ha perso per me tutto questo tempo? Sono mortificata.»
Però ride, compiaciuta. Ma che meraviglia è ‘sta donna? «Corra, corra Giacomo. Non perda l’aereo, non per causa mia. Ci sentiamo.»
Ha detto ci sentiamo.
Formula di cortesia.
Però l’ha detto.
Mi siedo per terra e mollo il volo?
Aeroporto di Larnaca, Venerdì 29 ottobre 2010; ore 23:45
Distrutto sono. Otto ore da Malpensa a questo buco nel niente: Cipro.
Devo trovare un mezzo per andare al porto. Al porto merci di Larnaca a quest’ora mi sgozzano.
Già mi ci vedo, come un cavedano nella notte, sacca e zaino in spalla, a chiedere lumi ai passanti (contrabbandieri, spacciatori, terroristi, sbudellatori di pianisti) «Scusi, signore, dove cazzo sta la nave da crociera Sea Princess?».
Almeno la paga è buona. Dieci giorni di marchetta ma poi sbarco a Palermo con due mille in tasca.
Accendo il telefono.
Bzzz: Un sms. Chi sarà a quest’ora.
È lei. Ma proprio lei-lei:
Caro Giacomo. Alla Polizia mi hanno riferito quanti guai ha passato. E del volo quasi perso. Tutto a causa mia. Come sdebitarmi? Sua EC.
Leggo. Rileggo. Spengo, riaccendo e rileggo.
Se mi rapinano al porto, per non perdere questo sms, ingoio l’iPhone.
Adesso cambio il nome in rubrica: tolgo Cascia, metto EC.
Si firma EC, come fra vecchi amici.
Anzi SuaEC.
Tolgo EC e metto SuaEC.
Esco dal terminal, un taxista sconsolato dice che per il porto bastano 4 euro. Va bene.
Ora rispondo a SuaEC. Cosa rispondo? Come può sdebitarsi?
Scrivo: Vorrei un suo libro con dedica. Non diciamo cacate.
Vorrei un articolo sui pianismi a confronto: Art Tatum e Giacomo Di Tanno. Peggio.
Una cena a lume di candela. Come no.
E magari un pompino da urlo no?
Non so cosa scrivere. Siamo arrivati.
La Sea Princess sembra una montagna: il transatlantico di Amarcord. Colonna sonora Nino Rota.
Metto via l’iPhone: tanto SuaEC ora dorme, scrivo domani.
Sea Princess, Sabato 30 ottobre 2010; ore 11:03
La nave si stacca dal porto.
Parte un’altra settimana di marchette. Alle sedici in servizio al Grand Deck Bar. Poi per cena al Princess Lounge. Alle due a nanna. Mattinata, invece, libera.
Appunto. Ho la mattina libera e non so cosa scrivere a SuaEC. Devo anche muovermi perché in navigazione il WI-FI va e viene. Non ho dormito, pensandoci.
Infine depongo l’uovo: Sarei felice se desse un’occhiata al mio sito: giacomoditanno.it. Senza impegno. Salutoni.
Schiaccio invio
e mando subito, evitiamo ripensamenti.
Dopo ci ripenso un milione di volte e tutte le volte mi do dello scemo.
Sea Princess, Sabato 30 ottobre 2010; ore 15:48
Sto per entrare al Grand Deck Bar. Giacca e cravatta, come un pinguino.
Bzzz. Oh dio. È SuaEC. Proprio lei, in carne, ossa e sms.
Mi infilo nel cesso (ma perché?) e leggo.
Caro Giacomo. Vedi le email?
No. Non vedo le email. Ho spento la funzione. Consuma troppo. Come faccio? Accendere la funzione, ovvio. Presto. Prima che vada via il WI-FI.
C’è qui (da quattro ore!) una email lunga una vita. È lei.
Caro Giacomo. Sono ore che giro il tuo sito. Inchiodata ad Atene in attesa di un visto per Gaza che non arriva. Scusa se ti do del tu: vedo che sei giovane, potresti essere mio figlio. Mi piace quello che scrivi, mi piace la tua musica. Proprio l’altra sera ero al Tattoo e c’era un bel giovanotto che suonava jazz. Ho visto nella tua pagina serate
che lo fai anche tu. E vedo nella pagina tournee
che ora sei a Cipro sulla Sea Princess. Spero te la passi bene fra principesse e petrolieri.
Tua EC
Ora rispondo: Signora EC. Lei ha visto il mio sito. Non posso crederci. Mi sto pisciando addosso. No, ovviamente.
Signora EC. Lei ha visto il mio sito. Ne sono felice, non avrei osato sperarlo. Ero proprio io sabato al Tattoo. Vi ho visti arrivare. Ho suonato per lei My Funny Valentine e mi stavo pisciando addosso. Dai, non fare il cretino: pensa se per sbaglio schiacci "invio".
...ho suonato My Funny Valentine e mi pareva che la conoscesse.
Suo GDT
Spedito.
Deglutisco, metto via e mi dirigo al Grand Deck.
L’iPhone vibra.
È lei. È già lei. Ma sogno, sono vivo o cosa?
My Funny Valentine la conosco. La cantava Chet Baker. Purtroppo il collega continuava a parlarmi. Quando ha smesso, tu suonavi a testa bassa, non hai mai guardato verso di noi. Poi hanno chiamato dal giornale e siamo fuggiti. Proprio dopo il pianissimo che hai fatto in chiusura. Era sorprendente.
Tua EC
Cara SuaEC/TuaEC. Altro che pipì addosso.
Tu conosci Funny Valentine? Tu sai la versione di Chet Baker?!?
Tu ricordi il mio pianissimo in chiusura.
Non è possibile. Dev’essere uno scherzo. Questo è Mengardi che si è infilato nella mia posta.
Scusi se glielo dico, ma sono un po’ emozionato.
Suo GDT
Vado a suonare, va’. Sono già le quattro e passa. MacGregor non vuole ritardi.
L’iPhone vibra. Ora svengo.
Caro Giacomo. Cercavo sul sito una tua foto ma non ne hai messe. Al Tattoo il pianista era proprio un bel ragazzone. Voglio vedere se eri davvero tu. Dove la trovo?
Tua EC
Cara Signora MiaEC. Ma perché mi caghi così. Non capisci che mi porti in paradiso? Poi sparirai e io farò una caduta di dieci chilometri. Senza paracadute.
Cosa rispondo? Cosa mi invento? Cara TuaEC. Non metto foto sul sito perché ho la faccia sfigurata. Il fantasma del palcoscenico era Di Caprio, in confronto. Se vuole le mando una fototessera così si fa una settimana di incubi. No, vero? Non avrò mai il coraggio di dirlo.
Cara Signora, online c’erano un po’ di foto. Ho però un amico hacker, Mengardi. Mi ha siringato sul sito una scherzosa app che riconosce le mie foto e mi sostituisce la faccia con paperino.
Suo GDT
Ecco, questa l’ho mandata e vado a suonare.
Signora TuaEC, ti