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L'eredita' di zia Evelina: Delitti nelle langhe
L'eredita' di zia Evelina: Delitti nelle langhe
L'eredita' di zia Evelina: Delitti nelle langhe
E-book255 pagine

L'eredita' di zia Evelina: Delitti nelle langhe

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Info su questo ebook

Maria Viani riceve da una vecchia zia una duplice eredità piuttosto scomoda: un segreto imbarazzante, a lungo custodito dall’anziana parente, e una badante la cui sorella è misteriosamente scomparsa.
A complicare le cose a Maria capita tra capo e collo la giovane nipote in crisi.
Nel paesaggio suggestivo delle Langhe, tra vicende ora drammatiche ora comiche, i soliti battibecchi col marito, i colloqui con l’amico brigadiere, ora promosso maresciallo, un cane ficcanaso e una gatta altera, una Maria scoppiettante e in forma strepitosa riuscirà a sbrogliare la matassa districandosi tra vecchi e nuovi segreti.
LinguaItaliano
Data di uscita17 mag 2012
ISBN9788875637293
L'eredita' di zia Evelina: Delitti nelle langhe

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    Anteprima del libro

    L'eredita' di zia Evelina - Valle Maria Teresa

    Copertina.jpg

    I tascabili

    Il nostro indirizzo internet è:

    http://www.frillieditori.com

    info@frillieditori.com

    editing e impaginazione

    Michela Volpe

    layout copertina

    Sara Chiara

    II Edizione

    copyright © 2012 Fratelli Frilli Editori

    Via Priaruggia 31/1, Genova – Tel. 010.3074224; 010.3772846

    isbn 978-88-7563-729-3

    Maria Teresa Valle

    L’eredità di zia Evelina

    Delitti nelle Langhe

    LogoFratelliFrilliEditori.JPG

    Fratelli Frilli Editori

    Personaggi principali

    I personaggi e i fatti narrati in questo libro sono frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o ad accadimenti reali è assolutamente casuale.

    1

    Un cane grosso e nero sta correndo verso di me. Io resto immobile, sono terrorizzata. I cani mi fanno paura. La bestia continua ad avanzare, si avvicina, i canini scoperti nella bocca ringhiante.

    Indietreggio lentamente, ma sono costretta a fermarmi sull’orlo di una buca. Mi volto.

    L’orrore per quello che vedo supera la paura della bestia. Dentro la fossa indovino qualche cosa che mi terrorizza, più del cane…

    Il suono del telefono interrompe l’incubo... Cane e fossa svaniscono nel nulla. Sono contenta di svegliarmi, ma il mio sollievo dura poco. Se il telefono suona di notte non sono mai belle notizie.

    Mi precipito giù dal letto inciampando nelle ciabatte che ho lasciato in mezzo alla stanza la sera prima. Manca poco che mi allungo. Non imparerò mai ad essere ordinata. Cercando di recuperare l’equilibrio arranco, scalza, verso il suono dell’apparecchio. Cerco di ricordare dove l’ho lasciato. Il telefono implacabile continua a suonare.

    – Rispondi, no?

    La voce di Francesco, fastidiosa e inutile, come un dito in un occhio, mi incalza.

    – Eh, un minuto, sto andando.

    Chissà perché in casa nostra l’incombenza di rispondere al telefono tocca a me. Lui non si è neppure mosso..

    – Vedi di non ammazzarti, però..

    – Farò il possibile..

    – Signora, sei tu?

    È Alina. La riconoscerei tra mille, anche mezza addormentata come sono. È l’unica che mi chiama signora e poi mi dà del tu...

    – Sono io, sì. Cosa è successo?

    Perché qualche cosa è successo se mi chiama nel cuore della notte...

    – La tua zia. È…

    E qui un singhiozzo interrompe la frase.

    – È… cosa?

    Temo di sapere già la risposta.

    – La tua zia… Sono scesa da letto per vedere se aveva bisogno, ma ho visto lei male e subito dopo era morta. Vieni subito, signora. Io non posso stare qui con lei, da sola.

    – Stai tranquilla, Alina, vengo subito. Il tempo di vestirmi. E intanto avverto il medico.

    La zia Evelina. Non mi sembrava stesse male l’ultima volta che l’ho vista. Che poi è solo qualche giorno fa. Certo vecchia era vecchia. E, si sa, più che vecchi non si può diventare, lo diceva sempre la mia mamma. Però era lucida e in piedi. Cioè, era seduta nella sua poltrona, ma non sembrava avesse più acciacchi del solito. Pressione alta, qualche dolore alle ossa. Niente di più.

    Mi vesto con le prime cose che mi vengono in mano. Francesco ha capito.

    – Vuoi che venga con te?

    – No, lascia. Vado da sola. Non è il caso che perdi il sonno anche tu. Ci sarà bisogno che qualcuno sia lucido nei prossimi giorni.

    Cerco le chiavi della macchina. Per fortuna sono al loro posto. Almeno loro.

    2

    Guidare di notte non mi è mai piaciuto. Le luci delle altre macchine, che mi vengono incontro dalla direzione opposta, mi abbagliano e mi confondono. Per fortuna a quest’ora le strade sono deserte. Troppo tardi per rientrare. Troppo presto per andare a lavorare.

    Penso alla zia. A quel suo nome antico, fuori moda, eppure intonato alla sua persona, portato con grazia, come un vecchio abito di chifon al ballo della festa del paese. A suo modo un personaggio nella mia famiglia. Una donna che si è mantenuta con il suo lavoro, quando le donne non lavoravano. Una vedova di guerra che non si è mai risposata, quando le donne sole erano viste con sospetto. Una donna indipendente, quando le donne erano solite appoggiarsi ad un uomo, padre, fratello, marito che fosse. Nella ditta dove aveva lavorato praticamente dirigeva tutto lei.

    Mamma era orgogliosa della sua sorella piccola e, forse, la invidiava anche un po’. Sono certa che le sarebbe piaciuto essere indipendente e padrona di se stessa come lei. Invece aveva fatto la casalinga tutta la vita. Scontenta e sempre depressa.

    Io passavo le estati dalla zia. La sua casa in campagna era il posto più adatto per una bambina irrequieta come me. La città mi soffocava, non mi lasciava la libertà che desideravo. E il mare mi faceva diventare nervosa. Magra e asciutta com’ero il clima marino mi inibiva sonno e appetito. La campagna mi permetteva di sentirmi libera come mi piaceva e in una certa misura mi calmava. Quando tornavo dalla vacanza avevo messo su qualche etto attorno a quelle ossa di bambina lunga e secca secca e mamma era contenta.

    La zia mi lasciava libera, a patto che osservassi alcune regole che lei giudicava inderogabili. Dovevo rispettare gli orari dei pasti e del sonno. Mangiare la frutta ed essere educata con le persone. Per il resto potevo fare quello che volevo. Una pacchia per me.

    Non amava le smancerie e a me andava benissimo. I baci, che i parenti si ostinavano a stamparmi sulle guance, mi sembravano sempre bavosi e mi pulivo la faccia con la mano, con ostentazione. Mamma mi fulminava con lo sguardo, io facevo finta di non accorgermene.

    Non ricordo che la zia mi abbia mai baciata. Neppure quando arrivavo o partivo per tornare a casa. Si limitava ad accogliermi sulla porta e a guardarmi con gli occhi ridotti ad una fessura, per difendersi dalla luce forte del sole estivo, in quello che io intuivo essere un esame per controllare lo stadio della mia crescita. Mi prendeva per mano e mi accompagnava nella stanza che aveva preparato per me.

    Dalle persiane, accostate per tenere lontano il calore troppo forte, filtrava una luce azzurrina. Il letto con la testiera di ferro battuto era coperto con un copriletto bianco, liscio al punto che io mi figuravo che la zia lo stirasse sul posto. I mobili semplici di legno scuro erano lucidi e senza un granello di polvere. Nella stanza l’odore della lavanda messa nei cassetti della biancheria si mescolava con quello della cera per pavimenti.

    Io sono cresciuta e la zia è invecchiata. Sono io, ora, che mi occupo di lei. Che mi occupavo, di lei. Spero di averlo fatto nel rispetto della sua sensibilità, come lei aveva fatto con me.

    C’era un legame speciale tra noi, fatto soprattutto di stima. Ho sempre ammirato la sua intelligenza lucida e vagamente fredda e ho il sospetto che Evelina apprezzasse in me le stesse doti, ma ho sempre avvertito un che di non detto e sfuggente nella vita della zia. Conduceva una vita semplice, nella sua casa di campagna. Eppure a volte l’avevo sorpresa in piedi, davanti alla finestra, assorta e assente. Se provavo a seguire il suo sguardo scoprivo che non stava fissando nulla di reale. I suoi occhi non si posavano su alcun oggetto, era piuttosto un guardare dentro se stessa, una visione nota solo a lei che la trasfigurava. Il suo viso assumeva un’espressione sognante e subito dopo i suoi occhi luccicavano di lacrime trattenute. A quel punto si riscuoteva come si fosse risvegliata da un sogno e riprendeva con energia le attività che aveva interrotto.

    Non c’era confidenza o complicità tra noi, per questo non ho mai osato farle domande, ma c’era un sentimento di profondo, consapevole rispetto reciproco. Sono convinta che anche questo, non sia altro che un aspetto dell’amore.

    A causa del suo carattere orgoglioso e indipendente ha accettato con una certa fatica e con rassegnazione la presenza ormai indispensabile della badante. Alina si è dimostrata la persona giusta. Discreta, pulita, affidabile e paziente. È stata una vera fortuna trovarla. Si occupa della zia da più di due anni e sempre con grande efficienza.

    A causa della sua naturale riservatezza la zia non le mostrava i suoi sentimenti, ma si capiva che aveva finito per esserle grata per la sollecitudine piena di discrezione che metteva nell’occuparsi di lei.

    E ora è tutto finito. Un pezzo della mia vita se ne va con lei. Non avrò più a chi chiedere quante volte mi sono sbucciata le ginocchia. Non ci sarà chi mi farà le patatine fritte più croccanti del mondo. E, ti ricordi, zia, quella volta che ho fatto indigestione di ciliegie? E quella volta che ho azzoppato con un calcio la gallina che mi era antipatica e tu avevi fatto finta di non sapere che ero stata io? E quel giorno che è venuto quel temporale tremendo… E quella volta che il cane del vicino mi inseguiva…

    Non avrò più a chi chiedere dei miei dodici anni, della mia adolescenza sbocciata proprio qui.

    Le lacrime mi hanno resa cieca per un attimo e manca poco che vado a finire nel fosso. Mi rendo conto che la sua morte mi colpisce al di là del dolore per la sua scomparsa. È la perdita del pezzo di me che lei si porta via che mi addolora di più. Un pezzo di carne viva tagliata col coltello.

    Sarà meglio che mi concentri nella guida e recuperi il mio sangue freddo.

    Alina sarà in uno stato pietoso. Mica posso fare così. Ora mi ricompongo e rientro nel mio ruolo di donna forte che tutti conoscono.

    Posteggio e, prima di entrare mi soffermo a guardare la casa da fuori. Mi fa un effetto strano, come se la vedessi per la prima volta. Un altro pezzo di vita che dovrò lasciare. Il luogo dove ho passato tante ore e provato tante diverse emozioni sparirà dalla mia vita. La consapevolezza di questa ulteriore perdita mi incute un senso di smarrimento e di attesa, come se non tutto si fosse ancora compiuto. Come se la morte della zia non fosse che il preludio ad altri avvenimenti che devono ancora succedere. È strano come un fatto grave, come la morte, faccia cambiare la prospettiva con cui si guardano cose che abbiamo avuto sempre sotto gli occhi. È come se le guardassimo per la prima volta, e ci paiono all’improvviso diverse.

    3

    Alina è in lacrime. Sicuramente sono dovute al dispiacere per la morte della sua padrona, ma anche allo spavento che ha provato e al timore per il suo futuro. Mi guarda con i suoi occhi azzurri da slava, pieni di sgomento. Malgrado la corporatura robusta la avverto per la prima volta fragile e vulnerabile.

    – Vieni, signora, è di là nella sua stanza. Guarda, sembra che dorme. Io credo lei non ha sofferto niente.

    Entro nella stanza e mi faccio forza per dare un’occhiata alla zia. Non ho nessuna voglia di vedere la morta. Non che i morti mi facciano impressione. Assolutamente. Se non li ho conosciuti da vivi. Se sono parenti o amici la musica cambia. Eccome!

    Un morto è un involucro. Lo spirito vitale se n’è andato ed è penoso constatare che proprio quello, quello che per noi era familiare è sparito. Quello che amavamo, quello che conoscevamo. La voce, un gesto della mano, l’occhiata di intesa, l’affetto che sapevamo sincero, quel sorriso un po’ canzonatorio, l’espressione malinconica, quel modo di sbucciare le mele, quel rumore irritante dello schioccare delle dita... Quello che ci faceva sorridere o incazzare, tutto questo, non c’è più. Resta un corpo che ci è estraneo, come appartenesse ad una persona sconosciuta.

    Avrei preferito ricordare la zia da viva. Naturalmente non è possibile e cerco di superare l’emozione e guardo il corpo.

    È completamente coperto dal lenzuolo il cui risvolto poggia su di un copriletto bianco di piqué, vecchio almeno quanto la zia e di un candore abbagliante. Somiglia a quello che stava sul letto della mia camera, quando venivo qui in estate. Magari è proprio quello.

    Solo il viso è scoperto. Un viso cereo, dal naso affilato e dalle labbra esangui. Non mi ero accorta che fosse così smagrita negli ultimi tempi. Gli occhi sono socchiusi. Danno l’impressione che la zia guardi di sottecchi. Un brivido mi corre lungo la schiena. Come avevo previsto, provo la sensazione che quel corpo non appartenga alla persona che ho amato, ma a un’estranea. Il soffio vitale che ha abbandonato il corpo, ne ha snaturato l’essenza, riducendola ad una carcassa che mi lascia fredda e priva di affetto. L’affetto se ne è andato tutto dietro lo spirito della zia. Potrò ritrovarlo solo nel ricordo di lei viva.

    Comincio a sentirmi a disagio perché ho l’impressione che mi stia sbirciando da sotto le palpebre semichiuse, come se volesse comunicarmi qualche cosa. Sarà meglio che esca dalla stanza prima di immaginarmi chissà quale fenomeno paranormale.

    Non è proprio da me. In quanto agnostica razionalista non posso permettermi divagazioni del genere. Sarà senza dubbio una suggestione dovuta allo shock o al brusco risveglio.

    Alina mi guarda interrogativa e si aspetta che le chieda come è successo. Ha ragione naturalmente e dunque procedo con le domande.

    – Come mai ti sei alzata stanotte? Ti ha chiamato?

    – No, no. Io sempre mi alzavo una volta, la notte per vedere se tutto a posto. Accompagnavo la zia in bagno. Poi tornavo a letto. E questa notte quando sono andata nella stanza ho visto lei con gli occhi aperti, ma si vedeva il bianco, capisci. E respirava male. E subito dopo non respirava più.

    – Quando verrà il medico ci dirà qualche cosa di più. Anche se non so proprio cosa potrà capire vedendola così... Ieri sera ha mangiato?

    – Sì, ma poco. Questi ultimi giorni non aveva molto appetito. Ieri sera ha voluto solo minestrina. Io ho fatto. Poi ho messo a letto e ho letto qualche pagina.

    – Che libro le stavi leggendo ieri sera?

    – Un libro difficile per me. E anche un po’ strano. Quella che scrive si chiama Colette, e il libro Chéri.

    Accidenti. Che tipo la zia! Chi l’avrebbe mai detto? Colette!

    Le letture della zia mi sorprendono. Colette!

    In realtà non dovrei meravigliarmi. Evelina era una donna speciale, ma non immaginavo potesse interessarsi a un personaggio passionale, trasgressivo e frivolo come Léa.

    Forse il suo essere fredda e distaccata era solo una maschera. Una difesa. Come tutti noi cercava di apparire in un certo modo, ma dentro aveva ben custodito il suo essere segreto. E coccolava nell’intimità le pieghe più profonde della sua essenza. Probabilmente non le mostrava mai a nessuno o, forse, solo pochi privilegiati avevano potuto conoscerle. Chissà se qualcuno, qualche persona speciale era arrivata ad intuirle, o addirittura a condividerle. Sarà difficile scoprirlo ora che la zia non può più chiarire i miei dubbi. E assurdamente, proprio ora che lei non può più farlo, provo il desiderio di avere risposte alle mie domande. Chissà se riuscirò mai a sapere chi era veramente la zia Evelina?

    4

    Mi avvicino alla finestra e sposto le tende di lino bianco ricamate dalla zia tanti anni prima. Comincia a fare chiaro e il piccolo giardino è tutto gocciolante di rugiada. Non è curato come quando lei stava bene, ma ancora fanno capolino tra le erbacce i primi fiori primaverili. Viole, giacinti, tulipani. Gli arbusti di lillà sono carichi di fiori e la forsizia ormai spoglia del suo oro comincia a mettere le foglie.

    Tra poco arriverà il medico e spero mi aiuterà a capire la causa della morte della zia.

    – Un ictus o un infarto, allora?

    – Sì. Direi senz’altro che sia morta per una di queste due cause. Più probabilmente un ictus. Ultimamente era quasi impossibile tenere sotto controllo la pressione. L’ultima volta che sono venuto a visitarla, circa una settimana fa, era altissima. I medicinali non le facevano più effetto. Le ho cambiato ancora una volta le prescrizioni ma, evidentemente, non sono servite a niente. Avevo deciso di consigliarle un ricovero se la pressione non si fosse abbassata. Avevo previsto di telefonare a lei per avvisarla di questa evenienza, ma non sono arrivato in tempo. Si consoli pensando che la morte è stata

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