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dall'America all'Australia e....ritorno
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E-book336 pagine4 ore

dall'America all'Australia e....ritorno

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Info su questo ebook

Siamo all'inizio secolo 1900, Antonio giovane intraprendente abitante in una valle povera della Lombardia, vuole avere una vita che non dia solo fame e miseria, allora lascia dietro di sè tutto questo e attraversersa oceani alla ricerca di una vita migliore.
La prima tappa è l'Australia, ma poi ci sarà l'America e ancora l'Australia........!!! 
LinguaItaliano
Data di uscita17 dic 2017
ISBN9788827535318
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    Anteprima del libro

    dall'America all'Australia e....ritorno - Ambrogio Dario Imperial

    padre.

    Capitolo primo

    Antonio è un giovane che vive in Valtellina, una vallata alpina della Lombardia.

    Una vallata molto lunga, che si estende dall'inizio del lago di Lecco, nel punto in cui il fiume Adda vi s’immette, fino al confine con l'Alto Adige, diviso da esso da un'impervia montagna, che diventerà famosa nelle corse ciclistiche: lo Stelvio.

    Una vallata soliva, lunga circa cento chilometri, che corre da ovest verso est, confinando e restando divisa da una catena montuosa dalle province di Bergamo e Brescia sul lato destro, mentre sul lato sinistro per chi percorre la valle risalendola, con la Svizzera.

    Nella parte bassa della valle prevalgono la monocoltura, la coltivazione della vite. Il lavoro è faticoso; la vite era coltivata in tanti piccoli terrazzamenti rubati alla montagna, tenuti su con dei muri a secco; muri che richiedono una costante manutenzione, perché erosi e destabilizzati dai rivoli d'acqua che nelle lunghe giornate di pioggia o nei violenti temporali estivi, scorrono inventandosi sempre nuove vie e intasando i canali di scolo con la terra smossa dalla furia dell'acqua, che tanto faticosamente i contadini dei secoli addietro hanno trasportato dal fondovalle.

    Tutte le operazioni sono fatte esclusivamente a mano; i pendii sono troppo ripidi perché accedano con dei carri trainati da cavalli, quindi tutto grava sulle spalle dei contadini che trasportano tutto con le gerle; dal letame per lo ingrasso in inverno, all'uva vendemmiata in autunno.

    Antonio è orfano di padre; la sua famiglia è composta dalla mamma, da un fratello di due anni più giovane e da una sorella.

    Con il fratello si occupa del sostentamento della famiglia allevando del bestiame nella stalla; due mucche, un mulo già avanti negli anni , un po’ malandato. Poi, vi è un maiale (ciön) e delle galline.

    Il tutto è allevato per poi essere venduto e con il ricavato pagare le tasse, molto esose a quel tempo; vi era anche la tassa sulla macinatura dei cereali al mulino!

    Antonio abita a Grosotto; un paese dell'alta valle, con il fondovalle stretto in cui scorre il fiume Adda, e pendii ripidi.

    Ogni più piccolo lembo di terra è coltivato.

    Vi si coltiva del granoturco, il grano saraceno, le patate e la segale da cui si ricava un pane scuro, leggero e saporito, fatto a forma di ciambella per assolvere ad una funzione specifica: quando d'estate si sale in alpeggio per la fienagione, il pane veniva infilato in un bastone di legno e appeso al sottotetto della baita. In tal modo il pane non può essere cibo per eventuali roditori.

    Poi vi è anche un po' di vigna che dà del vino molto leggero, aspro, perché il paese è al limite dell'altitudine sopportata dalla vite.

    Un famoso detto che ha superato indenne gli anni dice: al vin de grosot l'è mei da nigot (il vino di Grosotto è meglio di niente).

    Per quanto riguarda il cibo, la famiglia si può dire quasi autosufficiente grazie al latte, al formaggio, alle castagne. Però di soldi non ce ne sono perché manca il lavoro, manca la fonte di guadagno.

    La società di quel tempo è prettamente dedita all'agricoltura, che è l'unico mezzo di sostentamento per le famiglie; quando capitano le annate cattive che danno raccolti magri sono dolori, si rasenta la fame. Vi è poco foraggio per gli animali e poco da mangiare per le famiglie.

    Alcune devono vendere qualche animale precocemente perché non c'è abbastanza foraggio e i prezzi sono da strozzinaggio.

    Il paese è di tradizione emigrante. Già nel millecinquecento vi sono documenti che vogliono gli uomini grosottini abili muratori nelle terre austriache e nelle regioni tedesche della Baviera.

    Alcuni uomini di Grosotto organizzatisi in squadre vanno nella vicina valle Poschiavo o nella valle Engadina, territori svizzeri dei Grigioni come operai stagionali per falciare il fieno.

    Con il guadagno conseguito, possono saldare i debiti e se avanza qualcosa, acquistare qualche appezzamento di terreno.

    Altri come Antonio, sopravvivono facendo progetti e sogni che puntualmente vengono disattesi.

    Quel poco che si riesce a guadagnare vendendo gli animali se ne va in tasse. Gli acquisti sono pochi, oculati, fatti con parsimonia.

    Del sapone, qualche pezzo di tessuto per farne abiti da lavoro da portare fino all'usura.

    La vita era dura a quei tempi, siamo all'inizio del millenovecento.

    I terreni del fondovalle vengono coltivati con estrema fatica, il lavoro è tutto manuale. Possedere un cavallo è un lusso.

    Poiché i terreni nel fondovalle sono coltivati a cereali, il fieno viene ricavato dagli alpeggi, (qui chiamate le sopiane) poste sui pendii di una valle laterale. Generalmente erano poste su tre altitudini differenti e quasi tutte le famiglie vi portano il bestiame al pascolo. Quando l'erba del primo alpeggio è finita, si sale a quello superiore, così di seguito, salvo fare al ritorno il percorso inverso.

    Chi come Antonio, ha poco bestiame e poco terreno a fondovalle, che per necessita non può essere coltivato a pascolo, il fieno lo ricava dai pascoli delle sopiane.

    Falciare il fieno su quei pendii ripidi è molto faticoso.

    Alla sera va raccolto in piccoli mucchi per poi stenderlo di nuovo il giorno dopo; girarlo per offrire al sole gli steli ancora verdi, raccoglierlo e trasportarlo una volta essiccato nel fienile della baita, in attesa a fine stagione di essere trasportato a valle nel fienile di casa.

    Il trasporto del fieno a valle è rocambolesco, i sentieri che salgono alle sopiane sono delle mulattiere e non permettono il passaggio di carri, sia per le dimensioni che per la ripidità degli stessi.

    I valligiani si sono ingegnati con delle slitte molto lunghe che vengono caricate con il fieno. Nella parte anteriore i pattini salgono perpendicolarmente e finiscono con delle impugnature, in modo che la si possa governare fungendo da freno o da tiro nei tratti piani.

    Per fare scivolare meglio la slitta sugli impervi sentieri vengono deviati i piccoli corsi d'acqua in modo che l'acqua scenda lungo il sentiero e faccia da lubrificante fra la slitta e i sentieri lastricati di sassi.

    Quando Antonio sale alle sopiane per la fienagione, sta lontano da casa parecchi giorni. Mediamente sta lassù per due settimane, ma il tutto è condizionato dai capricci del tempo.

    Per tutto il periodo di permanenza alle sopiane, Antonio si deve portare il cibo. Bisogna organizzarsi per il trasporto fatto a dorso di mulo.

    Nelle bisacce della sella si mette il pane di segale (brasciadei) farina da polenta, un po' di salame, del formaggio, il burro che per evitare che si irrancidisse viene soffritto, e qualche fiasco di vino.

    Arrivato alla prima sopiana si scarica il tutto e si rimanda il mulo a valle. Dopo anni che l'animale percorre gli stessi sentieri per andare sempre negli stessi luoghi, impara la strada a memoria, tanto che basta dargli il via e torna da solo alla stalla, e questo funziona anche al contrario; lo si carica e lui parte e sale fino alla prima sopiana.

    Dunque, ora bisogna organizzarsi: il pane va infilato nel bastone ed appeso al soffitto, formaggio e burro vanno ritirati in frigorifero.

    A quei tempi il frigorifero (vale ancora oggi per quegli alpeggi in cui manca l'energia elettrica), era fatto da una piccola casupola in sasso costruita sopra un ruscelletto, che scorrendo al suo interno mantiene fresca la temperatura.

    Dopo aver falciato, fatto seccare e ritirato il fieno, Antonio sale alla sopiana superiore ed anche qui il medesimo lavoro, anzi la medesima fatica.

    Il tutto da ripetersi per tre volte, per i tre tagli del fieno.

    In autunno è tempo di castagne; bisogna raccoglierle per l'inverno, per il fabbisogno della famiglia e per darle al maiale a cui le castagne rendono la carne più gustosa.

    Finito il tempo delle castagne è tempo di fare lo strame, che serve per il letto degli animali. Anche questo è un lavoro faticoso.

    Gli alberi a foglia caduca sono poco sopra il paese. Si rastrellano le foglie secche facendone dei mucchi che poi si portano fuori dal bosco usando la gerla oppure una gerla molto grossa usata per trasportare materiale voluminoso ma di poco peso, appunto foglie oppure fieno, denominata sciuera .

    Si trasporta lo strame fino al limite superiore del paese dove le strade permettono il passaggio di un carro, vi si travasano, e via per un altro viaggio.

    A seguire c'è l'abbattimento degli alberi, il taglio a spezzoni e il loro accatastamento diviso per dimensioni, in attesa di essere trasportati a valle nella primavera seguente.

    Nelle lunghe giornate invernali quando c'è il riposo forzato dettato dalla natura che con la sua coltre bianca ricopre ogni cosa, i lavori si fanno nelle case o nelle stalle dove c'è il tepore dato dagli animali, riparando le gerle e i cesti rotti, oppure facendone di nuovi con i gettoni di castagno di un anno che vengono tagliati a liste sottili e mantenuti morbidi e flessibili lasciandoli a bagno nell'acqua.

    Capitolo secondo

    I sogni prendono consistenza

    I lavori invernali non essendo eccessivamente faticosi, lasciano del tempo libero da passare all'osteria ascoltando le notizie e le novità del circondario, oppure notizie riportate dagli emigranti stagionali, o da lettere di emigranti che si sono recati in America e in Australia e che scrivono ai parenti rimasti nella valle.

    Fu proprio frequentando l'osteria che Antonio e altri suoi coetanei cominciarono a sognare, a pensare seriamente di emigrare; stufi di faticare su quei ripidi pendii che costano tanta fatica e contraccambiano con scarsa resa.

    Quell'inverno Antonio perse anche la mamma. Rimasero soli i tre fratelli perdendo con la mamma anche la coesione famigliare.

    Antonio con suo fratello e spronato da esso parlavano sempre più spesso della possibilità di emigrare. Dove andiamo? Con che soldi ci paghiamo il viaggio? Dove li prendiamo? Come facciamo con la sorella che resta sola?

    Tante domande senza risposta, tanti dubbi, tanti perché, nessuna risposta.

    Nella primavera dei millenovecento sei, Antonio ha ventun anni, sta per arrivargli una notizia che gli cambierà e stravolgerà la vita.

    La notizia è portata da operai che lavorano alla costruzione della ferrovia retica che da Tirano sale a Poschiavo; come un sasso gettato in uno stagno si espande in poco tempo con il passaparola per tutta la zona:

    «Vi sono rappresentanti della società svizzere di navigazione che cercano uomini giovani e in forza da inviare in Australia. A chi acquista un biglietto offrono anche un lavoro!»

    Quando alla sera all'osteria, Antonio sente questa notizia, scatta in lui una molla che per troppo tempo era rimasta compressa.

    Torna a casa con la ferma intenzione di approfondire la notizia.

    Mentre sta aprendo la porta, questa gli viene strappata di mano. È suo fratello che lo stava attendendo con una trepidazione crescente, anche a lui è arrivata la notizia, gli dice quasi urlando:

    «Toni, preparati che stavolta i nostri sogni, i nostri progetti si stanno realizzando, sai, ho sentito che in Svizzera cercano ……» Antonio lo zittisce con: «lo so anch'io, stavolta ci siamo.»

    «Per prima cosa dobbiamo andare a parlare di persona con questi signori» dice Antonio, «si» risponde il fratello, «andiamo a Tirano e poi passiamo in valle Poschiavo e ci informiamo.»

    Antonio non è d'accordo.

    «No, non va bene così, se cominciamo con l'andirivieni, ci vogliono un mucchio di soldi, già non ne abbiamo.» Poi continua:

    «Ho anche sentito dire che ci sono dei controlli severi per chi entra in Svizzera e fanno storie perché non vogliono che si parte per l'estero.»

    «Come facciamo?», «Senti, io penserei di fare cosi:

    primo non possiamo andare tutti e due, qui c'è il lavoro da fare e non sappiamo quanto tempo ci vuole. Va uno solo, si informa e poi se la cosa va, torniamo tutti e due per gli accordi finali.»

    «Chi va di noi due?»

    «Vado io che sono il maggiore, prendo lo zaino con un po' di provviste, salgo in montagna e passando dal passo Malghera, scendo in Poschiavo, se c'è da aspettare dormo in qualche fienile cosi non spendo un soldo.»

    «Va bene facciamo così», «C’è ancora neve in montagna, chissà se si può passare» dice Pietro.

    «Sai cosa faccio? Salgo all'ultima baita, tra l'altro ci sono dei lavori da fare, cosi da lì penso che si possa capire se si può passare, se si può, scendo a Poschiavo»

    Così, Antonio comincia a preparare l'occorrente per passare un po’ di tempo in montagna; pane, del salame, tre fiaschi di vino, poi dei chiodi, il martello, l'ascia, il falcetto e la calce; materiale per poter eseguire riparazioni in baita.

    Di buon mattino carica il mulo e si avvia verso le sopiane.

    Dopo parecchie ore di cammino, finalmente arriva alla baita. Si guarda attorno, come voler controllare che tutto fosse ancora al suo posto. La montagna di fronte è ancora lì tappezzata di verdi pascoli alternati a piccoli boschetti di larici, come pure il boschetto più in alto che dà sempre dei bei funghi. Più in basso sulla sinistra la chiesetta alpina imbiancata a calce che risalta in mezzo al piccolo gruppo di baite in sasso, facendola spiccare e regalando uno scorcio di serenità.

    Ora che si è assicurato che tutto è ancora al suo posto, Antonio con un sospirone apre la porta della stalla, entra, controlla che tutto sia a posto, quindi esce e sale al piano superiore dove c'è la parte abitativa della baita.

    La porta si apre con un cigolio girando sui cardini arrugginiti dal tempo, all'interno si sente forte il profumo del fieno, dei fiori e delle erbe di alta montagna essiccati. Apre tutte le finestre dando all'aria la possibilità di circolare liberamente all'interno della baita attenuando il forte profumo del fieno e sostituendolo con aria fresca e frizzante della tarda primavera che in montagna è ancora fresca.

    Scarica il mulo, gli leva il basto, lo ricovera nella stalla e lo governa dandogli un secchio colmo d'acqua da cui bere e mettendogli nella greppia del fieno. Le derrate le porta in baita mentre il basto lo sistema nella stalla. Si rifocilla con un po' di pane di segale e un pezzo di formaggio dato che ormai è quasi ora di pranzo e lo stomaco reclama del cibo.

    Finito il suo pasto frugale, vorrebbe riposarsi un momento, ma se non è impegnato nel lavoro, il pensiero va in una sola direzione: all'Australia.

    Decide di non perdere tempo e di fare un giro di controllo intorno alla baita per controllare visivamente che l'inverno e il peso della neve non abbiano fatto danni. Sembra che tutto vada bene, le beole del tetto sono a posto, il sottotetto è asciutto, le finestre vanno bene; gli scuri, quelli a nord, si sono svergolati poiché non essendo esposti al sole restano umidi e il forte gelo ha fatto il resto, hanno bisogno di essere tolti, fatti asciugare all'ombra, poi cambiare i listelli svergolati e passata una mano di mordente.

    Nei giorni successivi Antonio toglie gli scuri, li mette davanti alla baita, sotto il ballatoio in modo non prendano il sole diretto ma nello stesso tempo si asciughino per bene. Poi sistema il muro a secco che sostiene il terreno all'ingresso della stalla.

    Al mattino e ancora un po' freddo, di neve non ce n'è più’, si è sciolta, l'erba comincia a rinvigorirsi e a crescere.

    Antonio scrutando le montagne sovrastanti pensa:

    «la neve è ancora abbastanza bassa di quota, se qui siamo poco sopra i mille seicento metri, la neve sarà dai duemila cento, duemila duecento in su, dato che il passo è a duemila cinquecento metri, mi sa che troverò un bel po' di neve. Chissà se ci sono ancora le racchette da neve, speriamo che le corde non siano marce, sono tanti anni che non le uso!

    Vado subito a cercarle; dovrebbero essere appese alla parete della stalla, vicino alle gerle, eccole qui! meno male, dunque vediamo.»

    Le stacca dalla parete, esce alla luce:

    «come sono impolverate» le sbatte fra di loro per far cadere la polvere, poi prova la consistenza delle corde, «sì, sono ancora buone, vanno solo tese un po’.»

    Il tempo promette bene, il sole riscalda, questo gioca a favore di Antonio che decide di aspettare ancora qualche giorno, procedendo intanto con i lavori e cercando di portarli a termine in modo che al ritorno dalla Svizzera non debba fermarsi, ma possa procedere per il paese.

    Antonio fa passare tre giorni, alla sera del mercoledì prepara lo zaino con un po' di viveri, la borraccia, una coperta di lana. Prepara le racchette da neve da appendere all'esterno dello zaino, il bastone e l'immancabile rampelin.

    La notte la passa agitata, ma al mattino presto, vispo come un grillo, governa il mulo e mette nella mangiatoia un bel po' di fieno, in modo che sia sufficiente per più giorni. Esce dalla stalla e fa per salire al piano superiore della baita quando ci ripensa: «quasi lascio aperta la porta della stalla, cosi il mulo può pascolare durante il giorno ed alla sera tornare in stalla, e poi se mi succede qualcosa almeno è libero.»

    Riapre la porta e la fissa in modo che non possa richiudersi per un colpo di vento o per qualche altro motivo. Sale al piano superiore, lega le racchette da neve allo zaino e lo inforca, prende il bastone ed esce. Indugia un attimo, si guarda intorno e poi rassicurato si avvia di buon passo.

    Il sentiero lo conosce bene, vi è passato diverse volte per scendere in val Poschiavo; si ricorda di quella volta che andò con altri giovani a tagliare il fieno in Svizzera.

    La paga era ottima ma, la fatica era tanta. C'era pure la concorrenza con altri contadini, naturalmente i datori di lavoro giocavano al ribasso.

    Per restare in azienda e falciare tutti i prati occorre essere veloci, per essere veloci bisogna essere affiatati.

    L'affiatamento viene da tante ore passate assieme a falciare i prati; all'inizio della stagione si cantano delle canzoni ritmate, per andare a tempo.

    Il primo parte a falciare, quando ha falciato circa due metri, praticamente la lunghezza della falce o poco più, parte il secondo e cosi via di seguito mantenendo tutti lo stesso passo, altrimenti si rischia di tagliare i talloni al compagno che ci precede o di farsi tagliare i talloni da quello che ci segue.

    Quanta stanchezza, ma anche quanta allegria nelle serate passate nella camerata davanti ad un bicchiere di vino a smaltire la fatica della giornata ed a fantasticare sul futuro.

    Antonio percorre il sentiero che corre a mezza costa e risale il lato occidentale della val Grosina. Sul lato opposto della valle si vedono gli alpeggi di Grosio con il sentiero principale che corre parallelamente al torrente.

    Più avanti il sentiero piega a valle e attraversando il torrente Roasco, si congiunge con il sentiero che sale da Grosio e raggiunge l'alpe Malghera. Da qui in avanti il sentiero si addentra nella valle ed è agevole perché è quasi interamente in piano.

    Antonio si ferma per riposarsi un po' e mangiare un boccone, sceglie un grosso sasso piatto per sedersi perché l'erba e ancora bagnata.

    Toglie lo zaino, lo apre, prende la borraccia dell'acqua, il pane di segale, un pezzo di formaggio e con un forte appetito, comincia a mangiare di gusto.

    Dopo i primi bocconi che smorzano i morsi della fame, Antonio comincia a guardarsi intorno e ad osservare il paesaggio con occhio esperto; sul versante destro che è anche il lato esposto al sole ci sono ampi prati interrotti da macchie di larici, di betulle, mentre sul versante sinistro ci sono fitte abetaie. Mentalmente fa un ripasso della topografia di quei luoghi.

    «Dunque a sinistra proseguendo devo trovare l'imbocco della val Mezzana, poi c'è la val Piana e per ultima la Val Guinzana.»

    Sono valli appartenenti al comune di Grosotto che Antonio conosce perché in alcune c'è stato, mentre di altre ne ha sentito parlare. Poi sempre tra sé e sé pensa «per ultimo, quando trovo la Val Pedruna sono quasi arrivato, subito dopo c'è la Val Malghera.»

    Riprende il cammino.

    «Se tengo un buon passo, stasera dormo a Malghera, il tempo è bello e promette bene anche per i prossimi giorni, speriamo di non trovare troppa neve su al passo.»

    Mentre cammina con il suo passo da montanaro, ripercorre la sua vita fino ad ora e fantastica su quello che lo aspetta nell'immediato, ma particolarmente quello che lo aspetta in Australia.

    Pensando a tutte queste cose, il tempo passa veloce e passo dopo passo macina i chilometri che lo separano dalla meta odierna.

    È già l'imbrunire, quando lasciati alle spalle i boschi e raggiunti i pascoli d'alta quota, intravede in lontananza le baite di Malghera, che si trovano sullo sbocco della valle omonima sulla val Grosina, con un po' in disparte il santuario della Madonna della misericordia, detta dai valligiani la Madonna della neve, protettrice dei pastori e della gente d'alpe.

    Raggiunte le baite entra in una per passarvi la notte.

    È abitudine dei valligiani non chiudere le baite perché qualche viandante vi si possa rifugiare per ripararsi dal maltempo oppure per passarvi la notte.

    Intanto che è ancora accaldato dalla faticosa camminata, si lava alla fontana di sasso all'esterno della baita.

    «Ah che sensazione di freschezza, ci voleva proprio un'acqua cosi fredda per tonificarmi»

    Dopo una bella strigliata, tutto fresco e rinvigorito da quell'acqua si fa sentire l'appetito.

    «Bisogna che mangi qualcosa, altrimenti domani le gambe non vanno, e in questi momenti devo stare su.»

    Dopo una cena a base di pane, formaggio e salame Antonio si sente appagato, si stiracchia un po' le membra indolenzite dalla marcia forzata.

    «Mi ci vorrebbe proprio un bel bicchiere di vino, pazienza la berrò domani a Poschiavo».

    Con questo pensiero si prepara il giaciglio prendendo la coperta dallo zaino ed accomodandosi su un materasso lasciato in un angolo per essere usato da possibili viandanti.

    Il mattino successivo, trova Antonio già vestito e pronto a partire non appena si fa il crepuscolo.

    Il sentiero per salire al passo è abbastanza agevole, ma il percorso è rallentato dalla neve che non è in grosse quantità, ma abbastanza per richiedere di calzare le racchette da neve.

    È un mattino limpidissimo, i raggi di luce del sole sorgente, vengono riflessi dalle vette innevate creando giochi di luce abbagliante. Normalmente ci vuole un'ora e mezza per salire al passo, le racchette permettono ad Antonio di camminare speditamente, tanto vero che ci mette solo un quarto d'ora in più, perché al mattino presto la neve è gelata e tiene il peso, permettendo di non sprofondare e non appesantisce le gambe.

    Antonio ora deve affrontare la discesa fino ad Albertusc, il primo villaggio dopo il passo, e poi proseguire per Poschiavo.

    Camminando speditamente, Antonio copre la distanza in due ore e mezza; prima di mezzogiorno Antonio è già nel paese di Poschiavo e si dirige all'osteria per chiedere informazioni.

    Vi entra e si dirige al bancone: «scusate, sapete dirmi dove posso trovare quelli che offrono lavoro in Australia?»

    «Hanno aperto un ufficio sull'altro lato della piazza, proprio qui di fronte, vedete dove c'è un po' di gente, è lì»

    «Grazie, a proposito questa sera si può mangiare qualcosa?»

    «Certo, vi aspetto, se volete ci sono anche le camere.»

    Antonio attraversa la piazza e man mano che si avvicina sente un brusio sempre più forte; ci sono un po' di uomini e di giovani che a gruppetti discutono.

    Si ferma in disparte per ascoltare qualcosa e non arrivare proprio impreparato.

    Si avvicina ad un gruppetto di tre persone che parlano tra loro in maniera abbastanza calma e chiede:

    «scusate, siete già stati all'ufficio per l'Australia?», il più giovane dei tre prendendo la parola gli risponde:

    «sì, ne siamo appena usciti e stiamo decidendo cosa fare», Antonio di rimando «ma ne vale la pena?»

    «sì, dalle lettere che i nostri paesani emigrati in Australia scrivono alle famiglie, ne vale la pena; la paga è buona, si mettono da parte un bel po’ di soldi»

    «all’ora qual è il problema?» chiede Antonio.

    «il problema è: questi farabutti ne approfittano. C'è tanta gente che chiede di andare in Australia e loro alzano i prezzi, poi sanno che sono gli

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