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Brevi racconti di amore e follia
Brevi racconti di amore e follia
Brevi racconti di amore e follia
E-book89 pagine1 ora

Brevi racconti di amore e follia

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Info su questo ebook

Nove racconti, con protagonisti diversissimi tra loro: un nonno malato

d'Alzheimer, un mafioso buono, una maga, un cane, un ragazzino fifone,

un professore, un pirata della strada, un vecchio sognatore, uno scolaro

povero.

Nove racconti con il denominatore comune dell'imprevedibilità. Nessuna di queste storie ha un finale scontato.
LinguaItaliano
Data di uscita25 ott 2021
ISBN9791220359665
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    Anteprima del libro

    Brevi racconti di amore e follia - Lello Gurrado

    AMORE E MORTE DI UN MAFIOSO BUONO

    Perché mi sono deciso a confessare? E perché vengo a dire tutto quanto proprio a voi invece di parlare con tutti quelli – magistrati, poliziotti, investigatori... – che insistono da tempo perché lo faccia? Beh, questo ve lo dico dopo. Anzi, dopo non ci sarà neanche bisogno di dirvelo. Lo capirete da soli.

    Sono un affiliato della mafia, sì, un mafioso. Lo confesso davanti a Dio e agli uomini. Sono un mafioso e, di conseguenza, un assassino. Ho ucciso. Quattordici volte. E me le ricordo tutte. Una a una. So le armi che ho usato, i soldi che ho guadagnato, il tempo che ho impiegato, i rischi che ho corso, le paure che ho dovuto superare e i drammi che ho vissuto.

    Sono un mafioso serio, fatto e finito. Per natura? Per una mia predisposizione naturale a uccidere? No. Questo no. Io non sono nato per fare il mafioso, mi dovete credere. Lo sono diventato per caso.

    O per sbaglio. O per necessità. Non lo so. Giudicherete voi.

    La mia carriera è incominciata per combinazione, senza volerlo e, all’inizio, senza neanche saperlo.

    Sapete dove sono nato, in un paese di poche anime a cavallo tra la Basilicata e la Calabria. Un paese arido, desolante dove non c'è mai stato niente. Niente. Un paese dal quale bisognava scappare. Mio padre me lo diceva sempre, ogni santo giorno. Io non ho più l'età per farlo, ma tu appena puoi vattene via di qua.

    Mio padre non aveva un lavoro preciso. Faceva di tutto. Il netturbino, il muratore, il facchino, l'imbianchino, tutto quello che gli capitava. Lavorava come un mulo per mantenere la famiglia e sognava, sognava, fantasticava. Il suo chiodo fisso era il Nord, la migrazione. Per convincermi a partire inventava ogni volta una storia. Sai che a Milano ci sono i semafori intelligenti? mi diceva. Vedono arrivare una macchina che va troppo forte e diventano rossi per farla fermare. Fantastico. Non è fantastico? Ah, queste città del Nord, come sono avanti rispetto a noi! E non soltanto il Nord. Anche Roma. Pensa che a Roma c'è uno stadio di calcio da 500 mila posti. Pensa, 500 mila persone a vedere una partita di pallone.

    Esagerava, naturalmente, al solo scopo di invogliarmi a lasciare il paese. Glielo promisi infinite volte, infine glielo giurai sul letto di morte, quando venne ricoverato dopo essere stato colpito da un infarto fulminante mentre si caricava sulle spalle una cassa di legna da ardere.

    Da quel momento non feci che pensare a scappare dal mio paese. Non era più soltanto un sogno, ma ormai un impegno, una promessa che dovevo assolutamente onorare. Sì, ma come? Avevo soltanto 18 anni, non conoscevo nessuno. Chi mi avrebbe aiutato a partire?

    Fu la mafia. Lo dico adesso, dopo che sono trascorsi tanti anni, ma allora ovviamente non potevo immaginarlo.

    Come potevo immaginare che Salvatore Munno, Zi’ Salvatore, fosse uno di loro? Era il titolare del bar centrale ed era lo zio di Vituccio, il mio più caro amico, quello con cui mi confidavo durante i lunghi pomeriggi che trascorrevamo insieme. Un giorno Zi’ Salvatore mi prese da parte:

    Mi ha detto Vituccio che vuoi andartene al Nord, è vero?

    Vero.

    Sei mai stato a Milano?

    A Milano? E quando mai? Magari….

    Posso mandarti io.

    Lo guardai a occhi sbarrati, incapace di replicare.

    Devo far avere un pacchetto a dei miei cugini che vivono a Milano. È un pacchetto prezioso, pieno di ricordi. Non mi va di affidarlo alla posta. Se sei d'accordo, lo do a te, ti pago il biglietto del treno andata e ritorno e così raggiungiamo due risultati: il pacchetto arriva di sicuro e tu scopri una città del Nord. Che ne pensi?

    E che ne potevo pensare? Fui felicissimo di accettare. Gli dissi di sì e lui mi mise in mano una busta gialla, grande quanto un libro. Ma non era rigida come un libro. Al tatto risultava molle molle, come se contenesse della sabbia, le ceneri di un parente che hanno fatto cremare, pensai. Ma non erano ceneri. Nel pacchetto c'era soltanto polvere, polvere bianca.

    Partii dopo due giorni. Mia madre mi fece tre panini, due al formaggio e uno con la frittata, e mi diede la sua benedizione. Era triste per la mia partenza, ma al tempo stesso contenta di vedere che il desiderio di suo marito si stava realizzando. Stavo partendo per il Nord.

    Il viaggio fu lungo, lento e scomodo. Ma non sentii la stanchezza e l'accoglienza che mi riservarono i cugini di Zi' Salvatore, due fratelli con le rispettive mogli, fu straordinaria. Per tre giorni mi coccolarono, ubriacandomi di premure, domande e ricordi. Furono giorni di sballo, di ubriacatura. Quando ripartii per ritornare al paese ero in stato confusionale, ma con una certezza: sarei tornato a Milano il più presto possibile, come mi avevano chiesto i cugini di zi' Salvatore.

    Passarono quaranta giorni e ci fu un altro pacchetto da consegnare. Dissi di sì anche stavolta, senza rendermi conto di essere diventato un corriere della droga.

    Suonai il campanello e venne ad aprirmi Bettina, la moglie di Giuseppe, il fratello più giovane. Fu felice di vedermi. Entra, entra… mi disse con un sorriso. Era sola in casa. Mi fece accomodare nella stanza dove avevo dormito la volta precedente ed ebbi l'impressione che l’avessero preparata apposta per me, come se mi aspettassero.

    Ti piace, eh Milano..., mi disse Bettina.

    Eh sì ammisi.

    Ti aiuto a disfare lo zaino. Tu stai tranquillo, sdraiati, riposati che hai fatto il viaggio, mi disse mentre toglieva i miei quattro stracci dal borsone.

    Mise nei cassetti del comò una camicia, due paia di calzini, un maglioncino, un giornalino a fumetti.

    Poi estrasse dallo zaino un paio di slip. Li alzò verso la luce e guardandomi strano mi chiese:

    E qui dentro, che ci metti, qui dentro?

    Diventai rosso.

    Poi viola.

    Quindi incominciò a toccarmi. Ci metti dentro questo? E riesci a farcelo stare o ti scappa fuori? Fammi vedere...

    Mi slacciò la cintura dei pantaloni, io rimasi sdraiato e il resto lo potete immaginare.

    Furono i momenti più belli della mia vita. Ma come tutte le gioie della vita, anche questa aveva il suo retrogusto amaro.

    Se Giuseppe lo viene a sapere ti ammazza, mi disse dopo qualche minuto Bettina mentre si ricomponeva.

    Ammazza me? Dovrebbe ammazzare te...,

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