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La storia della Sicilia (Gioiosa Guardia)
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E-book285 pagine4 ore

La storia della Sicilia (Gioiosa Guardia)

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La storia della Sicilia ed in particolare di Giojusa Guardia, possiamo ben dire, che non è molto conosciuta, che è rimasta nella conoscenza di un esiguo numero di persone, e naturalmente, sui documenti storici conservati negli archivi del comune e nella Curia Vescovile di Patti.

Le tradizioni della propria terra, ai più, sono poco conosciute, in pochi sanno e tanto meno, gli abitanti, i contadini che risiedono nei pressi del monte dove sorgeva Giojosa Guardia, che per secoli, il loro Signore e padrone, fu il Vescovo di Patti.

Gli antichi Statuti, dicono che faceva parte delle terre feudali, il mare era percorso da nemici, corsari e dunque, situata in cima ad un Monte, serviva da Guardia al litorale.

L’occasione per raccontarla e porgerla a costoro ed ad altri, mi è stata data, casualmente, da zio Matteo Canfanza, lontano parente della mia nonna paterna, contadino, pescatore, ed anche poeta, però rimasto legato, evidentemente, alle tradizioni degli avi.

Lo zio Matteo Canfanza, terminata la sua carriera di militare, ritornato al villaggio, senza discendenti diretti, prima che l’Alzheimer lo colpisse in modo irrimediabile, mangiandogli la memoria, ritrasse le sue conoscenze, quante più informazioni possibili, mettendole a dimora, conservandole in un quadernetto di scuola, circuendo il tracciato delle strade, i ruderi delle case, e che mi sono pervenute, per un caso fortuito.
LinguaItaliano
Data di uscita29 apr 2019
ISBN9788831615150
La storia della Sicilia (Gioiosa Guardia)

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    La storia della Sicilia (Gioiosa Guardia) - Antonio Accordino

    www.youcanprint.it

    IL CONTADINO PESCARORE

    La barba bianca, i capelli lunghi, gli incorniciano la faccia, gli occhi curiosi, s’agitano osservando intorno, è probabile che cerchino l’azzurro del cielo, la vecchia casa sul monte.

    La memoria si alza e lo conduce lungo il crinale, nelle fratture, nelle fessure dei ruderi, velocemente scende e poi ritorna sulla strada che ha percorso sulle spalle, nelle braccia del padre, La piazza è ormai deserta, l’ombra del sole è cresciuta, e la luce, s’aggira dispettosa sui cespugli di ginestra, gli ulivi, in fondo alla valle, sulle case del villaggio, sulla spiaggia, sull’acqua del mare calmo che dondola festoso un paio di barche alla fonda e qualche gabbiano. Un pensiero, od un sogno, lo sveglia, si alza e gli si scioglie, l’aria è leggera e cullandolo dolcemente, sembra volerlo portare via, ecco che si è fermato, lo raccoglie, è a brandelli, una striscia, qualche fiocco, a malapena riesce a comporlo, disperatamente cerca di coniugarli, di unirli, ci riesce, forse si è stancato, par che lo aspetti, prosegue,

    lo insegue sulla distesa di sabbia grigia, sotto le fiancate delle barche, raccoglie una manata di pietre lisce, piatte e sentendo uno sciabordio, seduto sulla battigia, glieli scaglia dietro, rincorrendolo con lo sguardo e poi, si tuffa nei cerchi, lo aggira, però, adesso è esausto, si lascia cadere e s’allunga, si distende aiutandosi con la mano destra, sotto le spalle.

    La luce del sole, sembra accecarlo, quasi s’addormenta e si alza. Il suo incedere, con lente movenze delle anche, conferisce alla figura, qualcosa di caratteristico, di unico, forse la storia, presenta le sue credenziali, sicuramente, la forza delle origini, una cultura profonda, la memoria non coltivata, si dichiara pronta, ed arriva un’onda che s’allunga lentamente sulla battigia.

    Le rondini hanno preso il volo, libere nell’aria, ritornano a casa.

    Un dito nella sabbia a disegnare un sorriso, l’antico contadino pescatore, sereno si siede in esso, è un sonno, un sogno che naviga sull’orizzonte, sale con passi leggeri sulla montagna ed osserva le isole nella foschia, i promontori, la bellezza del creato che si va nascondendo nella sera e che comunque, lascia il suo segno, i suoi colori vincenti, nelle nuvole, sulle onde del mare che spavalde si rincorrono, spingendosi, scherzando, evitando la monotonia del loro andare, del raggiungere la riva e ritornare.

    LA STORIA DELLA SICILIA ( GIOIOSA GUARDIA )

    La storia della Sicilia ed in particolare di Giojusa Guardia, possiamo ben dire, che non è molto conosciuta, che è rimasta nella conoscenza di un esiguo numero di persone, e naturalmente, sui documenti storici conservati negli archivi del comune e nella Curia Vescovile di Patti.

    Le tradizioni della propria terra, ai più, sono poco conosciute, in pochi sanno e tanto meno, gli abitanti, i contadini che risiedono nei pressi del monte dove sorgeva Giojosa Guardia, che per secoli, il loro Signore e padrone, fu il Vescovo di Patti.

    Gli antichi Statuti, dicono che faceva parte delle terre feudali, il mare era percorso da nemici, corsari e dunque, situata in cima ad un Monte, serviva da Guardia al litorale.

    L’occasione per raccontarla e porgerla a costoro ed ad altri, mi è stata data, casualmente, da zio Matteo Canfanza, lontano parente della mia nonna paterna, contadino, pescatore, ed anche poeta, però rimasto legato, evidentemente, alle tradizioni degli avi.

    Lo zio Matteo Canfanza, terminata la sua carriera di militare, ritornato al villaggio, senza discendenti diretti, prima che l’Alzheimer lo colpisse in modo irrimediabile, mangiandogli la memoria, ritrasse le sue conoscenze, quante più informazioni possibili, mettendole a dimora, conservandole in un quadernetto di scuola, circuendo il tracciato delle strade, i ruderi delle case, e che mi sono pervenute, per un caso fortuito.

    Un mattino, che la scuola era terminata e non sapevo cosa fare, cercando, nella vecchia credenza di famiglia, la raccolta, i fascicoli, dell’avventura del Bandito Giuliano di Montelepre, sul fondo, fra ami e lenze, piombi e sugheri, gagliardetti militari, piccole scatole vuote, mi saltò in mano, questo quadernetto e per curiosità, apertolo, fui catturato da quanto vi era inciso, e spinto da un desiderio soverchiante di sapere e farne conoscere la storia, mi accinsi ad un immane lavoro, integrandola con le fonti storiche dei vari archivi, ho tentato di stenderla, di raccontarla, di porgerla a costoro, ecco, a beneficio personale e delle generazioni future.

    Gioiosa Guardia (o Gioiosa Vecchia) è ubicata sul monte Meliuso a circa 800 metri s.l.m., isolato e ventoso, domina la costa tirrenica, infatti, dalla sua posizione incantevole, panoramica e fertile, dalla sua altezza, tiene sott’occhio, osserva sia Patti che dista circa 5 chilometri, che Taormina, il vulcano Etna, Milazzo e le isole eolie, il Monte Pellegrino e le coste della Calabria.

    I turisti, che per diletto, s’avventurano, non vi è alcun servizio, arrampicandosi fin lassù, affrancano la fatica, con la magnificenza, la bellezza che possono ammirare dall’alto dei ruderi.

    Il Monte Guardia, nei millenni, è stato abitato, a più riprese, sin dall’Età del Bronzo, passando per il periodo greco ed ellenistico, per finire al medioevo, l’ultimo insediamento, infatti, risale al 1300, quando Giojusa, Gioiosa Guardia ( o Gioiosa Vecchia ), fu fondata da Vinciguerra D’Argagona, eletto sotto il regno di Federico III° .

    Vinciguerra d’Aragona, aveva facoltà, ove ritenesse necessario, di costruire torri e fortezze, per difendere il territorio dalle invasioni dei pirati, e sul monte Melliuso, in Sicilia, vi costruì la città. Il Monte Meliuso, Monte Guardia, per la posizione era un punto strategico a difesa di possibili attacchi nemici, ed ecco il nome, e con il sorgere delle prime case, il primo Barone a governare.

    Il Borgo, a seguito di sommovimenti tellurici infernali e da eventi climatici repentini, non ultima, una devastante invasione di cavallette che distrusse l’intero raccolto di grano, addirittura, mettendo a rischio la loro esistenza, e dopo l’ennesimo terremoto, avvenuto nel 1783, fu abbandonata, costrinse gli abitanti, a trasferirsi sulla costa. .

    Gioiosa Guardia, era divisa in quattro quartieri che, naturalmente, facevano capo, riferimento, alle chiese, e cioè, di S. Nicolò, della Madonna delle Grazie, della Catena e di S. Giovanni Battista.

    La sua posizione in cima al monte, per via della viabilità, le strade erano strette, mal tenute, non aveva un commercio, il paese, la popolazione di contadini, era dedita al lavoro dei campi ed a qualche piccola industria, di buono, a renderlo bello, era l’aria balsamica, fatto di casette bianche, nitide, che con l’andare degli anni, per varie vicende, persero il loro aspetto, diventarono meno belle, tanto che nel 1786, gli abitanti, si trasferirono in riva al mare, alcuni fondarono Gioiosa, altri San Giorgio, adesso, presenta delle povere case, in parte diroccate, in parte smantellate, insomma dei ruderi.

    La strada principale, attraversava il paese, per un tratto si allargava in forma circolare e formava una piazzetta, al centro della quale, si elevava un ceppo di pietra calcare che sosteneva un palo sul quale erano riportati, additati al pubblico ludibrio, disprezzo, i colpevoli, il reo, era lasciato legato ad esso, per un tempo determinato.

    La strada continuava restringendosi e deviando, raggiungeva il Castello di Vinciguerra, altre s’insinuavano tra le case, nell’abitato, altre tre, delle stradine di campagna, delle trazzere, si allungavano mettendolo in comunicazione, una, la prima che si chiamava scaletta, conduceva alla marina di Patti, un’altra, la seconda, denominata, mali passi, conduceva a Randazzo, con il quale, molto di frequente, transitava il commercio ed i contadini, vi andavano a lavorare, l’altra, la terza, l’ultima, detta Regia di Calavà, era la più importante, era molto larga ed alla fine, vi era di stanza, un posto di guardia con personale stipendiato, addetto al servizio dell’Ufficio.

    La strada Regia di Calavà, a causa dei proprietari limitrofi, che si sono appropriati di parte del terreno, grazie al disinteresse dell’amministrazione comunale, che non ha mai rivendicato il terreno usurpato, è stata ridotta ad un sentiero.

    Il comune, pensando che fosse meglio rendere agevole il transito tra una contrada e l’altra, per rendere praticabili le tre strade, diciamo interpoderali, ha stanziato una certa somma per custodirle e renderle più comode.

    La strada Regia, nei pressi del posto di guardia, fu munita, fu installato il telegrafo, costituito da un’antenna, un palo di circa sette metri, incrociato in alto, da tre traverse di legno con ai capi, delle corde che arrivavano in fondo al casotto ove stava un impiegato che aveva a disposizione, due cannocchiali a lunga portata, con relative fessure per guardare, l’uno verso Capo d’Orlando, l’altro verso Tindari e Milazzo, ecco, con le stazioni telegrafiche con cui comunicava.

    L’impiegato, quando doveva telegrafare, guardava nel cannocchiale, tirava le corde e le antenne si alzavano e si abbassavano, dando il segnale convenuto.

    Il suo funzionamento, con il cattivo tempo o con la nebbia, s’interrompeva e, nel 1860, concluse, definitivamente, la sua operatività.

    Ogni comune, quasi tutti, raccoglievano grandi quantità di frumento che serviva ai coloni, per la seminagione e per l’inverno ed anche per sollevare i poveri dalla loro condizione, azione davvero degna d’encomio, dandogli il nome di peculi, cioè, si costituirono i monti frumentari.

    I coloni che avevano usufruito del grano del peculio, quando facevano la raccolta, lo restituivano ed inoltre, avevano l’obbligo di pagare una tassa corrispondente a Tarì sei per ogni salma.

    Gioiosa, nel 1773, fondò il peculio frumentario raccogliendo, a tal uopo,, la somma di Onze 1119 e tarì 16 ed il primo di febbraio dello stesso anno, dopo l’approvazione del Tribunale del Regio Patrimonio, entrò in funzione, così furono istituiti, anche cinque forni pubblici, quattro per la cottura del pane ed uno per la carne.

    Ogni famiglia, a causa della carestia, perché fosse controllata e misurata la quantità, tutti, erano obbligati a cuocere in essi, anche perché il comune, ne ritraeva un lucro, in conseguenza di ciò, non esistevano forni privati e se vi fossero stati, dovevano rimanere inoperosi ed era fatto divieto, di cuocere il pane, anche nei forni di campagna, ed i contadini che nel mese di maggio, andavano fuori dal paese per l’allevamento del baco da seta, consumato quello che si erano portati dietro, dovevano ritornare a casa ed andarlo a cuocerlo nei forni pubblici, così ogni persona, preferiva mangiare carne cotta in modo semplice, pratico .

    Un’altra caratteristica, era quella che ogni comune, soleva tenere al soldo, un individuo, un banditore che con tamburi e trombette, si metteva a disposizione dell’ autorità superiore che doveva comunicare un’ordinanza, ed ad ogni tratto od angolo di strada, gridando a squarciagola, richiamava la gente.

    I tempi, erano grami, non offrivano molto, si aprivano con il giorno e si chiudevano con il buio, l’esistenza camminava sul filo della sopravvivenza, a dirla a parole semplici, pochi sapevano leggere, dunque gli avvisi, che oggi, vengono affissi sui muri, non avrebbero sortito nulla, certo, ascoltare adesso, per le strade, un banditore è a dir poco, goliardico: In virtù del presente bando, si fa sentire a tutti di questa unità, di qualunque stato, grado e condizione, che fosse alcuno di esse gravato, od avesse che dire nell’amministrazione del patrimonio dei giurati, può liberamente ricorrere, così in pubblico come in privato, e proporre le sue istanze, che gli sarà fatto ogni complimento di giustizia, in beneficio di questo popolo.

    Il comune, teneva al soldo, anche un altro individuo, che faceva da mazziere, che aveva il compito, di accompagnare il magistrato, forse, per dargli maggiore autorità, soprattutto, per difenderlo nel caso fosse stato aggredito, ovunque andasse, con una mazza a forma di clava, indossando una divisa speciale.

    I maggiori casati, avevano il loro mazziere ed a ricordo dell’antico fasto, qualche famiglia Palermitana, tiene il portiere, vestito con quella foggia.

    I sovrani erano rispettati ed adorati e tutti si mettevano in ginocchio, le chiese, custodivano il loro ritratto e nelle feste, vi si accendevano candele a spese del comune.

    Gioiosa Guardia, aveva varie cisterne, che ancora esistono, fatte con un impasto speciale, risultano di una fattura eccezionale, sono molto belle tanto che un turista, un osservatore, alla loro vista, rimane meravigliato. La più bella, è costruita con sei archi, e si conserva, nel convento dei Padri minori Francescani, serviva per avere l’acqua a portata di mano e non ricorrere alla fontanella situata nei pressi della chiesa del giardino.

    Un violento terremoto, alle 19 del 5 febbraio del 1783, sconvolse il territorio ed in special modo Messina, tanto che pochissime abitazioni rimasero in piedi e Gioiosa, ebbe lesionate, quasi tutte le case, la maggior parte pericolanti ed era il quarto e perirono, molti abitanti.

    Il terremoto del 1738, fu preannunciato, con l’apparizione, la notte del 16 dicembre 1737, nel cielo di Naso, di una straordinaria aurora boreale, che atterrì i Siciliani, che credettero di morire sotto le fiamme.

    Un secolo avanti, nel Gennaio del 1693, un altro terremoto, funestò, la Sicilia, si aprirono nella terra, molte voragini, sessanta città e terre, divennero un mucchio di pietre e vi perirono migliaia e migliaia di persone, Patti, ebbe la cattedrale rovinata e la città, danni rilevanti.

    Gioiosa per il terremoto del 5 Febbraio del 1783, per 15 anni, fu esentata di pagare le tasse ed i donativi, come si rileva, da dispacci patrimoniali del 1786, da due biglietti della Regia Segreteria del 12 Maggio del 1787 e del 1788, del dispaccio del 27 giugno del 1788, del biglietto del 4 Agosto 1788 e del dispaccio del 20 Agosto del 1788.

    Un anno dopo il terremoto del 1783, ecco che accadde un’altra funesta disavventura, una enorme quantità di cavallette, rasero al suolo le fertili campagne, causando una terribile carestia, aggravata dall’approdo della flotta dei Veneziani, nella rada di Trapani, che prima di muovere all’assedio di Tunisi, si era provvista di abbondanti viveri.

    La carestia, indusse molte città, a ribellarsi, ed anche Naso vi partecipò, si chiedeva, a che servisse l’utilità della fertilità della terra se l’abbondante prodotto, diveniva preda degli altri, della dominazione Spagnola, che era quasi sempre in guerra con gli altri stati, che assorbiva tutte le rendite dello stato, lasciando la Sicilia in perenne carestia, sottoposta alle scorrerie dei pirati, colpita da infausti avvenimenti.

    L’alba del 6 Febbraio del 1783, dunque, si alzò con molta tristezza negli occhi e nell’anima, i terremoti, avevano apportato gravi danni alle case, la rovina era presente ed allora, Vinciguerra d’Aragona, come fece la prima volta, quando fondò la comunità, per il pericolo dei corsari, per impedire lo sbarco dei nemici sul territorio, aveva edificato, e fortificato Gioiosa, sul monte di Guardia, riunì nel suo castello, chiamò di nuovo, le persone più importanti, occorreva continuare ad esistere, la spesa era molto rilevante e prendendo esempio da Carlo III° e di Ferdinando di Borbone che nel 1761, fortificarono l’isola di Ustica, ch’era un nido, un ricovero di quella malnata di gente, riuscendo a rendere sicuro il commercio, eliminando i possibili attacchi, così pensò di riedificare Gioiosa, in riva al mare, dunque di lasciare il Monte, di abbandonare l’antica terra, trasportando con se, quanto più era possibile, e seppure bisognava sobbarcarsi di travagli ed eccessive privazioni, nella prospettiva di un futuro migliore, della rinascita in un luogo di maggiore prosperità, animò gli abitanti, naturalmente, non tutti furono d’accordo, ed i più restii, si opposero.

    I Pattesi, pur se consigliati dal Vescovo, ad abbandonare la città e ricostruirla in forme più ordinate e più leggiadre, presso il mare, ed impegnandosi a costruire la cattedrale, il palazzo vescovile, il seminario e le tre parrocchie e provvedere per l’acqua in città, loro, non lo seguirono. Il Comune ed i cittadini più agiati, allora, pensarono di mettere in pratica l’idea e si misero a cercare il luogo migliore per costruire il nuovo paese e scelsero, il tratto in riva al mare, prossimo alla discesa del Monte Guardia, denominato Ciappe di tono ( pietra piana, di qualità).

    La scelta del luogo, espresse pareri diversi, alcuni preferivano un altro sito denominato Contino in contrada Cicero.

    La scelta del sito in cui edificare la nuova città, dunque, non era unanime e poiché non essendo riusciti a risolvere i contrasti che vi nacquero, si separarono, e si trasferirono ai piedi del monte, alcuni, la maggioranza, ad Ovest, e gli altri ad Est, di Capo Calavà.

    Gli abitanti del monte Melliuso, nel XVIII secolo, dunque, decidono di lasciare definitivamente il Monte, e scendono a valle, con loro, le suore di Sant’Anna, le ultime abitatrici di Gioiosa Guardia.

    Andrea Luigi Giardina nacque a Patti il 28 novembre 1875 da Giuseppe, ufficiale forestale e Caterina Rao.

    Andrea Luigi, trascorse la sua infanzia, a Cefalù, il paese natale della madre, a Palermo seguì gli studi tecnici che integrò, curando da solo, la sua preparazione umanistica, con lo studio del latino e del greco, che lo indusse poi a frequentare con passione anche i corsi della facoltà di Lettere.

    Le scienze naturali, però, erano la sua grande aspirazione, conseguì la laurea in Scienze Biologiche a Palermo il 30 luglio 1897, naturalista, molto sensibile al fascino delle meravigliose armonie del creato si dedicò agli studi anatomici su vari gruppi di animali marini prima a Palermo e poi alla Stazione Zoologica di Napoli.

    Il 22 settembre 1904 sposò Emma De Corradi, il 25 gennaio 1906 salì alla

    Cattedra di anatomia e fisiologia comparata dell’università di Pavia.

    Il suo ritorno in Sicilia, avvenne il 9 settembre del 1915 per sostituire il suo maestro, il Raffaele, nell’università di Palermo per poi raggiungerlo a Roma il 1° gennaio 1926 alla facoltà di scienze dell’università, ove si ritrovarono alle due cattedre affini di zoologia e anatomia comparata. La recrudescenza di una nefrosi sorta al clima umido di Pavia, purtroppo, lo indusse a tornare al sole della sua isola e così il 15 ottobre dello stesso anno, ritornò a Palermo.

    L’impegno in campo politico, lo attrasse ed infatti nel 1919 aderì al Partito Popolare Italiano, fondato da don Sturzo, proclamando pubblicamente tale adesione in una conferenza tenuta al teatro Massimo. Andrea Luigi, fu autore di numerose pubblicazioni negli ambiti della biologia, dell’embriologia, istologia e citologia che lo portò alla scoperta dell’anello cromatico, che porta il suo nome, inoltre risolse per via matematica e geometrica, il problema della forma di un corpo tridimensionale a diametri correlativi, dando ad ogni dimensione un suo indice (indice Giardina) in rapporto alle altre due dimensioni.

    Andrea Luigi Giardina, morì in Palermo il 21 gennaio 1948, di lui a Patti, non rimane niente, né l’intitolazione di una strada e neanche il ricordo di un uomo tanto grande.

    La maggioranza, capeggiata da Nobili e Proprietari terrieri, uno dei quali, fu Don Diego Forzano, decise di riedificare colà la città, allora di proprietà della Famiglia Giardina di Patti, chiamandola Gioiosa Marea per la vicinanza al mare e, per dare più forza alla scelta, si dice, che fece trasportare la statua del Santo Patrono, San Nicola, nella nuova e, secondo la leggenda, convinse gli scettici, smontando la porta di casa e portandola dove doveva essere edificata la chiesa a lui dedicata.

    Le quattro chiese, esistenti nella vecchia città d’origine, furono costruite nella nuova.

    La statua della Madonna, commissionata al Gagini, è conservata nella chiesa di Santa Maria, allora chiamata del Giardino.

    La città di Gioiosa, per la sua edificazione, però, aveva bisogno, gli occorreva, l’approvazione del governo e dunque si fece opportuna domanda all’autorità Regia e per ottenerla, vi contribuì, in modo particolare, il Marchese don Diego Forzano che ricopriva l’incarico di commissario generale della Val Demone, che fu ottenuta nel 1786, e gli abitanti che disponevano di qualche risorsa ed i proprietari, iniziarono a costruire le proprie case.

    Il 2 maggio del 1788, con dispaccio del Tribunale del Regio Patrimonio, il comune, otteneva l’approvazione delle spese per la costruzione del nuovo paese, però, il terreno, presentava delle difficoltà, non essendo piano, sofferente di abbassamenti ed elevamenti, occorreva livellarlo e costruire edifici pubblici, gli uomini che dovevano lavorarci, dovevano essere pagati e spettando ad esso la spesa, non avendo il denaro sufficiente, incaricò i Giurati ad inoltrare domanda al Regio Patrimonio.

    La parsimonia, di questi, era conosciuta ed allora, iniziò con il distribuire per il loro impiego, un tarì al giorno e, 4 tarì, per un paio di buoi, per la bonifica del terreno, ed in breve i lavori, andarono avanti, progredirono.

    La spesa dei lavori di livellamento, assommò ad onze 74 e tarì 20, che risultò sufficiente, soprattutto, per la buona volontà degli operai, che credevano in una prospettiva, in un bene comune e soprattutto, anche perché gli abitanti, avevano ottenuto, l’esenzione delle tasse governative per 15 anni.

    Il comune, cedendo il terreno per la fabbricazione delle case, impose un canone annuo che serviva per soddisfare la famiglia Giardina di Patti, proprietaria del terreno.

    La popolazione di Gioiosa Guardia, con la costruzione delle prime case a mare, però, gli veniva a mancare

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