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L’ANTICO SENTIERO DELLA TRANSUMANZA

C’è un’Italia che si nasconde lungo i dolci pendii dell’Appennino meridionale. È l’Italia dei piccoli borghi, dei paesi che il più delle volte si trovano in alto, aggrappati alle loro colline. Siamo nella verde Irpinia, a Zungoli. Siamo a 657 metri sul livello del mare, ai confini con la Daunia dove il paesaggio è così bello da mozzare il fiato. Dove il mare non è l’acqua magrano; dove si intrecciano culture millenarie e dove il silenzio e la pace fanno compagnia come il fuoco nelle case d’inverno. Per arrivare a Zungoli si percorre parte di quello che un tempo era l’antico sentiero di pastori che migravano insieme al loro gregge e alle loro vacche per raggiungere il mare e climi più miti. Prima si attraversano Mirabella Eclano, Grottaminarda, Villanova del Battista e poi Zungoli, che si mostra così, all’improvviso, aggrappato alla sua collina che aspetta. Aspetta il visitatore sensibile, disposto a ricambiare un abbraccio. Posto sulla riva destra del torrente Vallone, il piccolo borgo è circondato da alcune cime dell’Appennino, che guarda dal suo imponentecastello. Ilterritorioèpiuttostovastoemostra con determinazione i segni del suo passato, prima greco e poi romano. Durante il Medioevo furono i Longobardi, i Normanni, gli Angioini e gli Aragonesi a lasciare traccia delle loro culture attraverso i loro insediamenti. Per arrivare a Zungoli si percorre l’antico sentiero dei pastori erranti che prende il nome di Regio Tratturo, il silenzioso fiume d’erba di cui parla Gabriele D’Annunzio. Questo migrare silente di pecore e vacche, dalla montagna al fondovalle e poi, al mare, è la transumanza. Una pratica antichissima che, durante il dominio aragonese, venne regolamentata attraverso l’istituzione di una dogana per la vendita e lo scambio delle pecore. Chi possedeva più di venti pecore doveva obbligatoriamente praticare la transumanza e pagare la cosiddetta fida, una tassa per l’uso di pascoli demaniali; e doveva vendere tutti i prodotti derivanti dall’attività pastorale alla Fiera di Foggia che si svolgeva ogni anno nel mese di maggio. Nel 1806 con l’abolizione della dogana l’attività pastorale cominciò a declinare. A delimitare gli atavici sentieri c’erano limiti di pietra, di cui si notano ancora i resti, e al di là di essi l’erba cresceva spontaneamente ed era cibo per le greggi e le mandrie. Questi viaggi di uomini e animali avevano inizio dai monti abruzzesi, durante i mesi di settembre e ottobre; duravano quindici, venti giorni ed erano occasione di scambi di prodotti e culturali. Si percorrevano tratturi e tratturelli di giorno; di notte ci si fermava per dormire nei ricoveri chiamati stazzi dalle genti di montagna e poste dai pastori delle Puglie. Da qui, i pastori si recavano in paese, dove, da forestieri, vendevano i loro prodotti, chiacchieravano con la gente del posto, nascevano amicizie e amori. Verso maggio, i pastori risalivano dal Tavoliere all’Irpinia, fino in Abruzzo e in Molise, ritornando e riportando le greggi nella frescura, tra gli alberi delle loro montagne.

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